L’oppio afghano non abita più qui
ilmanifesto.it Giuliano Battiston 9 giugno2023
ASIA CENTRALE. Dopo il bando promulgato dal leader supremo dei Talebani la riduzione della coltivazione del papavero è «senza precedenti». Cancellato così anche uno dei principali “datori di lavoro”
Sull’oppio, i Talebani fanno sul serio: la riduzione «è senza precedenti» e dipende dalla progressiva applicazione del bando promulgato nell’aprile 2022 dal leader supremo, Haibatullah Akhundzada.
I Talebani «sono riusciti a ridurre di oltre il 99% la coltivazione del papavero nella provincia di Helmand, che in precedenza produceva oltre il 50% dell’oppio del Paese». Una situazione simile vale anche «per altre province del sud e del sud-ovest, un’area che di solito coltiva circa l’80% del raccolto totale di papavero dell’Afghanistan». Qui rimangono «solo piccole sacche di coltivazione di papavero nella provincia orientale di Nangarhar». La coltivazione potrebbe essere aumentata in alcune zone del nord-est, come nel Badakhshan, ma è chiaro che «verranno raggiunti i livelli più bassi di coltivazione del papavero dal divieto talebano del 2000/2001».
A SOSTENERLO, grazie a immagini satellitari di precisione e a una pluridecennale esperienza sul campo, è David Mansfield, autore di molte ricerche accademiche e di un libro fondamentale come A State Built on Sand. How Opium Undermined Afghanistan (Hurst), pubblicato nel 2016. Lì Mansfield restituisce l’oppio alla complessa economia politica di cui fa parte, contestualizzando il bando del 27 luglio 2000, al tempo del primo Emirato.
Che ha funzionato. Nell’agosto successivo, infatti, l’Agenzia dell’Onu per la droga e il crimine (Unodc) sforna dati precisi: coltivazione ridotta da 82.000 ettari del 2000 a 8.000 ettari. Nelle aree controllate dai Talebani, da 78.850 ettari a 1.220. I funzionari della Nazioni unite parlano di successo straordinario. Pochi mesi dopo, con il rovesciamento militare del regime da parte degli Stati uniti, «le interpretazioni del bando talebano sulla produzione dell’oppio sarebbero state influenzate dalla narrazione sulla ‘guerra al terrore’ e dalla ‘demonizzazione’ del regime» dei Talebani, scrive nel libro David Mansfield.
IL QUALE, OGGI, ritiene la riduzione del 2023 «senza precedenti». Ne dà conto in un contributo online sul sito di Alcis, azienda specializzata nella raccolta di dati geospaziali. Partendo proprio dallo scetticismo con cui è stato accolto il decreto con cui Haibatullah Akhundzada ha bandito l’oppio. È l’aprile 2022: poche settimane prima, alle ragazze delle superiori viene impedito di andare a scuola. Molti leggono il bando sull’oppio come un tentativo di dirottare l’attenzione. Al contrario, da allora c’è stato «un costante aumento della pressione sulla produzione di droga», contestuale al tentativo di costruire consenso tra le comunità agricole rurali e gli apparati amministrativi. La parola dell’emiro talebano non si fa legge per volontà divina. Passa per politiche amministrative, che incontrano resistenza. In alcune aree, ci sono scontri e morti. Ma il bando viene applicato. «La realtà è che in Afghanistan è stato imposto un divieto effettivo di coltivazione del papavero nel 2023 e la produzione di oppio sarà trascurabile rispetto al 2022».
NEL CORSO DELL’ESTATE del 2022 i Talebani «intensificano gli sforzi contro l’industria della metanfetamina» e mandano segnali inequivocabili sull’oppio proprio nelle province di riferimento di Haibatullah, Helmand e Kandahar. I campi piantati alla fine del 2021, quasi pronti al raccolto, non vengono sradicati per non compromettere l’economia di intere comunità, ma ci si concentra sulle stagioni successive. Un elemento di cui non tengono conto gli esperti dell’Onu. Così, nel rapporto del novembre 2022 dell’Unodc viene detto «che la coltivazione è aumentata del 32% rispetto all’anno precedente, nonostante il raccolto del 2022 fosse stato piantato dodici mesi prima del rapporto e cinque mesi prima che Haibatullah annunciasse il suo piano antidroga». Un piano che per ora funziona. Le immagini satellitari parlano chiaro.
Meno chiare sono le ragioni del bando e i suoi effetti. Nel suo libro, Mansfield attribuisce il bando del primo Emirato al tentativo dei Talebani di uscire dall’isolamento diplomatico internazionale, accreditandosi come interlocutori affidabili. Nel suo recente articolo, anticipa invece le letture dei media: «Si potrebbe sostenere che il divieto sia un vero e proprio atto di zelo religioso, una continuazione degli sforzi di Haibatullah per concentrare il potere, uno sforzo per attirare grandi quantità di assistenza allo sviluppo da parte della comunità internazionale, etc». Qualcuno, come già in passato, ipotizzerà che il bando derivi dalla volontà dei Talebani di monopolizzare il commercio, o di manipolare i mercati. Letture – come quella di Roberto Saviano sui “Talebani nuovi narcos” – molto fragili, che Mansfield lascia con ironia agli esegeti del pensiero talebano.
ANCHE GLI EFFETTI sui consumatori sono difficili da anticipare. «L’ultima volta che i Talebani hanno imposto un divieto, nel luglio 2000 – ricorda il ricercatore – ci sono voluti 18 mesi prima che si registrasse un calo significativo della qualità dell’eroina nei mercati del Regno unito e due anni perché la purezza scendesse dal 55% al 34%». Di gran lunga più preoccupante, per Mansfield, «è l’impatto del divieto sulla popolazione afghana. L’economia dell’oppio è stata a lungo uno dei maggiori datori di lavoro. Nel 2022 avrebbe dato lavoro a 450.000 persone (a tempo pieno) e 1,3 miliardi di dollari di reddito netto agli agricoltori. Il raccolto di papavero nel solo Helmand avrebbe fornito quasi 21 milioni di giorni di lavoro per coloro che si occupano di estirpazione e raccolta, e 61 milioni di dollari in salari nel 2022».
COSA SUCCEDERÀ, ora? C’è coltivatore e coltivatore, spiega Mansfield. I coltivatori con molti ettari potranno capitalizzare, mettendo da parte una percentuale del raccolto in vista di un aumento del prezzo. Altri, invece, ne usciranno con le ossa rotte, dovendo vendere a prezzi bassi. «I proprietari terrieri più ricchi, nel sud e sud-ovest, saranno in grado di coltivare una quantità di grano sufficiente a soddisfare il fabbisogno familiare, e avranno a disposizione terreni per colture da reddito come il cotone, le noci e i meloni». Ma in altre province e per coloro che hanno meno terra non sarà possibile. «Qualcuno passerà a cipolle, aglio, pomodori, ma senza ricavarne reddito sufficiente» per famiglie numerosa. L’emigrazione, allora, diventerà una strategia sempre più importante. «Se il divieto dovesse durare a lungo, i paesi europei potrebbero trovarsi a dover scegliere tra la droga afghana e i migranti afghani».
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