Perché i talebani hanno paura del corpo delle donne
La popolazione, quella urbanizzata soprattutto e in particolare quella femminile, ha coscienza dei propri diritti e lo sta dimostrando ogni giorno scendendo in piazza
Giuliana Sgrena, Il Manifesto, 10 settembre 2021
I taleban non sono cambiati, gli stessi che si trovano oggi al governo a Kabul hanno fatto la storia del movimento degli studenti coranici o ne sono gli eredi. Invece l’Afghanistan è cambiato: nel 1996 quando arrivarono al potere, per la prima volta, il paese era dilaniato da anni di guerra civile tra i leader jihadisti che avevano distrutto Kabul, tanto che l’arrivo al potere dei taleban poteva persino alimentare l’illusione di una «pacificazione».
Allora non si sapeva che quello dei taleban sarebbe stato un regime del terrore: vietata radio e televisione, musica, promiscuità, obbligo delle preghiere e barba per i maschi, per le donne imposizione di un totale apartheid: vietato l’insegnamento, il lavoro e per uscire di casa accompagnate dal Mahram dovevano portare il burqa, non parlare, non segnalare la propria presenza con i tacchi a spillo.
Nel 2001 l’occupazione occidentale ha posto fine al regime dei taleban per l’ospitalità data ad al Qaeda, ora finisce l’occupazione con il ritorno degli stessi taleban. Che possono anche vantare di aver posto fine all’occupazione, sebbene questo sia avvenuto grazie agli accordi di Doha tra taleban – rappresentati dall’attuale vicepremier Baradar – e gli Usa.
Ora gli afghani sanno chi sono i taleban e non si fanno illusioni, soprattutto le donne.
La maggioranza della popolazione è sotto i 20 anni, quindi ha vissuto in una società ancora ostaggio di divisioni etniche e tribali ma con maggiori possibilità di emancipazione rispetto ai tempi del primo emirato taleban. Tutti o quasi in Afghanistan possiedono un cellulare anche se poi magari non hanno l’elettricità per caricarlo, hanno, o avevano, la possibilità di comunicare in tempo reale con il mondo intero.
I taleban del 2021 potranno terrorizzare gli afghani ma non prenderli per sfinimento. La popolazione, soprattutto quella urbanizzata e in particolare le donne, ha coscienza dei propri diritti e lo sta dimostrando nelle manifestazioni di piazza.
In primo piano le donne, ma nelle ultime manifestazioni si sono visti anche giovani e uomini che denunciano il ruolo del Pakistan, soprattutto nei bombardamenti nel Panshir contro Massud, ma anche nella veloce avanzata dei taleban, come hanno scritto su questo giornale Alberto Negri e Enrico Calamai. La presenza ingombrante dei pachistani aumenta l’insofferenza, che rasenta l’odio.
I taleban però non sono più dotati solo di kalashnikov, hanno a disposizioni le armi fornite all’esercito afghano che si è dissolto con la loro avanzata e le armi lasciate dagli americani in ritirata. L’autorizzazione data dal governo dell’emirato ai 200 tra americani e stranieri – con passaporti americani, britannici, olandesi, italiani, tedeschi, ucraini – per lasciare il paese fa sorgere il dubbio che si trattasse di contractor che hanno esaurito il compito di addestrare i taleban a usare le nuove armi.
I taleban si confermano nella loro misoginia: i primi provvedimenti sono contro le donne che per andare all’università devono portare il niqab, velo integrale che lascia aperta una fessura all’altezza degli occhi senza la retina del burqa, per uscire devono essere accompagnate da un maschio di famiglia (il mahram), sono separate dai maschi nelle scuole, non possono lavorare per «problemi di sicurezza», non possono fare sport, perché potrebbero esporre parti dei loro corpi che invece devono essere coperte. Il divieto è scattato per una partita di cricket che le afghane avrebbero dovuto giocare in Australia, ma è stato esteso a tutti gli sport. Immediata la reazione di Khalida Popal, ex capitana della nazionale femminile di calcio, rifugiata in Danimarca e promotrice di una campagna per far uscire da Kabul le sue ex compagne. «Sport è libertà, noi afgane non ci arrendiamo, anzi insieme brilleremo sempre di più», ha scritto su Instagram.
È il ministero della cultura ad annunciare i provvedimenti contro le donne mentre il rispetto delle norme è affidato al ministero per la prevenzione del vizio e la promozione della virtù.
Tra i provvedimenti il più aberrante è quello, varato ancora prima della formazione del governo e, finora, relativo alle province settentrionali di Badakhstan e Takhar, che stabilisce che «le ragazze di età superiore ai 15 anni e le vedove di età inferiore ai 45» sono tenute a sposarsi con combattenti talebani.
Il decreto ordina alle autorità amministrative e religiose di stilare gli elenchi di proscrizione. «Al fine di sradicare l’ignoranza e l’ateismo…». Il testo dispone anche che le giovani vengano trasferite in Waziristan (nelle zone tribali del Pakistan) dove «gli obiettivi e l’apprendimento delle lezioni islamiche puri, così come l’accettazione dell’Islam nel suo insieme e delle scuole religiose».
L’unica parità di genere in Afghanistan è quella di essere massacrati – allo stesso modo – durante le manifestazioni contro i taleban, continuate anche ieri, non solo ma anche per il ventesimo anniversario dell’attentato che costò la vita a Shah Massud, alla vigilia dell’11 settembre.
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