Kabul, tutte a casa
Enrico Campofreda dal suo Blog 19 settembre 2021
Tutte a casa, dice il sindaco, che poi è un incaricato pro tempore, un facente funzioni. Così oggi a Kabul circa mille dipendenti pubbliche non hanno potuto varcare l’ingresso dei posti occupati fino al giorno precedente.
Era nell’aria, sebbene Hamdullah Nomany, il sindaco ad interim della capitale afghana, abbia dichiarato che si tratta d’una situazione transitoria mentre s’attende un ennesimo provvedimento. Ma i taliban hanno disposto così e lui applica le direttive. Le lavoratrici non sono state sostituite nelle loro funzioni da personale maschile e, nonostante il fermo, continueranno a ricevere lo stipendio. Però alcune attiviste presenti stamane davanti all’ex ministero degli “Affari Femminili” ora ministero per il “Rispetto della Virtù”, che protestavano contro la ‘metamorfosi’ del dicastero e contro il nuovo orientamento decisamente penalizzante per i diritti al femminile scuotevano la testa. Non certo per pessimismo precostituito. Da giorni il governo degli studenti coranici gira intorno alla questione del lavoro per le donne, affermando di volerlo orientare e preservare. Di fatto questo fermo potrebbe rappresentare il primo passo verso il temuto divieto. Che segue il provvedimento restrittivo registrato nella giornata di ieri per le allieve di scuole primarie, medie e secondarie: l’avvìo dell’anno scolastico è stato consentito solo alle classi maschili, a conferma del doppio binario usato dai turbanti dal giorno della prima conferenza stampa d’agosto. Il nucleo di donne schierate davanti al ministero armate di cartelli, denunciava questo stato di cose, oltre a contestare l’assenza di figure femminili nel governo dei soli talebani maschi. Un’attivista intervistata da Tolo tv, ammessa in questa circostanza ad effettuare riprese video, sosteneva che “il ministero degli Affari Femminili rappresentava un’identità di genere, la sua cancellazione ha l’amaro sapore d’una rimozione delle donne dalla società”. E ancora “le donne che perdono il lavoro non possono aiutare economicamente i loro congiunti. E vivono il dramma d’un impoverimento familiare”.
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