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Le donne nell’Afghanistan dei talebani. Almeno 1.115 quelle imprigionate

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ROMASette.it, 22 maggio 2023, di Michele Altoviti  

La testimonianza della mediatrice culturale Nazifa Mersa Hussain, al corso di formazione per giornalistimanifestazione afghanistan 21ag2021 roma 750x430. «Politiche oppressive» anche verso le minoranze religiose

Escluse dalla possibilità di studiare e quindi di frequentare scuole e università ma anche dal lavoro amministrativo, dalle attività sociali e commerciali. Impedite nella libertà di viaggiare, di indossare abiti alla moda o di seguire programmi mediatici di intrattenimento. È questa la condizione delle donne in Afghanistan dall’agosto del 2021, da quando, «dopo 20 anni di guerra, i talebani hanno ripreso il potere», gettando il Paese «nei giorni più bui della sua storia». Ad illustrare i «più di 20 ordini e decreti di restrizione contro le donne riguardanti la vita quotidiana» è stata Nazifa Mersa Hussain, mediatrice culturale afghana, intervenendo lo scorso venerdì, 19 maggio, alla Lumsa, al corso di formazione per giornalisti «”Andare, vedere, ascoltare… Parlare col cuore”. Le parole di Papa Francesco su come stare nell’informazione e nella comunicazione».

Nel mettere in luce come «le politiche molto oppressive di questo gruppo al potere hanno privato milioni di donne e ragazze di una vita sicura, libera e degna», condannandole invece «a una morte lenta e silenziosa», Hussain ha affermato che per loro «fanno eccezione solo il matrimonio, la crescita dei figli e l’obbedienza al marito» e che si tratta però per lo più di «matrimoni precoci e forzati». Ancora, la mediatrice culturale ha ricordato che «l’estensione e la gravità delle violazioni talebane contro donne e ragazze aumentano di mese in mese: recentemente ci sono state notizie sul divieto alle donne di lavorare nel settore dei servizi sanitari come infermiere, ostetriche o medici e ciò sarebbe gravissimo perché non sarebbe in questo modo garantita alcuna assistenza sanitaria alle donne, in quanto vige per loro il divieto di rivolgersi a medici uomini».

Hussein ha ricordato che tutte le donne afghane che «hanno protestato pacificamente contro queste restrizioni, chiedendo il rispetto dei loro diritti fondamentali, sono state minacciate, frustate, arrestate, carcerate, torturate o uccise». Citando in particolare una ricerca comparsa su “Etilaat Roz”, il quotidiano simbolo per indipendenza e coraggio, campione anti-corruzione 2020 secondo Transparency International, Hussein ha reso noto che «almeno 1.115 donne e ragazze sono imprigionate nei centri di detenzione talebani», osservando che «queste cifre si riferiscono a sole 24 province del Paese e non includono le altre 10», perciò «sicuramente le cifre effettive sono molto più alte di quanto abbiamo potuto accertare perché il regime ha stabilito una schedatura anche dei familiari, che hanno paura di ritorsioni». Inoltre, la cultura maschilista e patriarcale «preferisce nascondere questi problemi per non affrontare la vergogna di essere etichettati come famiglie in cui le donne non rispettano le regole», sono ancora le parole della mediatrice afghana.

Hussein ha poi trattato delle condizioni delle minoranze religiose nel suo Paese d’origine, riferendo che, «nell’ultimo anno, hanno affrontato il rischio dell’esclusione dalla società e della dura repressione da parte di gruppi terroristici». In particolare, «in questo periodo – ha continuato -, l’Isis ha effettuato 13 attacchi contro la minoranza sciite e almeno 1.600 persone sono state uccise o ferite. Insieme agli sciiti, anche le comunità etnico-religiose indù e sikh sono state oggetto di attacchi terroristici, che hanno costretto queste minoranze a lasciare l’Afghanistan».

Da ultimo, Hussein ha osservato criticamente che «a livello internazionale, i Paesi occidentali stanno continuando ad applicare una politica sbagliata che dimostra di non essere a favore del popolo afghano» perché «sappiamo che, nonostante non ci sia stato il riconoscimento di questo regime terrorista, ogni settimana arrivano 40 milioni di dollari ai talebani come aiuti umanitari» ma «questi fondi vengono consegnati alla Banca centrale dell’Afghanistan, che è sotto il controllo e la gestione dei talebani, che con questo denaro danno terra, case e forniscono servizi alle loro famiglie».

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