I rischi quotidiani delle giornaliste afghane
La vita per le donne nei media è stata desolante dopo la presa di potere dei Talebani, e gli esperti non prevedono che la situazione cambi presto
Katie Dancey-Downs, Index on Censorship, 7 aprile 2023
“Ogni giorno la situazione si aggrava”, ha dichiarato questa settimana al pubblico la caporedattrice di “Zan Times” Zahra Nader. Insieme a “Afghan Witness” e al “Centre for Information Resilience”, la direttrice di “Zan Times” ha acceso i riflettori sulle esperienze delle giornaliste afghane con l’evento online “Discriminazione, proibizione e perseveranza: la realtà delle giornaliste in Afghanistan”.
Nader ha iniziato la sua carriera giornalistica a Kabul, ma ora vive in Canada. Da lì, non è solo una collaboratrice di Index, ma gestisce anche “Zan Times”, una redazione investigativa guidata da donne che si occupa di violazioni dei diritti umani in Afghanistan. Lavora con giornaliste nel paese che usano tutte pseudonimi, così come altre al di fuori.
“Il nostro obiettivo è quello di riportare e raccontare la verità”, ha detto, mettendo il potere nelle mani delle donne, in modo che “siano loro a definire le notizie”.
Le leggi che impediscono alle donne di fare reportage in modo efficace non sono sempre specifiche per le giornaliste, ha spiegato. Sono influenzate dall’intersezione tra l’essere donna e l’essere giornalista. I Talebani hanno emanato decreti che vietano alle donne di viaggiare da sole, obbligano le presentatrici e le ospiti della TV a coprirsi il volto e in alcune province vietano che la loro voce possa essere ascoltata alla radio. Viaggiare per incontrare le fonti diventa improvvisamente impossibile, mentre le conduttrici radiofoniche e le altre voci femminili vengono messe a tacere in luoghi come Kandahar, dove alle donne è stato detto che non possono telefonare alle stazioni radio.
Nader ha spiegato come in generale ai giornalisti, donne e non, sia vietato pubblicare qualsiasi cosa contraria alla cultura afgana o all’islam. I talebani hanno una presa soffocante sulla politica dei media. Ha descritto un panorama in cui i talebani hanno torturato le persone per aver coperto le proteste delle donne e in cui più della metà dei media ha chiuso per mancanza di fondi o per l’impossibilità di lavorare all’interno delle restrizioni dei talebani. I talebani hanno recentemente chiuso una stazione radio gestita da donne nel Badakhshan, e Nader dubita che rimangano media di proprietà femminile.
“La possibilità che le lascino funzionare sembra molto bassa”, ha detto.
Nader ha anche detto che, se le organizzazioni mediatiche assumono giornaliste, “i talebani del vizio e la virtù bussano alla loro porta ogni giorno”, valutando cosa indossano e cosa fanno. Ha sentito dire che alcune organizzazioni dicono alle donne che se vogliono lavorare come giornaliste devono farlo senza retribuzione.
“Le donne sono l’obiettivo principale dei talebani”, ha detto, chiedendosi chi, senza giornaliste, promuoverà le voci delle donne.
“Il lavoro classico tradizionale che facevamo in Afghanistan non funziona più”, ha detto, spiegando che sono necessari nuovi modi di fare giornalismo, tra cui offrire alle donne una formazione sulla sicurezza informatica per ridurre al minimo i rischi, ed è qui che entra in gioco la collaborazione con organizzazioni come “Afghan Witness”.
Anouk Theunissen di “Afghan Witness” lavora dall’estero con reportage open-source e citizen journalism per smontare le narrazioni talebane. Ha spiegato che nei giorni successivi alla presa di potere dei Talebani i discorsi di odio online contro le donne sono aumentati in modo significativo.
“Poiché le donne sono state cancellate dalla società, si sono rivolte ai social media”, ha detto. Lì possono esprimersi più liberamente. Ma le giornaliste sono aggredite da commenti e messaggi d’odio. Nader ha ricordato il caso di un giornalista uomo che ha commentato un post definendo l’abuso delle donne una fake news.
Sia Nader che Theunissen dubitano che la situazione in Afghanistan possa migliorare. Ciò che manca, ha detto Nader, è la solidarietà della comunità internazionale.
Per le donne che lavorano ancora come giornaliste in Afghanistan la sicurezza è fondamentale. Nader ha spiegato che, invece di mettere tutti le giornaliste afghane in un unico gruppo WhatsApp, le redattrici dello “Zan Times” tengono separate le conversazioni. Altrimenti, se una giornalista viene arrestata e il suo telefono viene controllato, tutte sono a rischio.
Le giornaliste sono costrette a lavorare da remoto il più possibile per la propria sicurezza, e “Zan Times” consiglia loro di parlare solo con fonti che possono essere sicure non siano collegate ai talebani. Ogni volta che dicono a qualcuno che sono giornaliste rischiano di essere identificate.
Alcuni delle colleghe di Nader che lavorano là raccontano che ogni giorno quando escono di casa si chiedono se quello sarà il giorno in cui verranno arrestate, eppure continuano a uscire.
“Questo mi dà un po’ di speranza, vedere che ancora resistono”, ha detto. “Solo la resistenza può mantenere viva la speranza.”
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