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Chi arriva al salvataggio dell’Afghanistan? Alcune domande per l’oggi e per il futuro

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Sinosfere.com 6 gennaio 2022

Il testo che segue è notevole per lo sforzo di dare un quadro completo (politico, economico, sociale, del lavoro etc.) delle storture della società afghana che sono state le concause della vittoria talebana. In controluce emerge qualche aggancio alla realtà cinese, ad esempio il suggerimento di introdurre il sistema cinese del hukou (residenza coatta in città o in campagna, con divieto del trasferimento) anche in Afghanistan, per bloccare la caduta della produzione agricola e l’inurbamento selvaggio. Si noterà infine che sebbene il testo chiami in causa molti paesi del mondo (gli Stati Uniti, la Russia, il Pakistan etc.), la Cina non è citata neanche una volta (N.d.T.)1)

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Secondo un’opinione corrente, il punto chiave della rapida conquista militare talebana dell’Afghanistan sarebbe stato l’adozione della tattica “le campagne accerchiano le città”. Vedi l’articolo “La logica economica dietro la sconfitta dello Stato Afghano: città solo apparentemente opulente, campagne in stagnazione ininterrotta”, dove si tenta di analizzare dal punto di vista economico le ragioni complesse di lungo periodo dietro la conquista talebana:

la resistenza delle campagne strutturate per l’autosufficienza ai vari tentativi di riforma agraria e la secessione armata dei signori della guerra che ne è derivata, che hanno fornito all’emergere dei Talebani un terreno favorevole; l’economia urbana sostenuta dagli aiuti esteri e il burocratismo, il compradorismo, i cartelli di capitali che non sono serviti, nelle mani dei detentori di diritti acquisiti, a promuovere la modernizzazione del paese, al contrario hanno favorito al massimo la formazione di isole felici di modernità. In parole povere,  lo scarto città/campagna e la loro separazione ha condotto alla sconfitta dell’amministrazione degli agenti dell’imperialismo americano e a un’altra vittoria dei Talebani.
Il presente articolo, che si basa su dati parzialmente resi pubblici, tenta d’identificare le contraddizioni e le carenze esistenti nelle tesi correnti. Per esempio, le città afghane non ospitano solo burocrati, compradores e capitalisti. Le campagne, assai diversamente da quanto si pensa,  sono tutt’altro che un blocco monolitico  formato dalle comunità tribali tradizionali. In “La logica economica” si sottovalutano anche le importanti trasformazioni della società afghana degli ultimi anni. Per esempio, nella questione agraria si è inserita la sempre più grave questione della diseguaglianza nell’accelerazione delle nascite. Anche se fra periferia e centro esistono contraddizioni nella distribuzione del potere, ciò non significa semplicisticamente che città e campagna siano due regimi economici separati. Non solo i signori della guerra locali e le élites agrarie condividono vantaggi economici, tramite la terra e altre forme, con le principali città, ma la rapida urbanizzazione dell’ultimo decennio ha tentato di assorbire il surplus demografico delle campagne, creando flussi di popolazione fra aree urbane e rurali. Inoltre, nonostante la scarsa documentazione, non possiamo esimerci dal tentare una presentazione della struttura economica dal punto di vista del genere. Il presente articolo si oppone anche a considerare i Talebani i nuovi gestori del potere, non identifica nei Talebani la forza motrice verso il benessere del popolo afghano tramite la liquidazione dei gruppi d’interesse costituiti nelle città e nelle campagne. Bisogna però ammettere che la situazione afghana delineata qui di seguito resta assai approssimativa.

È certo che le grandi città principali, beneficiarie degli aiuti esteri, hanno dato origine a cricche di burocrati, compradores e capitalisti, ma le loro popolazioni non sono state affatto i destinatari di lucrosi ritorni. Anche le urbanizzazioni, da decine d’anni a questa parte, hanno convogliato nuovi cittadini, compresi intellettuali di cultura universitaria che sono entrati negli uffici pubblici e nell’organico delle ditte private, ma anche povera gente trasferitavisi dalle campagne.  Alcuni cittadini sono entrati nelle élites, ma in una percentuale minima sulla popolazione urbana. Inoltre, prima della caduta, nel governo Ghani l’iter per occuparsi della cosa pubblica era già ampiamente monopolizzato, i canali di ascesa pressoché ostruiti. Gli intellettuali e gli impiegati residenti nelle grandi città pensavano probabilmente solo a trovare una vita e un lavoro stabili, ma non è corretto vederli come percettori di profitti assolutamente non progressisti. L’economia delle città moderna offriva lavori specialistici in quantità limitatissima, p. es. quelli di pubblico ufficiale, giornalista, insegnante, avvocato, impiegato d’azienda, operaio di fabbrica ecc., ma dava almeno occasione di entrare in contatto con conoscenze e concezioni oltre l’ambito religioso, e spingeva la società su una strada separata dalla dogmatica islamica. Parte delle donne riceveva un’istruzione egualitaria ed entrava nella società in tutti i settori, cosa non consentita dai Talebani quando esercitano il potere (attualmente la forza lavoro maschile afghana è l’81%, quella femminile il 19%). Pur essendo il potere politico altamente monopolizzato, la gente poteva svolgere ogni genere di attività poliica legale e godere di una certa libertà d’azione. Un’altra grossa fetta della popolazione urbana è fatta di poveri che svolgono lavori precari (che la Legge del Lavoro del 2007 non include). Si tratta soprattutto di manifatture e servizi su piccola scala, come il falegname, il fabbricante di tappeti, il venditore all’ingrosso e al dettaglio, l’edile, il trattore, il trasportatore ecc.; c’è anche un’alta aliquota di disoccupati, famiglie che campano di elemosina e di raccolta dei rifiuti. Secondo le statistiche del 2018 della Commissione per gli Insediamenti Umani dell’ONU, gli afghani che abitano nelle baraccopoli delle città sono il 71% della popolazione urbana, in luoghi senza acqua né luce, senza scuole, ospedali, gabinetti e altri servizi pubblici essenziali, per giunta particolarmente esposti alle calamità naturali. La pandemia ha aggravato la pauperizzazione di questa fascia di abitanti. Secondo i dati dell’Asian Development Bank, circa i 2/3 della popolazione vive sotto la soglia della povertà, con un reddito inferiore a 1.90 USD giornalieri, un peggioramento del 55% rispetto al 2017. Non possiamo escludere la possibilità che questa fascia in condizioni di incrudelimento dell’oppressione prenda a sostenere forze rivoluzionarie. Né si deve escludere che transiti dal popolo ai Talebani l’aspettativa che si facciano i conti con le cricche dei possessori di diritti acquisiti nelle grandi città.

L’agricoltura fornisce alla grande maggioranza degli afghani (ca il 70%) di che vivere, ma i conflitti regionali continui dei tempi recenti, l’abbandono generalizzato e i disastri naturali hanno condotto al declino dell’agricoltura e all’ampliamento delle aree coltivate a papavero da oppio e ad altre coltivazioni redditizie, col risultato che molte aree rurali hanno perso l’autosufficienza. La scarsità di risorse idriche e di terreni arabili hanno prodotto un’eccedenza di popolazione rurale, a cui le città non sono in grado di offrire sufficienti occasioni d’impiego, ciò che per i Talebani è una fonte potente di forza. È probabile che in molti abbiano scelto di diventare migranti nelle aree fuori dei confini (p. es. l’Iran e il Pakistan). Le siccità del 2018 e 2019 hanno colpito oltre i 2/3 degli Afghani, distrutto l’economia agricola e ridotto 3.900.000 persone a un’economia di sussistenza. In particolare nelle regioni occidentali del paese, il reddito s’è dimezzato. Inoltre nel 2020 si verificarono in Afghanistan ripetuti crolli di versanti montani ed esondazioni di torrenti. Alcune ricerche hanno dimostrato che attualmente l’Afghanistan non è ancora autosufficiente nei consumi alimentari; dal 1979 al 2030, il rapporto fra produzione e consumo di cereali è sceso dallo 0,9 allo 0.55%. Attualmente la produzione cerealicola può soddisfare appena il 49,8% del fabbisogno degli abitanti, corrispondente a una mancanza di cereali per 2.440.0000 persone. Dal 2012 a oggi, oltre 4.100.000 persone hanno abbandonato i paesi e si sono inurbate. Ancora più persone sono stagionali che vagano fra città e campagna, alla ricerca di un reddito dovunque lo trovino. Ciò ha reso Kabul una delle città a più rapida crescita demografica nel mondo. In futuro, a meno che il governo talebano non realizzi una rigida separazione fra città e campagna e vieti la circolazione della popolazione, non sarà facile invertire la tendenza. Pur in assenza di studi che confortino le nostre previsioni, il lavoro maschile in continuo movimento potrebbe accollare alle donne, originariamente responsabili del lavoro domestico, l’ulteriore carico dei lavori agricoli, ma anche estendere la loro partecipazione oltre che alla famiglia anche alla comunità. La Banca Mondiale ha dichiarato che attualmente il 54% della forzalavoro agricola è femminile,  con che conseguenze future ancora s’ignora. Di conseguenza, si ritiene che le vaste regioni agricole dell’Afghanistan potranno ancora mantenere l’autosufficienza tribale e il sistema delle comunità rurali, ma forse non sarà così.

Lo stato recente delle cose mostra che in molti contesti urbani e rurali si riscontra una tendenza alla progressiva concentrazione delle terre e all’inasprimento dei conflitti. In Afghanistan, l’ineguaglianza della ricchezza si manifesta come ineguaglianza del possesso di terra, probabilmente una delle principali ragioni per cui il coefficiente di Gini si mantiene a un livello alquanto basso. I conflitti rurali non investono solo l’occupazione delle terre da parte dei potenti col ricorso alla “mafia agraria”, ma includono anche le liti coi migranti di ritorno che reclamano indietro le loro terre, le lotte fra tribù diverse per le sorgenti, i pascoli e le comunità stanziali, le lotte per il diritto di successione nel possesso delle terre private da parte delle famiglie etc.

In alcune località, p. es. fra le tribù e i villaggi nei dintorni delle città si constata una tendenza alla disgregazione delle comunità. Il potere di distribuire le terre pubbliche è sempre stato lo strumento con cui il funzionariato premiava le élites politiche e economiche per rafforzarne la lealtà e esercitare il potere, con conseguenti espropriazioni e sottrazioni di terre (addirittura nell’ambito di un intero borgo). Nei sobborghi in prossimità delle città, per poter costruire grattacieli di uffici e residenziali, le mafie locali e i funzionari corrotti si sono appropriati dei terreni e hanno aumentato artatamente i prezzi delle case. Un caso esemplare è quello di Sherpur, risalente al settembre del 2003 (sotto il governo Karzai). La zona sorge a circa 1 miglio a nord di  Kabul. Un centinaio di poliziotti rasero al suolo oltre 30 abitazioni, compromettendo oltre 250 persone. All’epoca il ministro della difesa e responsabile della sicurezza di Kabul ebbe un ruolo di primo piano nella vicenda. In seguito, le terre furono distribute a oltre 300 alti funzionari statali e signori della guerra, che ci costruirono le loro ville (Vedi anche https://www.rferl.org/a/1104367.html).  Nel 2016 Freedom House diffuse un rapporto sull’espropriazione delle terre, secondo il quale nelle 18 regioni dell’Afghanistan circa due milioni di wanjilibu (misura agraria afghana: ha 1 = 5 wanjilibu ca) erano stati occupati. Nelle parole di un ex consigliere di Karzai, in tutto l’Afghanistan 4.500.000 di wanjilibu di terre pubbliche erano stati requisiti dai potenti e ridotti a uso individuale. E non erano compresi i terreni privati dei contadini che erano stati espropriati.

Nei paesi i cui abitanti sono dediti prevalentemente all’agricoltura, il grado di concentrazione delle terre è probabilmente da mettere in relazione con la conformazione topografica e lo stato dell’agricoltura. Alcune ricerche mostrano che nei villaggi dove s’irrigano le pianure è più probabile che esista un sistema sociale gerarchico. Quelli al vertice della gerarchia (l’élite del villaggio) posseggono la maggioranza delle terre e, tramite potenti appoggi politici (per esempio con i quadri a livello regionale), s’appropriano delle entrate non agricole e forniscono manodopera alle città. In questi casi la concentrazione delle terre è più alta, in più ci sono molte famiglie senza terra. I senzaterra o diventano braccianti o confluiscono nelle città e diventano emarginati. In queste località, la comunità di villaggio tradizionale non ha alcun ruolo nella prevenzione della concentrazione delle terre, anzi, essa è estromessa oppure i suoi capi si muovono in base al loro interesse personale. Si crede che le strutture tribali più egualitarie siano verosimilmente appannaggio dei villaggi sulle zone montane occidentali, per esempio fra i Pashtun delle aree montane orientali. Ma credere che le tribù e le comunità di villaggio possano ancora mantenere la stabilità è assurdo. Riguardo al contenzioso sulle terre, anche a cercare una tribuna locale (p.es. il comitato degli anziani della tribù o il sinodo dei capi religiosi) invece che il tribunale normale per risolvere i problemi, si scoprirà che queste tribune hanno sempre più la tendenza a cercarsi una rendita di posizione. Il sistema della sciura (istituzione tribale che, nell’islam delle origini, eleggeva i capi e prendeva le decisioni) dei comitati di villaggio è stata criticata come rappresentante delle fazioni politiche maggioritarie e delle élites, come contropartita per il sacrificio dei gruppi più deboli (le donne, la minoranza degli eredi dei clan) in posizione economica svantaggiata. Le donne non possono diventare membri della sciura. In quanto alle donne che ricevano proprietà fondiarie in eredità, il Codice Civile dei precedenti governi afghani ammetteva il loro diritto, ma la sciaria islamica concede alle donne in quanto figlie o vedove un diritto d’eredità diseguale (le vedove ereditano solo 1/8 delle proprietà del defunto marito, le figlie la metà delle terre ereditate dai figli), però il diritto consuetudinario dei Pashtun lo nega. In pratica, le donne afghane sono private dalla cultura e dalla tradizione del diritto di ereditare e possedere terre e altri beni immobili. Di conseguenza, quasi tutta la terra in Afghanistan è registrata a nome di un proprietario maschio, e solo il 2% ha un proprietario femmina, di solito vedove. Negli ultimi anni ci sono state sempre più cause legali in cui vedove hanno rivendicato il loro diritto di ereditare la terra. Quando insistiamo su un’eguale allocazione della terra non possiamo evidentemente trascurare l’eguaglianza di genere. La corruzione del sistema giudiziario regolare è un’altra delle cause della preferenza per il diritto consuetudinario. Ciò ha fornito ai Talebani un’occasione da prendere al volo. In un certo numero di aree, i Talebani hanno mediato i contenziosi tribali sulle terre ricorrendo al diritto islamico (la sciarìa), rivestendo i ruolo dei giusti. Ma si è trattato di sentenze solitamente soggettive e interessate. Inoltre molti contenziosi sulle terre hanno probabilmente ignorato la sciarìa e le altre forme consuetudinarie, fino a illudersi che le sentenze non fossero pilotate dalla corruzione. Davanti alla prova dei fatti, sembrerebbe impossibile pensare che nell’Afghanistan odierno non ci sia bisogno di una riforma agraria. I contadini senza terra espropriati dei loro poderi, i profughi di ritorno che hanno perso la terra, gli abitanti delle baraccopoli nelle città, le donne e una minoranza di membri di clan sono i perdenti della proprietà fondiaria. Una riforma agraria deve tener conto delle particolarità dei vari territori e adottare strategie diverse. Pensando poi alla sempre più grave scarsità cerealicola dell’Afghanistan, a non considerare la modernizzazione dell’agricoltura il punto di svolta per una nuova riforma agraria significherebbe che l’Afghanistan possa molto difficilmente evitare una crisi umanitaria di grandi proporzioni. Ma sperare che i Talebani rovescino la sciarìa e la legge consuetudinaria Pashtun di cui si sono giovati in passato, per applicare una riforma agraria radicale, è veramente una chimera.

In realtà, il rapporto fra città e campagna esistente in Afghanistan si sta consolidando. A parte le fluttuazioni della popolazione ricordate più sopra, i potentati locali nelle grandi città hanno usurpato un gran numero di diritti acquisiti in vari modi, quali detenere le azioni delle grandi aziende, spossessare le terre e utilizzare le mafie. Di conseguenza, se ne stanno a guardare i Talebani che s’impadroniscono del governo centrale, ma non potrebbero tollerare che essi nuocciano ai loro interessi nelle grandi città.

Se c’è chiaro questo punto, potremo capire perché i signori della guerra del passato abbiano tutti formato milizie popolari per combattere i Talebani. Alcuni vecchi signori della guerra furono in aperto conflitto con l’ex presidente Ghani, al tempo in cui era ancora in carica, p.es. Nur Muhammad Ata, ex governatore del Balkh, respinse l’ordine di Ghani di dimettersi, tuttavia ancora a luglio partecipava alle azioni contro i Talebani. Egli difendeva con forza i suoi interessi. Ma quando i Talebani, dopo abboccamenti segreti con importanti membri del governo, ebbero dichiarato apertamente che intendevano formare un governo più “inclusivo”, molti signori della guerra s’affrettarono a cambiare bandiera. Anche se il generale Massud (il Leone del Panshir) e il primo presidente dell’Afghanistan, Alì Abdallah SalehEt organizzarono la resistenza nelle valli del Panshir, nel tentativo di raccogliere le forze dell’Alleanza del Nord del passato, la loro esigenza restò quella di occupare una posizione, ancorché minima, nel governo di coalizione di là da venire.

Un governo centrale potenziato potrebbe suscitare il malcontento delle élites locali, è una realtà di cui tener conto. Se gli interessi di queste ultime fossero intimamente legate al potere esecutivo del governo centrale (per esempio se buona parte funzionari del governo centrale avessero il sostegno delle forze locali), loro probabilmente accetterebbero il cambiamento. Ma se il presidente decidesse di tener fuori i signori della guerra, sostituendoli con gente sua, non c’è dubbio che verrebbe crudelmente tradito. Se i Talebani organizzassero un governo di coalizione, avrebbero lo stesso problema.

Se ottenessero l’appoggio dei lavoratori, la catastrofe che si provocherebbe non lascerebbe scelta a nessuno.

I Talebani non rappresentano affatto gli interessi dei lavoratori disagiati delle campagne. Di fatto, il 70% degli Afghani ha meno di 22 anni, in Afghanistano vivono 23.000.000 di giovani. Ma tanto il governo di Kabul retto dall’ex presidente Ghani quanto i Talebani non intendono fornire loro sufficiente lavoro e istruzione (alla fine del 2020 il tasso di disoccupazione in Afghanistan era del 72%, e il tasso di povertà è salito dal 55% al 72%), al contrario li hanno sbattuti sui campi di battaglia. Disoccupazione e povertà sono precisamente il risultato della lunga guerra fra i Talebani e le forze secessioniste dei signori della guerra. I Talebani hanno accolto gli adolescenti maschi delle famiglie povere e li hanno messi nelle madrase, le scuole islamiche del Pakistan , in modo da abituarli fin da piccoli a obbedire ai capi religiosi islamici e inserirli nel sistema patriarcale. Il precedente governo afghano, l’imperialismo statunitense e i Talebani, le organizzazioni di base, gli Stati islamici e gli altri gruppi armati di opposizione hanno arruolato i loro soldati fra i giovani poveri e disoccupati, per raggiungere l’obiettivo di diventare possidenti titolari di diritti acquisiti. Non solo, i Talebani accumulano profitti coltivando il papavero e fabbricando l’oppio. Anche nel periodo in cui in questo secolo detennero il potere, i Talebani non posero fine alla produzione di droga e al contrabbando frontaliero. Anzi, fu questa una delle fonti di profitto più redditizie per l’ufficialità talebana. Oggigiorno in Afghanistan ci sono 3.600.000 giovani drogati, numero che aumenta ogni anno. Gli spacciatori hanno stretti legami coi Talebani e con la mafia appoggiata da una parte dei funzionari di governo, tutti complici nello spacciare la droga e avvelenare la gioventù. Molti govani con un’istruzione superiore, non trovando lavoro per anni, si sono dati alla droga.

Quella guidata dai Talebani non è minimamente una rivoluzione di classe. Quello che vediamo è solo un governo agente dell’imperialismo che, ricevuti gli ordini, consegna terre e popolazione a forze religiose retrive ed estremiste e ai signori della guerra locali.  La cricca dirigente talebana usa una gioventù che non ha niente come strumento del proprio dominio, né il progetto politico futuro sarà minimamente incentrato sugli interessi della gioventù. La cricca che controlla i Talebani è da tempo una parte della classe dirigente afghana. Adesso probabilmente tenteranno di fondare una loro legalità.

Da interviste all’Associazione Rivoluzionaria delle Donne Afghane, risulta che gran parte delle regioni è stata di fatto consegnata ai Talebani pacificamente. L’ordine del comando generale dell’esercito governativo è stato di non resistere ai Talebani e di arrendersi. Un ordine deciso l’anno scorso dal governo Biden e da varie forze talebane e afghane. Dopo che nell’aprile di quest’anno Biden ebbe dichiarato che avrebbe ritirato l’esercito entro l’estate, i Talebani si sono affrettati ad accordarsi per la resa con l’esercito governativo in ogni parte del paese. Molti generali di stanza a Kabul (in gran parte i brutali signori della guerra della precedente Alleanza del Nord), indifferenti a chi avrebbe vinto, hanno scelto di mettere le mani sui fondi per le spese militari. Hanno ridotto razioni e rifornimento per i soldati in prima linea, si sono riempiti le tasche grazie all’invenzione di “soldati fantasma”, ovvero dichiarando effettivi inesistenti e impossessandosi dei loro salari e razioni, che sono finiti sui propri conti correnti. Probabilmente credono che, una volta al potere, anche i Talebani dovranno mostrarsi amichevoli con gente potente come loro. Mentre la piccola parte di soldati governativi animati da amor di patria e risoluti a combattere si sono trovati accerchiati e a corto di cibo e munizioni e sena alcun sostegno dal governo centrale.  Kabul li ha abbandonati.

Sono ormai decine di anni che l’Afghanistan è in deficit commerciale. Nel 2020 le importazioni afghane sono state il nonuplo delle esportazioni. Le merci esportate sono soprattutto prodotti agricoli semilavorati e materie prime. Quelle importate vanno dai generi di consumo ai mezzi di produzione. Ciò significa che l’Afghanistan è di fatto diventato una delle principali destinazioni per le merci dei maggiori paesi industriali del mondo e dei dintorni. Le statistiche calcolano che 80-90% del mercato dei beni di consumo sia di merci importate. Si potrebbe dire che questo protratto deficit commerciale dipende dalla struttura economica afghana, incentrata sull’agricoltura. Ovviamente, si può ammettere che questo sia l’effetto della sconfitta delle città sostenute in passato dagli aiuti esteri e della corruzione del notabilato (la cosiddetta economia sorretta dalle donazioni). Ma il bisogno dei maggiori paesi industrializzati di sbocchi commerciali ha reso assai difficile all’Afghanistan  di cambiare una politica commerciale di basse esazioni doganali, un punto di estrema importanza, che continua a tenere sotto controllo la crescita economica del paese. In un quadro di grave sovrapproduzione globale, perdere l’occasione dell’Afghanistan potrebbe deprimere la produttività industriale estera. A causa del rapido ridursi degli aiuti statunitensi e degli sconvolgimenti politici, l’economia afghana sta subendo un grave tracollo. In precedenza, le principali potenze internazionali erano ancora disposte, in cambio del ripudio del fondamentalismo islamico, a concedere aiuti economici ai Talebani. Ma non c’è ancora una risposta certa al quesito: riuscirà il nuovo governo a evitare di finire rovesciato come il precedente? A causa della posizione occupata da tempo nell’ordine commerciale globale, l’Afghanistan non potrà facilmente realizzare l’autosufficienza economica. Il valore stimato in mille miliardi di dollari dei giacimenti minerari non ancora sfruttati (di litio, ferro, rame, cobalto e altri metalli industriali strategici) potranno forse far diventare l’Afghanistan una fonte di materie prime ambita dalle grandi potenze ed esposta alle loro ingerenze. Se i Talebani riuscissero a ottenere il potere sovrano restando fondamentalisti, potrebbero anche arrivare a rifiutare il riconoscimento internazionale e gli aiuti economici e dunque facilmente provocare una catastrofe umanitaria ancora peggiore di quella odierna, p. es. carestie su vasta scala e la crudele oppressione degli oppositori e del popolo comune. Il governo talebano potrebbe anche accentuare l’oppressione politica sulle altre etnie e credi e sulle donne.

I partiti di sinistra tradizionali dell’Afghanistan sono poco influenti. Alcune organizzazioni e militanti sono in esilio all’estero. Se i Talebani scegliessero di non condividere il potere, ma adottassero il sistema di governo dominato dalla mawla sotto la guida dei mullà, in una condizione di estromissione delle altre forze politiche, le forze di sinistra avrebbero ancor meno speranza di fare azioni pubbliche che ai tempi del governo Ghani.

Considerando che i Talebani sono stati già riconosciuto dal Pakistan, la Russia e altri Stati confinanti, non è escluso che queste nazioni possano avere un ruolo ancora più profondo nel consolidamento del dominio talebano sull’Afghanistan. Non sarebbe una buona notizia per le forze progressiste. L’influenza disastrosa che ebbe in passato il socialimperialismo sovietico indurrebbe probabilmente molti a mantenere le distanze dai valori di sinistra tradizionali. Tuttavia, come già abbiamo avuto occasione di scrivere, l’Afghanistan deve già fronteggiare il crollo delle economie rurale e urbana, l’acutizzarsi delle contraddizioni di classe e altri problemi, come la caduta di molte donne, giovani e migranti di ritorno in uno stato di povertà strutturale. Oggigiorno, il 10% degli afghani più ricchi controllano l’economia e il governo di uno Stato in cui la grande maggioranza della popolazione non ha modo di soddisfare i bisogni basilari. Non è una situazione che possa cambiare perché i Talebani hanno preso il potere. Sono difficoltà che diventeranno le motivazioni per gran parte del popolo afghano di volgersi alle forze rivoluzionarie progressiste.

Traduzione di GioGo

1) Il testo è stato pubblicato in cinese dall’account Weixin Qiapas dongfeng dianzuan. https://mp.weixin.qq.com/s/9WTMFu_ejDVsoY8kbNHaeQ

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