“L’Occidente sta legittimando i Taliban”
Salto Gespräche – 30 ottobre 2022 – di Elisa Brunelli
La lotta delle donne afghane contro il fondamentalismo e le ingerenze straniere. L’intervista a un’attivista della Revolutionary Association of the Women of Afghanistan.
A un anno e mezzo dal ritorno al potere dei Talebani, l’Afghanistan rappresenta la testimonianza più drammatica del fallimento delle violente politiche coloniali ai danni di una terra ricchissima e complessa che mai nessuna tra le forze occupanti che si sono alternate nel corso dei decenni è mai riuscita a comprendere.
Oggi le violenze dei fondamentalisti si abbattono su un paese già gravato da una pesantissima crisi economica in cui esplosioni, attacchi suicidi ed esecuzioni sommarie sono all’ordine del giorno. Ancora una volta le donne, private di ogni diritto, stanno pagando il prezzo più alto, dimostrando allo stesso tempo di non essere disposte né di sottostare alle violenze dei talebani né di subire la narrazione occidentale che continua a relegarle a soggetti passivi incapaci di reagire e di autodeterminarsi.
Maryam Rawi*, tra le esponenti più di spicco della storica organizzazione clandestina di RAWA, (l’Associazione Rivoluzionaria delle Donne Afghane) racconta una resistenza lunga quarant’anni più forte delle minacce, delle torture e delle uccisioni a cui sono quotidianamente sottoposte e dove i talebani rappresentano solo gli ultimi dei nemici da combattere.
salto.bz: Maryam, da oltre 40 anni RAWA combatte in Afghanistan per i diritti e l’autodeterminazione delle donne. Cosa significa essere un’organizzazione femminista in un territorio martoriato da guerre e controllato da un regime fondamentalista, come quello talebano?
Maryam Rawi: La Revolutionary Association of the Women of Afghanistan è l’unico gruppo femminista che lavora in Afghanistan e nei campi profughi in Pakistan ininterrottamente dal 1977. Sin dalla sua fondazione, RAWA è stata molto attiva politicamente, organizzandosi con assemblee e riunioni, senza mai trascurare l’attività di scrittura, oggi visibile dal web. Ma soprattutto ci siamo concentrate sui progetti umanitari, prediligendo l’istruzione delle donne e la loro indipendenza economica, finanziando ad esempio progetti lavorativi. Forniamo inoltre servizi sanitari gratuiti, recandoci di prima persona nelle aree rurali più remote del Paese, dove si trovano le donne più bisognose. Da sempre abbiamo subito forti pressioni e minacce dalle diverse fazioni fondamentaliste, dai mujāhidīn prima e dai talebani poi ed è per questo che RAWA ha sempre lavorato in segreto. Non abbiamo uffici o sedi, i nostri veri nomi e i nostri volti non vengono mai associati all’organizzazione. La clandestinità è qualcosa che ci ha sempre contraddistinto e ci ha permesso di essere presenti in tutte le province afghane e di sopravvivere alle circostanze più difficili. Già dal primo periodo talebano, antecedente all’11 settembre 2001, RAWA è stato il primo gruppo a dar vita alle scuole clandestine, che venivano organizzate di volta in volta in abitazioni private diverse per non essere scoperte. Sono stati organizzati corsi di alfabetizzazione, ma anche inglese, scienze e letteratura. Abbiamo fatto tesoro dell’esperienza accumulata in tutti questi anni per continuare ad andare avanti ancora oggi, organizzando allo stesso tempo proteste per continuare a manifestare il nostro dissenso e dare un segnale a un mondo che si è girato dall’altra parte. L’ultima manifestazione si è svolta di fronte all’ambasciata iraniana per esprimere vicinanza alle nostre “sorelle” oltreconfine che stanno lottando contro il fondamentalismo e continuano ad essere fonte di ispirazione per tutte noi.
Da oltre un anno i talebani hanno ripreso il controllo su tutto l’Afghanistan. Come possiamo descrivere la situazione del Paese?
Probabilmente stiamo vivendo il momento più difficile della nostra storia, non solo per le donne ma in generale per tutta la popolazione, specie le giovani generazioni. Dal primo giorno in cui i talebani hanno riottenuto il potere, sono state applicate restrizioni e divieti contro le donne, impedendo alle bambine di frequentare la scuola oltre il sesto grado. Successivamente hanno vietato la musica e alle donne di indossare vestiti colorati, obbligandole a coprirsi di nero dalla testa ai piedi. Oggi migliaia di ragazze in tutto l’Afghanistan rimangono rinchiuse nelle loro case. Hanno perso le speranze, tutti i loro sogni. Con la presa di Kabul l’intero sistema è collassato. Non esiste più un apparato giuridico. La maggior parte delle istituzioni e degli uffici sono stati chiusi. Ogni cosa ha smesso di funzionare. Molte persone hanno perso il proprio lavoro, l’inflazione è alle stelle e solo il due percento della popolazione ha accesso a cibo sufficiente da soddisfare il reale fabbisogno giornaliero. Tutto è crollato in poche ore. I media ricevono pressioni e minacce sempre più insistenti per eliminare le donne dai loro programmi. Le esecuzioni mirate sono aumentate, prendendo di mira soprattutto attivisti, politici, ex membri dei vecchi uffici. Molte attiviste donne sono state uccise o fatte sparire. Inizialmente i talebani avevano promesso agli occhi dell’occidente l’amnistia per tutti gli oppositori ma la verità è che li stanno eliminando uno ad uno.
Le scorse settimane una violenta esplosione avvenuta all’interno di un centro educativo a ovest di Kabul, una zona abitata dalla minoranza scita e dalla comunità hazara, ha avuto conseguenze drammatiche, provocando 53 morti e oltre un centinaio di feriti, perlopiù giovani studentesse. Il ritorno dei talebani sta contribuendo a peggiorare le condizioni dei gruppi minoritari afghani?
In Afghanistan nessuno può ritenersi al sicuro. Violenti attacchi contro la comunità hazara, e in generale contro la minoranza scita, si sono verificati anche prima del ritorno al potere dei talebani, penso a tutti gli attentati portati avanti da Daesh. Storicamente i gruppi religiosi, etnici e linguistici sapevano convivere, si mischiavano tra di loro. Ma la radice del fondamentalismo, alimentato dalle interferenze estere, è la frammentazione e l’esasperazione delle differenze. Molti dei cosiddetti intellettuali, soprattutto occidentali, liquidano la questione afghana come un semplice scontro di etnie, dal momento che i talebani sono rappresentativi all’interno del gruppo pashtun. E la soluzione che propongono è quella di dividere l’Afghanistan su una presunta base etnica, ma questo significherebbe renderla più vulnerabile e assoggettabile dalle potenze esterne.
Quando i talebani hanno ripreso il controllo di tutto il Paese, gli Stati Uniti hanno rilasciato un comunicato stampa dichiarandosi “sorpresi”. Possiamo considerarla un’affermazione credibile?
Durante quei giorni RAWA ha pubblicato un articolo contenente un’analisi dettagliata della situazione. Il titolo diceva che “quello che ha fatto l’imperialismo in Afghanistan non è una sorpresa”. L’agenda dell’occidente ha sempre guardato alla sottomissione e all’oppressione di interi popoli per mantenere il controllo di un territorio. Con il ritiro delle truppe straniere abbiamo avuto la conferma che una volta decollato l’ultimo aereo nessuno si sarebbe più curato della condizione dell’Afghanistan. E le drammatiche immagini delle persone che precipitavano nel vuoto mentre tentavano di aggrapparsi agli ultimi velivoli in volo ben descrivono la drammaticità di quella sensazione. Sebbene abbiano formalmente lasciato il Paese, gli Stati Uniti non se ne sono mai davvero andati. Rimangono e mantengono il controllo attraverso nuove forme. E in questo i talebani si sono rivelati lo strumento migliore, rivelandosi i migliori burattini che gli Stati Uniti potessero trovare. Nei prossimi anni, come abbiamo visto in altri paesi accomunati da un analogo destino, è molto probabile che sorgeranno nuovi gruppi fondamentalisti e terroristi, mentre i talebani, quando non serviranno più, verranno gettati come carta straccia.
Dopo quasi 19 anni di guerra gli Stati Uniti e i Talebani hanno firmato, alla presenza delle Nazioni Unite, dell’Unione europea, dell’Organizzazione per la cooperazione islamica, oltre che dai rappresentanti di Russia, Cina e Pakistan lo storico accordo di Doha, che si è rivelato estremamente a favore dei secondi, mentre il governo afghano allora in carica è stato totalmente estromesso dalle decisioni. Quali sono stati gli aspetti più controversi del trattato?
I contenuti esatti non sono ancora conosciuti. Quello che è certo è che per due anni non ci sono stati attacchi nè dall’una nè dall’altra parte. L’accordo di Doha ha rafforzato di molto i talebani, da gruppo terrorista si è trasformato in una potente forza politica a tutti gli effetti. Sono stati invitati in Qatar, hanno gestito i loro uffici attraverso i loro rappresentanti mandati a negoziare. Le loro richieste sono state accolte, come il rilascio di migliaia di prigionieri e la rimozione del nome dei leader talebani dalla black list degli Stati Uniti.
I talebani al potere insistono nel mostrare un volto diverso, sebbene ai vertici ci siano gli stessi leader di allora. Tuttavia i giovani combattenti sono cambiati, sono i figli della globalizzazione e beneficiano della tecnologia, a differenza dei loro predecessori. Che cosa accumuna dunque questa nuova generazione di talebani ai primi studenti di teologia che hanno preso il potere vent’anni fa?
Noi diciamo sempre che i talebani non sono cambiati. La loro mentalità, la loro ideologia è sempre la stessa. Eppure c’è una nuova generazione di talebani che non ha mai vissuto sotto il loro controllo. Vent’anni fa era proibito avere videocamere, scattare fotografie. Ma oggi ogni soldato possiede un cellulare. I maggiori leader hanno un account Twitter e i talebani realizzano e pubblicano loro stessi le immagini in cui si vedono protagonisti di brutali atti criminali. I talebani hanno imparato ad utilizzare i media per la loro propaganda, dimostrandosi apertamente ancora più misogini di ieri e il pretesto non è più la sola religione. Le donne vengono aggredite in strada, torturate sul petto e in mezzo alle gambe per impedire loro di mostrare i segni delle violenze. Arresti ed esecuzioni sommarie avvengono per i motivi più banali. Sempre più dirompente è inoltre la corruzione dilagante e che non si limita più ai comprovati furti degli aiuti umanitari. È dimostrato infatti che i leader talebani stanno acquistando case e beni di lusso, stanno mandando i loro figli all’estero per studiare nelle scuole più prestigiose e prepararsi ad essere il futuro della leadership. Si stanno sposando per la seconda o la terza volta, minacciando le famiglie o acquistando giovani ragazze, spesso bambine, servendosi della condizione di estrema miseria in cui versa la maggior parte della popolazione.
Poco dopo aver preso il potere, il TIME ha inserito un importante leader talebano tra le 100 persone più influenti del 2021. Oggi, sebbene nessuno stato abbia formalmente riconosciuto il governo talebano, alcuni paesi, come la Turchia, stanno stringendo importanti accordi economici. Ci stiamo lentamente abituando al loro dominio?
Soffermarsi su questo aspetto è fondamentale per comprendere questo subdolo processo di normalizzazione, soprattutto da parte dell’Occidente. Nessuno stato riconosce formalmente il governo talebano ma ci stanno insegnando che bisogna accettare la loro presenza, che in fondo non sono così brutali. I leader talebani vengono chiamati a partecipare a dibattiti, viaggiano liberamente da uno stato all’altro. Nelle televisioni afghane si mostrano mentre parlano di cose superficiali, come hobbies e cibi preferiti. Li stanno dipingendo come degli esseri umani qualsiasi. Qualche tempo fa è stato sostituito il Ministro dell’istruzione. Secondo la narrazione dei media occidentali, la sua “colpa” era quella di volere riaprire le scuole per ragazze, trovandosi in disaccordo con il resto della leadership che ha optato per la sua rimozione. Ci stanno già insegnando a distinguere i talebani buoni, progressisti su cui poter fare affidamento. Ma la questione educativa è molto più complessa di come viene goffamente riassunta. Le scuole in Afghanistan sono state trasformate radicalmente, i programmi stravolti per renderli densi di precetti religiosi, eliminando la maggior parte delle materie scientifiche. Persiste un regime segregazionista che sopravvive anche e soprattutto nelle scuole. Le borse delle bambine che possono ancora frequentare le lezioni vengono perquisite giornalmente perché non è loro concesso portare cellulari o make up. Se questo è il modello di scuola che intendeva applicare il ministro “moderato” cosa lo rende diverso da quello attuale, che mantiene, per ora, la politica di chiusura?
* L’identità dell’intervistata viene celata per ragioni di sicurezza. I progetti di RAWA sono sostenuti dal CISDA
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