Il tempo della libertà è arrivato: Appello per una mobilitazione in Italia il 12 febbraio per la liberazione di Abdullah Öcalan
Uiki Onlus, 20 dicembre 2021
Da 23 anni Abdullah Öcalan è stato imprigionato a seguito della cospirazione internazionale del 15 febbraio 1999. Per oltre dieci anni è stato l’unico prigioniero nell’isola fortezza di Imrali. Nonostante le condizioni indescrivibili del suo isolamento non ha mai smesso di sperare in una soluzione pacifica ai conflitti in Medio Oriente. Per diversi anni Öcalan è riuscito a negoziare con il governo turco per raggiungere questo obiettivo. La stragrande maggioranza della popolazione curda vede Abdullah Öcalan come proprio rappresentante, e ciò è stato confermato dalla raccolta di firme di oltre 3,5 milioni di curdi nel 2005. Ocalan è un attore politico e il suo status ha anche dimensioni politiche più ampie. La società curda, così come gli analisti politici, lo considerano un leader nazionale e il rappresentante politico dei curdi.
La prigione dell’isola di İmralı, gestita dallo stato turco, continua ad essere sottoposta ad uno status straordinario. Il continuo isolamento di Ocalan, che dura già da 23 anni, si basa su pratiche considerate illegali sia dalla magistratura turca che dal sistema giuridico internazionale. Le Nazioni Unite hanno la responsabilità di garantire che la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo si applichi e venga applicata anche per Ocalan. Il sistema İmralı può continuare ad esistere solo con il consenso, o almeno il totale disinteresse, di istituzioni internazionali come l’ONU.
Lo Stato turco sta attualmente sottoponendo Abdullah Öcalan a un regime di isolamento che non ha precedenti. Ogni visita dei suoi avvocati o dei suoi familiari è resa possibile solo attraverso lunghe lotte e mobilitazioni. Nel 2019, ad esempio, è stato possibile rompere l’isolmento attraverso lo sciopero della fame di migliaia di prigionieri politici nelle carceri turche e di esponenti della società civile durato diversi mesi. Per la prima volta dopo molti anni gli è stato possibile entrare in contatto con i propri familiari e i propri avvocati.
L’ultima breve telefonata tra Abdullah Öcalan e suo fratello è avvenuta nel marzo 2021, ma è stata improvvisamente interrotta. Il fatto che da allora non sia stato ricevuto un solo segno di vita fa temere per le sue condizioni di salute.
In tutto il paese le pratiche adottate sull’isola di Imrali sono state estese per ridurre al silenzio ogni voce di dissenso, ogni forma di opposizione che veda nella soluzione politica della questione curda una svolta per una trasformazione democratica di tutto il Medioriente. Attreverso Imrali lo Stato turco si sta sforzando non soltanto di isolare fisicamente Abdullah Öcalan come persona, ma di sopprimere i risultati democratici che sono emersi dalle sue idee.
Infatti il Confederalismo democratico introdotto da Abdullah Öcalan ha prodotto il risveglio della società in tutto il Kurdistan. I valori di uguaglianza di genere e di credo, per una società democratica ed ecologica, sono alla base di importanti processi di trasformazione democratica fondati sull’autogoverno come nel caso dell ‘Amministrazione autonoma della Siria del Nord-Est e dell’autogoverno degli yazidi di Shengal.
Sia che si tratti della guerra di invasione del Kurdistan del sud (nord Iraq), sia che si tratti dell’invasione del Rojava e o delle politiche fasciste del governo dell’AKP contro il popolo curdo in Turchia, questo modello democratico e partecipativo è sottoposto a pesanti attacchi da parte della Turchia e delle forze della modernità capitalista.
Per questa ragione oggi è più che mai necessario far sentire la nostra voce. Rompere l’isolamento e la liberazione di Abdullah Öcalan significano dare una prospettiva di pace e di democrazia a tutti i popoli del Medioriente.
Il tempo della libertà è arrivato: Invitiamo tutti i partiti, le organizzazioni sindacali, gli esponenti della società civile e del mondo della cultura a partecipare alla giornata di mobilitazione nazionale del sabato 12 febbraio 2022 a Milano e Roma.
Orari e luoghi della mobilitazione verranno comunicati successivamente.
Per adesioni:
Comitato ‘’il momento è arrivato; Liberta per Öcalan’’
Ufficio d’informazione del Kurdistan in Italia
Rete Kurdistan Italia
Comunità curda in Italia
L’ACCORDO TRA GOVERNO E AMMINISTRAZIONE AUTONOMA E’ GIA’ LETTERA MORTA?
SIRIA: IL ROJAVA NON RICONOSCE IL GOVERNO DI DAMASCO
Gianni Sartori
Un paio di settimane fa l’Amministrazione Autonoma della Siria del Nord-Est (Rêveberiya Xweser a Bakur û Rojhilatê Sûriyey) aveva sottoscritto un accordo con Aḥmad Ḥusayn al-Sharaʿ(già al-Jūlānī), principale esponente del nuovo governo in Siria, sostanzialmente costituito dalla coalizione islamista Hayat Tahrir al-Sham (HTS, in passato membro dello Stato islamico e di Al-Qaïda).
Un impegno che prevedeva l’integrazione delle proprie istituzioni nello Stato siriano (nel quadro di un generale processo di ricomposizione e unificazione del Paese).
Ma al momento le procedure sembrano essersi arenate e gli accordi potrebbero risultare lettera morta. Tanto che i curdi (15% della popolazione in Siria) vanno già esprimendo perplessità e muovendo critiche.
In particolare sulla dichiarazione costituzionale che attribuisce al presidente i pieni poteri almeno per cinque anni.
Ed è l’Amministrazione autonoma stessa che – il 30 marzo – ha contestato la legittimità del governo annunciato perché “assomiglia troppo al precedente (quello di Assad nda), in quanto sembra non tener conto della diversità siriana”.
“Un governo – prosegue il comunicato – che non rifletta la diversità e la pluralità del paese non potrà gestire correttamente la Siria”.
Anzi, amministrazioni del genere non fanno altro che “aggravare la crisi, creando nuove difficoltà invece di risolvere le cause profonde del problema”.
Dato che “la ripetizione degli errori del passato non farà altro che aggravare le sofferenze del popolo siriano e non porterà mai a una soluzione politica globale” i rappresentanti dell’Amministrazione autonoma dichiarano pubblicamente di non sentirsi “tenuti all’applicazione e all’esecuzione delle decisioni emesse da questo governo”.
Continuando invece a operare per la costruzione di una Siria “comune e democratica in cui tutti i cittadini godano dei medesimi diritti” e dove nessun gruppo o etnia possa “monopolizzare il potere”.
Mentre invece deve essere garantita “la partecipazione di tutti al processo politico”.
Messaggio chiaro che appariva come l’immediata risposta al discorso pronunciato il 29 marzo da Ahmad al-Chareh con cui ribadiva la volontà di “edificare uno Stato forte e stabile”.
In realtà i vari ministeri sono in larga maggioranza in mano agli arabi sunniti (e a quanto pare molti posti chiave ai familiari di Ahmad al-Chareh). Ci sarebbe anche un ministro curdo, ma – non certo casualmente – è stato scelto al di fuori del Rojava.
Nel frattempo dalla Germania arrivava un appello della Società internazionale per i diritti dell’uomo (Internationale Gesellschaft für Menschenrechte, IGFM), denso di preoccupazione per quanto potrebbe ancora accadere in Siria ai danni delle minoranze (alauiti, curdi, cristiani, drusi…). Di fronte all’aumento della violenza settaria, alla diffusione delle squadre di vigilantes, all’inesorabile islamizzazione (con l’introduzione definitiva della sharia). A scapito ovviamente dei diritti umani.
In riferimento al recente massacro subito dalla comunità alauita (secondo l’IGFM le vittime sarebbero oltre duemila) e all’intensificarsi delle violenze (arresti arbitrari, esecuzioni sommarie, sequestri…) contro le minoranze religiose o etniche.
Riguardo alla progressiva islamizzazione, l’IGFM ha ricordato sia le croci distrutte sulle tombe, sia la proibizione di mangiare e fumare in pubblico imposto a tutti duranti il Ramadan, sia la severa separazione tra donne e uomini nelle scuole e nei trasporti pubblici.
Per cui diventa legittimo temere che in realtà HTS aspiri alla realizzazione di uno Stato islamista con una legislazione fondata sulla sharia.
Fondate preoccupazioni anche per la situazione economica con salari e pensioni non versati da mesi e il forte aumento del prezzo dei generi alimentari.
Inoltre per ampi settori della popolazione l’accesso all’elettricità rimane alquanto problematico.
Da parte sua Aḥmad Ḥusayn al-Sharaʿ appare infaticabile nella ricerca di sostegno a livello internazionale (e in parte sembra anche ottenerlo). Senza per questo trascurare, nel tentativo di consolidare il controllo del paese (o semplicemente per creare “diversivi, distrarre dai problemi interni) di attaccare, colpire le comunità minoritarie meno disposte all’assimilazione. Per esempio i villaggi sciiti sul confine.
Sperando forse di provocare una risposta da parte di Hezbollah che fatalmente porterebbe a interventi non solo diplomatici da parte delle monarchie (sunnite) del Golfo.
Altri problemi sul fronte meridionale con le infiltrazioni israeliane.
Queste per ora sembrano aver conseguito un primo risultato: la divisione interna dei drusi di Sweida (tra chi auspica una “normalizzazione” dell’occupazione israeliana e coloro che invece sono disposti a dialogare con HTS).
Gianni Sartori