Talebani e liberalismo
Dawn, 23 dicembre 2022, di Aasim Sajjad Akhtar*
Sono passati 14 mesi da quando l’Afghanistan è stato consegnato ai Talebani dalla forza militare più temibile che il mondo abbia mai conosciuto, l’esercito statunitense. Per quasi tutto questo tempo abbiamo sentito dire che il regime di Kabul è nettamente diverso da quello che governava negli anni Novanta, disposto e capace di conformarsi a norme di condotta liberali.
Il governo del Pakistan, ovviamente, ha propagandato le virtù dei Talebani 2.0 più di chiunque altro. Washington non lo ammetterà mai pubblicamente, ma ha acconsentito alla graduale normalizzazione del regime talebano.
Pertanto, le lacrime di coccodrillo versate dai funzionari pakistani e statunitensi in seguito alle recenti notizie secondo cui Kabul sta vietando alle donne l’istruzione universitaria sono ciniche nel migliore dei casi e spregevoli nel peggiore.
Anche qui in Pakistan, le evidenti contraddizioni della politica ufficiale nei confronti dei Talebani vengono messe sempre più a nudo. L’audacia con cui il Tehreek-i-Taliban Pakistan (TTP) ha catturato degli ostaggi a Bannu (https://www.dawn.com/news/1727347) sembra un caso di déjà vu dei primi anni 2000.
Sono stati regolarmente segnalati casi di ripresa della militanza [del TPP] in Waziristan, Lakki Marwat, Zhob e in aree geografiche pashtun sempre più diversificate come Kurram, la città di Quetta e Swat.
Le rivolte popolari del Qaumi Pasoon nello Swat e in altre regioni contro questa recrudescenza sono state una boccata d’aria fresca, come le proteste di strada in corso guidate prevalentemente dalle donne a Kabul e in altre città afghane.
Ma nella maggior parte dei casi le spiegazioni di intellettuali liberali e i ragionamenti politici per rispondere a forze sociali come i Talebani sono molto carenti. In effetti, il liberalismo – e il suo gemello storico, il capitalismo – sono altamente responsabili della ripetuta rinascita di movimenti illiberali come i Talebani (afghani e pakistani), il Tehreek-i-Labbaik Pakistan (TLP), l’Hindutva ecc.
Si può andare anche più indietro nel tempo, ma per almeno quattro decenni l’ordine liberal-capitalista sostenuto dagli Stati Uniti e dalle classi dirigenti del resto del mondo ha fallito sia nei confronti dei lavoratori razzializzati e di genere delle società occidentali che delle periferie storiche del sistema mondiale.
Da un lato, ci viene venduta la retorica liberale su diritti umani, diritti delle donne, tolleranza zero per la militanza religiosa, razzismo, sessismo ecc. È questa retorica che ha guidato i cosiddetti “interventi umanitari” degli autoproclamati poliziotti del mondo in numerosi Paesi a maggioranza musulmana come l’Afghanistan, il mondo arabo e l’Africa settentrionale/sub-sahariana.
Dall’altro lato ci sono le ragioni reali e non rivelate di questi interventi: la conservazione del potere strategico-militare delle istituzioni statali e il profitto rapace di potenti interessi di classe ed economici. Laddove gli “interventi umanitari” diretti non sono richiesti o non sono possibili, il potere statale e di classe è sostenuto da imposizioni politiche relativamente più banali, fatte da donatori bilaterali e multilaterali, come quelle che stiamo vivendo sotto forma di condizionalità del FMI.
È sulle rovine delle guerre imperialiste e delle innumerevoli forme di espropriazione sociale ed economica che prospera la destra. È un fatto storico che il jihadismo abbia rappresentato un intervento strategico dell’impero americano e dei regimi complici nei Paesi musulmani – come la dittatura di Zia [generale e dittatore pakistano dal 1978 al 1988] – per minare il blocco sovietico e il nazionalismo del Terzo Mondo.
Oggi, questi Frankenstein si sono trasformati in forze sociali a sé stanti, che a volte devono essere eliminate attraverso libri liberali che invocano il terrorismo, e altre volte meritano ancora il patrocinio in nome di interessi strategici.
È una follia per i progressisti invocare gli stessi slogan liberali di Stati che non perseguono altro che cinici interessi. L’Afghanistan dei Talebani 2.0 contiene preziosi giacimenti minerari che sono ambiti dai governi occidentali e da potenze emergenti come la Cina.
L’idea che uno di questi grandi attori sia interessato a difendere i presunti valori liberali “universali” è ingenua e non serve in alcun modo gli interessi a lungo termine delle donne e delle ragazze afghane – o di qualsiasi popolazione indigena che si trovi a vivere in un territorio strategicamente importante e/o a risorse da estrarre per profitto.
Non dimentichiamo inoltre che le regioni pakistane Pashtun, in cui il TTP sta tornando in auge, sono ricche di petrolio, gas, minerali ecc. Così come altre periferie etniche – basti pensare allo spudorato saccheggio di Reko Diq e di altre zone del Baluchistan.
L’establishment qui può anche continuare a patrocinare i militanti a sfondo religioso per decenni, ma questa non è l’unica storia che spiega il riemergere del TTP o l’ascesa di nuovi movimenti sociali come il TLP. Né questa storia è limitata a paesi a maggioranza musulmana, come conferma la fenomenale ascesa della destra indù nella vicina India.
Abbiamo bisogno di una narrativa diversa per sfidare sia l’ideologia di destra sia gli interessi materiali di imperi, corporazioni e istituzioni statali.
*L’autore di questo articolo insegna all’Università Quaid-i-Azam di Islamabad.
[trad. a cura di Cisda]
Lascia un commento