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“Vi racconto l’inferno che è oggi l’Afghanistan”

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Intervista a Sapeda che proprio un anno fa, quando Kabul cadeva nelle mani degli estremisti, si trovava in Italia per un Master ed è stata costretta a fare domanda di asilo

Veronique Viriglio, AGI, 18 agosto 2022

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“Di Afghanistan non si sente più parlare nei media, eppure in un solo anno di potere talebano la situazione è notevolmente peggiorata. Il mio popolo è passato dalla ‘padella’ durante l’occupazione Usa all’inferno di un governo barbaro e fondamentalista che ha riportato il mio Paese al Medioevo”.

Testimonianza sofferta quella di Sapeda – nome di copertura per motivi di sicurezza – dentista, attivista sociale e politica che proprio un anno fa, quando Kabul cadeva nelle mani degli estremisti, si trovava in Italia per un Master ed è stata costretta a fare domanda di asilo.

Per tutti gli afghani, in particolar modo per donne e ragazze, il 15 agosto 2021 rappresenta un giorno molto buio, anche se quegli eventi non sono stati una sorpresa: Stati Uniti e alleati avevano preparato il terreno per il ritorno dei talebani durante i colloqui di Doha”, ha sottolineato Sapeda all’AGI. Per lei e per molti afghani, il ritorno dei talebani al potere non è stato quindi un fulmine a ciel sereno.

Tra i tanti segnali la giovane attivista cita la scarcerazione dei leader talebani da Guantanamo e Bagram, il rilascio di altri 5 mila prigionieri, la cancellazione dei terroristi e criminali di guerra dalla lista nera delle Nazioni Unite. Una delle maggiori criticità è stata aver affidato la supervisione dei colloqui a quello che la fonte definisce “un traditore come Zalmay Khalilzad”.

Sapeda non risparmia le sue accuse nei confronti di Usa e alleati Nato che per 20 anni hanno lasciato che i talebani si rafforzassero in segreto, commettendo attentati suicidi per lo più ai danni di civili innocenti. “La gente deve sapere che l’Afghanistan non è stato affatto un paradiso durante la permanenza Usa, anche se oggi se la passa peggio”, ha denunciato la rifugiata afghana, la cui famiglia vive nella sua terra di origine.

Oltre alle violazioni dei diritti delle donne – studiare, lavorare, uscire da sole, prendere un taxi e indossare vestiti colorati, alla perdita di spazi di libertà, a umiliazioni e minacce quotidiane, problematiche evidenziate dalle cronache giornalistiche e dall’attivismo, Sapeda ha riferito di come il suo Paese sia precipitato nel baratro.

Il potere talebano è la causa di povertà estrema, disoccupazione record, insicurezza diffusa, boom di matrimoni forzati e spose bambine a livelli senza precedenti, anche come conseguenza della povertà e di condizioni di vita terrificanti”, ha ancora riferito la dentista afghana.

Da qualche settimana la situazione in loco si sta ulteriormente deteriorando con attentati suicida che hanno preso di mira le minoranze religiosi ed etniche, quali sciiti e hazari, causando la morte di centinaia di uomini, donne e bambini. L’unico motivo di speranza e nota positiva in mezzo al caos è che “le donne sono riuscite a provare che non possono più essere messe a tacere e incatenate da queste forze reazionarie e fondamentalisti. Anche se rischiano la propria vita, porteranno sempre avanti la loro lotta coraggiosa”.

Per Sapeda anche le donne afghane che vivono all’estero hanno una grande responsabilità in questa battaglia: accrescere la consapevolezza e tenere alta l’attenzione su questa terribile situazione. Sotto accusa, invece, i media mainstream che – deplora l’attivista – hanno una capacità di concentrazione davvero limitata, ieri dedicata all’Afghanistan, oggi all’Ucraina, domani ad un altro Paese, portando i lettori ad essere disinformati e confusi.

Guardando al presente e al prossimo futuro, la rifugiata afghana in Italia lancia un doppio appello al governo italiano e all’Unione europea: da un lato non sostenere più Usa e Nato nelle loro politiche guerrafondaie e non riconoscere mai il potere talebano, anche se dovesse formare un governo ‘inclusivo’. L’invito è a non farsi ingannare se dovessero includere persone di tutte le minoranze etniche e religiose poiché “ad ogni modo non cambierà mai la loro essenza barbarica, fondamentalista e reazionaria”, ha prospettato Sapeda.

Dall’altro, la sua richiesta forte e chiara è quella di supportare movimenti secolari, indipendenti e popolari, tra cui le organizzazioni Rawa e Hambastagi, al posto dei politici più affermati e dei cosiddetti attivisti che “ci hanno soltanto tradito e si sono arricchiti in questi 20 anni”, tra cui, tra gli altri, Habiba Sarabi e Fawzia Koofi. Per lei, “sono tutte persone che hanno reso popolare la grande macchina mediatica Usa e non hanno alcun posto nel cuore degli afghani, non li rappresentano affatto, le donne in particolar modo”.

Un altro suggerimento in merito alla cooperazione internazionale riguarda la gestione delle donazioni che non andrebbero date alle organizzazioni più grandi ma a piccole Ong più affidabili. “In questi 20 anni di permanenza Usa, più di un milione di milioni di dollari (circa 720 mila milioni di euro) è stato speso in Afghanistan, eppure ci sono volute davvero poche ore per far crollare un intero Paese” ha sottolineato Sapeda. Sul versante umanitario, la giovane attivista auspica invece procedure più celeri per l’evacuazione degli afghani in pericolo di vita, “anche se un milione di persone riuscisse a fuggire in America o in Europa, altri 30 milioni rimarrebbero comunque a soffrire in patria”.

Molto duro, inoltre, il suo giudizio sull’accoglienza dei rifugiati in Italia, “la maggior parte dei quali è intrappolata in un sistema burocratico molto complesso e con la difficoltà della lingua, soprattutto dopo essere traumatizzati e sotto shock per lo sradicamento totale”.

Per Sapeda, la più grande ingiustizia che viene fatta è quella di fare discriminazioni tra migranti, ad esempio tra rifugiati ucraini e gli ‘altri’: sono tutti in una situazione di ‘guerra’ contro la povertà, l’insicurezza, l’assenza di diritti umani fondamentali e la privazione di cibo ed acqua potabile.

“Credo che l’unica soluzione per l’Afghanistan sia che il suo popolo si unisca per combattere contro ogni forma di fondamentalismo e contro i loro padroni all’estero, dall’Arabia Saudita all’Iran, dagli Usa alla Turchia” dice con convinzione la battagliera attivista. In conclusione sono le donne afghane ad avere “un potenziale straordinario”, chiave di volta del loro futuro e di quello del Paese, ma “è responsabilità dei partiti secolari e democratici aiutarle ad organizzarsi e mobilitarsi per un cammino di libertà, democrazia, indipendenza e giustizia sociale”.

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