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L’impatto dei cambiamenti climatici sulle battaglie delle donne afghane

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Altraeconomia.it – Rainer Maria Baratti – 1 gennaio 2023

Il 75% del territorio è a rischio desertificazione e i prolungati periodi di siccità rendono sempre più scarsa la resa dei campi. Una crisi che si somma alle gravi fragilità dell’Afghanistan, alimentando disuguaglianze e violenza di genere

cambiamentiNel 2015 la comunità internazionale si è impegnata ad aumentare gli sforzi per contenere l’innalzamento della temperatura media globale al di sotto di 1,5 gradi per evitare gli effetti peggiori della crisi climatica. Ogni frazione di grado in più può fare la differenza: se non si invertirà il trend grazie alla riduzione delle emissioni, i cambiamenti climatici andranno ad aggravare sempre di più le fragilità dei singoli territori, colpiti da fenomeni naturali improvvisi (come le alluvioni) e da altri a lenta insorgenza (come la siccità). Parallelamente andranno ad aggravarsi anche le disuguaglianze -di potere e non- già esistenti che vedono la violazione dei diritti di molti per garantire lo sviluppo per pochi.

Non può passare inosservato il fatto che il 70% delle emissioni climalteranti globali sono prodotte da cento grandi imprese, come denuncia il Carbon majors database. Allo stesso modo, come evidenzia il Conflict and environment observatory, il comparto bellico “pesa” per il 5,5%: se fosse uno Stato, sarebbe preceduto solo da Cina, Stati Uniti e India. Tra i Paesi che soffrono e soffriranno sempre di più gli impatti dei cambiamenti climatici rientra l’Afghanistan, un territorio dalle molteplici fragilità. Secondo il report “Climate risk country profile” della Banca mondiale, è la quinta nazione al mondo più vulnerabile a tali impatti a causa della sua situazione politica, della malnutrizione, della collocazione geografica e del conflitto in corso dagli anni Ottanta.

Una vulnerabilità destinata ad aumentare nel tempo se non verranno prese azioni decise per ridurre le emissioni e per elaborare politiche di adattamento: processi che non possono prescindere dal coinvolgimento delle comunità più colpite, in particolar modo donne e minoranze. 

La crisi è in atto. Una ricerca curata dallo Statistical economic and social research and training centre for Islamic countries (Sesric) ha evidenziato che la percentuale di frequenza delle calamità naturali in Afghanistan rispetto al resto del mondo è passata dallo 0,7% del 1970 al 1,6% del 2016. L’aumento di questi fenomeni -insieme ai combattimenti e alla crescente insicurezza di numerose aree che sono diventate invivibili per i civili- ha causato centinaia di migliaia di sfollati interni, costretti ad affrontare senza un riparo adeguato le alluvioni, il gelo invernale e le eccezionali temperature estive. Non dobbiamo dimenticare poi che il 75% del territorio afghano è già colpito da fenomeni di desertificazione e che la copertura forestale è diminuita dell’80% negli ultimi settant’anni. Infine un articolo pubblicato sulla rivista Geophysical research letters evidenzia come la siccità in Afghanistan possa raddoppiare, se non addirittura triplicare, entro il 2050.

A essere più esposte a questi rischi sono le comunità rurali che vivono nei territori più remoti. Qui si registra anche un tasso di povertà più elevato (52,6% in base ai dati della Banca mondiale del 2017) rispetto a una media nazionale drammatica che vede un cittadino afghano su due in condizione di indigenza. Gli afghani dipendono fortemente dal grano, che fornisce fino a due terzi dell’apporto calorico giornaliero.

Questi dati evidenziano in maniera chiara quanto la popolazione afghana sia esposta agli effetti della crisi climatica, in particolare ai fenomeni di siccità come quelli intercorsi nel decennio 1997-2007 (che ha causato una riduzione del 50% del numero dei capi di bestiame) e successivamente tra il 2017 e il 2018. In questo biennio si è dimezzata la produzione di grano, cereale estremamente suscettibile alla scarsità d’acqua. Non bisogna poi trascurare il fatto che nel Paese una superficie pari a circa 188 chilometri quadrati è contaminata dalla presenza di mine anti-uomo che (oltre ad aver provocato la morte di più di 17mila persone) hanno causato danni ambientali e contaminato falde acquifere attraverso il rilascio di metalli pesanti.

Tra i Paesi che soffrono e che soffriranno sempre di più gli impatti dei cambiamenti climatici c’è l’Afghanistan, un territorio dalle molteplici fragilità

La crisi climatica non riguarda solo lo stato del Pianeta ma i diritti fondamentali di tutte e tutti, compreso il tema più che mai centrale dell’autodeterminazione delle donne. Non è un caso che a fine luglio 2022 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite abbia riconosciuto l’accesso a un ambiente pulito, sano e sostenibile quale diritto umano fondamentale. La sua tutela è essenziale dal momento che le ingiustizie ambientali rappresentano un moltiplicatore di diversi tipi di prevaricazioni che colpiscono direttamente i popoli di tutto il mondo e che possono determinare diverse tipologie di oppressione. 

Il sesto rapporto di valutazione del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite (Ipcc) pubblicato a luglio 2022 afferma che i cambiamenti climatici determinano un forte rischio per la sicurezza nazionale degli Stati più fragili e possono esacerbare le disuguaglianze strutturali presenti in essi, aumentando inoltre la violenza di genere. In altre parole l’impatto del “clima che cambia” è più forte sui segmenti di popolazione che già si trovano in una condizione di vulnerabilità. E in tali contesti questi vedono ridotte le proprie “capacità” di vivere una vita dignitosa e trovare forme di sostentamento. 

Proprio per avere una speranza di sopravvivenza e rispondere a condizioni climatiche sempre più difficili molti agricoltori vanno alla ricerca di colture più resistenti. Sfortunatamente tra queste c’è il papavero da oppio (da cui si ricava l’eroina) che ben si adatta alle alte temperature ed è in grado di sopravvivere a prolungati periodi di siccità

La sostituzione delle produzioni alimentari con l’oppio, imposta dai grandi proprietari terrieri, è stata alimentata dalla crisi climatica 

Anche a causa del contesto generale in cui si trova il Paese, il mercato di questa sostanza ha potuto fiorire e rappresenta un’alternativa più sicura, ma non priva di contraddizioni, per i contadini afghani. La sostituzione delle produzioni alimentari con l’oppio, imposta dai grandi proprietari terrieri, è stata quindi alimentata dalla crisi climatica. Talebani e signori della guerra hanno potuto introdurre questo tipo di coltura sempre più facilmente, potendo oltretutto agire indisturbati poiché durante gli anni dell’occupazione le forze Nato erano assenti nelle zone più remote del Paese. Nel corso degli anni la vendita di oppio ed eroina alla criminalità internazionale ha assicurato ai miliziani le risorse economiche necessarie per armi e munizioni, preparando così la strada al consolidamento del loro potere. 

Quanto accaduto in Afghanistan ha una forte responsabilità occidentale sia sul piano climatico, sia sul piano dell’intervento militare. Le dinamiche descritte sono state possibili grazie all’occupazione “fallita” in cui è mancato lo Stato di diritto, in cui corruzione e violenza erano all’ordine del giorno e non vi era interesse a rispondere al deterioramento ambientale. Si è portato avanti un “processo di democratizzazione” che non ha tenuto conto dell’elemento essenziale della democrazia (le persone) e ha ignorato le forze laiche e progressiste del Paese. È stato un processo che ha erogato duemila miliardi di dollari in spese militari e destinato solo 792 milioni ai progetti di cooperazione e sviluppo locale. Il nation building avrebbe dovuto abbattere terrorismo e fondamentalismo, eppure oggi le donne afghane sono costrette a lottare per i propri diritti, costrette a non lavorare più e a rimanere in casa nel ruolo di “procreatrici” e schiave domestiche, circondate da un ambiente naturale sempre più ostile, perché caratterizzato da una progressiva devastazione. 

Con questo contributo a cura di Rainer Maria Baratti, vicepresidente dell’associazione Large movements, in collaborazione con il Cisda, Altreconomia vuole mantenere un appuntamento fisso sulla rivista e su altreconomia.it per tenere una luce accesa sull’Afghanistan

LA CAMPAGNA PER LE DONNE AFGHANE VA NELLE SCUOLE

Non ci può essere vita sulla Terra se il diritto fondamentale alla libertà di autodeterminarsi per ogni donna non viene riconosciuto. Parlare di Afghanistan ci permette di mettere a fuoco questa correlazione strategica a livello globale. #StandUpWithAfghanWomen lancia attraverso Altreconomia una riflessione che si incontra con la sensibilità dell’associazione “Verità e giustizia, il Tigullio per i diritti” che per l’anno scolastico 202-23 propone alle scuole del territorio un percorso su ambiente e diritti umani. “Uno dei moduli formativi ospiterà il Coordinamento italiano sostegno alle donne afghane (Cisda, cisda.org) nelle terze liceo degli istituti superiori di Chiavari (GE)”, spiega Donatella Nicolini, segretaria, tesoriera e responsabile per il progetto scuola dell’associazione ligure. “Quanto accaduto in Afghanistan ci pare significativo per riflettere con gli studenti sulla drammatica sinergia tra cambiamento climatico, migrazioni, conflitti armati, abbandono dell’agricoltura di sussistenza per convertire i terreni alla produzione di oppio, diritti fondamentali della popolazione civile più vulnerabile, a partire proprio dai diritti delle donne.”

Altreconomia continua a sostenere le donne afghane ed è media partner della campagna #StandUpWithAfghanWomen promossa da Cisda e Large movements, sostenuta da 68 organizzazioni della società civile. La campagna è sempre aperta: associazioni, collettivi, enti e sindacati che volessero unirsi, possono compilare il form sul sito standupwithafghanwomen.eu. I singoli cittadini, di qualunque nazionalità, possono unirsi alle 2.965 persone che hanno già aderito sia attraverso Change.org sia in occasione dei numerosi eventi pubblici organizzati da diverse realtà in Val Pellice, a Varese, Milano, Roma, Modena, Carugate, Casale Monferrato, Sestri Levante, Reggio Emilia, Bologna, Bergamo, Faenza, Sasso Marconi, Cernusco sul Naviglio, Torino e Camogli. Cisda è a disposizione per organizzare incontri e iniziative sulla campagna in tutta Italia. Per informazioni: standupwithafghanwomen.eu e retecisda@gmail.com. Per l’attività nelle scuole: scuola@cisda.it

STAND UP FOR CHANGE WITH AFGHAN WOMEN

 

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