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La fuga da Kabul apre una nuova crisi umanitaria

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Internazionale.it – The Economist – Regno Unito – 20 agosto 2021

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Quando nel marzo del 1975 cominciò l’evacuazione di Saigon, l’ipotesi di ricorrere agli aerei fu rapidamente abbandonata: usare le piste sotto il fuoco dell’artiglieria era troppo difficile. In alternativa gli statunitensi usarono gli elicotteri per portare persone dalla capitale sudvietnamita alle portaerei nel mar Cinese meridionale. A Kabul, senza sbocchi sul mare, il governo statunitense, che sta tentando di portare via i propri cittadini e gli afgani che hanno lavorato per gli Stati Uniti, non ha questa opzione. Perciò le scene trasmesse in tutto il mondo dall’aeroporto della città il 15 e 16 agosto non erano quelle di elicotteri che portavano le persone in salvo, ma quelle di un elicottero Apache che volteggiava basso sulla pista per scacciare via la calca di afgani disperati in modo da permettere agli aerei di decollare. L’immagine che sarà ricordata è quella di un velivolo da trasporto dell’aeronautica che decolla con alcuni afgani aggrappati al carrello di atterraggio, dal quale precipiteranno perdendo la vita. 

Il caos era prevedibile. Per settimane i voli in partenza da Kabul sono stati pieni zeppi di stranieri e di quegli afgani abbastanza fortunati da avere passaporti, visti e denaro. Quando la città è caduta in mano ai taliban, meno di 24 ore dopo che il presidente Ashraf Ghani aveva visitato i confini della capitale per ispezionarne le difese, era inevitabile che la gente avrebbe provato a fuggire. L’aeroporto al momento è l’unica area di Kabul che non è controllata dai miliziani, ma è difesa da migliaia di soldati statunitensi e altre truppe straniere, molti arrivati in volo appositamente per le operazioni di trasferimento. Gli americani hanno preso il controllo del traffico aereo e i loro Boeing C-17 hanno cominciato a partire stracarichi di profughi. Secondo il sito Defence One, uno di questi è atterrato in Qatar con 640 passeggeri, quasi un record. Il corpo senza vita di un afgano è stato trovato nel carrello di atterraggio di un C-17. Un’immagine mostrava famiglie intere accalcate in ogni spazio libero della stiva. 

Nelle prossime settimane l’evacuazione potrebbe portare via in volo decine di migliaia di persone. Il Pentagono ha dichiarato che almeno 22mila afgani con i requisiti per “visti per immigrati speciali” (Siv) saranno trasportati fuori dal paese, al ritmo di cinquemila al giorno. La cancelliera tedesca Angela Merkel ha comunicato al suo partito, l’Unione cristiano-democratica (Cdu), che verranno fatte entrare diecimila persone. Priti Patel, segretario di stato britannico per gli affari interni, afferma che il paese accoglierà un massimo di ventimila profughi, di cui fino a cinquemila entro quest’anno. Il Regno Unito aveva già messo in programma di trasferire 2.700 persone, di cui 900 cittadini britannici e 1.600 afgani che hanno lavorato direttamente con le forze di Londra. Non è chiaro in che modo esattamente si svolgerà questa operazione. Il segretario alla difesa Ben Wallace ha dichiarato a un programma radiofonico che il governo ha fissato la scadenza del 31 agosto per concludere i trasferimenti immediati. Ma come ha sottolineato, con voce strozzata dall’emozione, “alcune persone non ce la faranno”. 

Negli ultimi quarant’anni di conflitto milioni di afgani sono stati sfollati all’interno dei confini del paese, e poi si sono riversati nei paesi vicini

Il panico dell’ultimo minuto per salvare gli interpreti e altre persone che hanno lavorato con gli eserciti stranieri avrebbe potuto essere evitato. Il programma statunitense Siv esiste sin dal 2009. Ma ha impiegato anni per rilasciare visti agli ex lavoratori. A giugno 16mila lavoratori afgani con le loro famiglie erano stati ricollocati nell’ambito del programma, ma altre 18mila domande erano ancora in attesa di essere esaminate. In Gran Bretagna a giugno il governo aveva ricollocato soltanto circa 1.300 interpreti con le rispettive famiglie. Ma il 3 agosto ha cambiato idea sul fatto che gli afgani assunti indirettamente tramite società in appalto ne avessero diritto. La fretta oggi serve a rimediare per il tempo perduto. 

I taliban da parte loro insistono che la corsa per fuggire non sia necessaria. Hanno dichiarato di non avere “alcun piano per vendicarsi contro nessuno”, e hanno promesso una “amnistia generale” per i dipendenti pubblici, chiedendo loro di tornare al lavoro, mentre ai diplomatici stranieri hanno detto che potranno restare. Le Nazioni Unite hanno continuato a lavorare in molte parti del paese. I giornalisti afgani del canale televisivo ToloNews hanno continuato a trasmettere e alcune presentatrici donne hanno persino intervistato dei funzionari taliban in diretta. Ma pur non avendo ostacolato i voli di evacuazione, è stato riferito che i soldati talebani stanno controllando le persone che tentano di entrare all’aeroporto, impedendo a molti di lasciare il paese. Migliaia di afgani che potrebbero ottenere il permesso di volare rimangono in clandestinità, chiedendosi se riusciranno a scappare. 

Che cosa succederà adesso? Negli ultimi quarant’anni di conflitto milioni di afgani sono stati sfollati all’interno dei confini del paese, e poi si sono riversati nei paesi vicini. L’Onu conta due milioni e mezzo di profughi registrati, grosso modo il 6 per cento della popolazione del paese. Di questi si stima che 780mila afgani fossero in Iran, ma le Nazioni Unite ritengono che nel paese ce ne siano altri due milioni non registrati. Ancora, un milione e 40mila afgani hanno trovato riparo a lungo termine in Pakistan. Si tratta di una delle più vaste popolazioni di rifugiati al mondo. I tentativi di rimpatriare alcune di queste persone con buona probabilità verranno sospesi, e il loro numero quasi certamente aumenterà vertiginosamente. L’Iran si sta preparando a un muovo afflusso di musulmani sciiti in fuga dai taliban, anti-sciiti (anche se Teheran li ha sostenuti nella loro lotta agli Stati Uniti), e sta allestendo dei campi in tre province lungo il suo confine orientale.

In tanti probabilmente cercheranno di andare più lontano. Mentre portano via i propri cittadini e collaboratori, i politici dei paesi ricchi sono già terrorizzati dall’avvento di crisi dei profughi ancora più consistente. Mezzo milione di afgani potrebbero già essere in Turchia. Anche se non dovessero esplodere nuovi combattimenti, molti altri potrebbero fuggire se i taliban cominciassero a imporre la loro brutale versione della sharia nelle città afgane, o se gli aiuti umanitari dovessero collassare. Proprio il 5 agosto i ministri di sei paesi europei avevano firmato una lettera in cui sostenevano la prosecuzione delle deportazioni per gli afgani ai quali è stato rifiutato l’asilo (in molti adesso hanno sospeso la pratica). Il presidente francese Emmanuel Macron ha promesso di reprimere duramente i trafficanti di esseri umani, affermando “dobbiamo prevedere e proteggerci dai significativi flussi migratori irregolari”. Amin Laschet, il candidato della Cdu che succederà a Merkel dopo le elezioni generali tedesche del mese prossimo, ha dichiarato: “Non dobbiamo mandare il segnale che la Germania può accogliere chiunque sia in stato di bisogno”. I politici tedeschi sono preoccupati che possa ripetersi quanto accaduto nel 2015, quando arrivarono nel paese oltre un milione di rifugiati siriani. Alcuni europei, e in particolare Merkel, li accolsero con favore, ma subito dopo si è scatenata una violenta reazione sovranista. 

Il primo ministro britannico Boris Johnson ha chiesto agli altri paesi di non “riconoscere prematuramente” i taliban. Ma per adesso decine di migliaia di afgani che hanno lavorato con le forze internazionali, insieme alle loro famiglie, sono stati abbandonati. Altri milioni di persone vanno incontro a un futuro incerto. La loro speranza è che le promesse dei taliban varranno qualcosa, ma temono il peggio. 

(Traduzione di Francesco De Lellis)

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