“Le ostetriche hanno paura”
Le restrizioni negli spostamenti imposte dai talebani alle donne incidono negativamente anche sulla salute delle partorienti
A. Hanayish, S. Lewal, M. Scollon, RFE/RL, 20 maggio 2023
Partorire è una lotta per la vita o la morte per le donne in Afghanistan, dove si ritiene che circa ogni due ore una madre muoia per complicazioni prevenibili della gravidanza e del parto.
Anche le madri che riescono a sopravvivere devono affrontare la cruda realtà che i loro neonati potrebbero non farcela: il Ministero della Salute talebano stima che ogni 1.000 bambini nati vivi ne muoiano 22.
“Perché una donna dovrebbe andare in ospedale?”. Zia Gul, 31 anni, residente nella provincia settentrionale di Parwan, ha ricordato le parole del marito durante le sue difficili gravidanze. “In ospedale ci sono solo uomini, non ci sono medici donna”.
Gul ha dichiarato a Radio Azadi di RFE/RL che il rifiuto del marito di farla visitare da un medico ha contribuito alla perdita appena nati di due dei suoi figli.
L’esperienza di Gul è in linea con quella di molte donne afghane, soprattutto nelle zone rurali conservatrici, che sono vincolate dall’usanza islamica del mahram. Questa pratica proibisce alle donne di uscire di casa senza un parente maschio, impedisce loro di essere curate da medici maschi e dà loro poca voce in capitolo nelle decisioni sulla propria salute.
Ma le usanze tradizionali imposte dai suoceri di Gul, che non hanno permesso discussioni in merito, sono solo uno dei tanti fattori che contribuiscono all’elevata mortalità materna nella società profondamente patriarcale dell’Afghanistan.
Anni di sconvolgimenti politici, difficoltà economiche, esodo di professionisti del settore medico, scarsa alfabetizzazione e sensibilizzazione del pubblico sui temi della salute, infrastrutture carenti e mancanza di accesso alle cure mediche nelle aree più remote sono tutti fattori che contribuiscono a determinare tassi di mortalità materna sorprendentemente elevati.
Tra i peggiori del mondo
Secondo le statistiche compilate dalla Banca mondiale, dal Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (UNPFA) e da altre agenzie delle NU, prima del 2000, poco prima che i talebani venissero estromessi dal potere, 1.450 madri morivano ogni 100.000 nati vivi. Nel corso dei successivi 20 anni, fino al 2000, grazie all’aumento dei finanziamenti e dell’attenzione prestata all’assistenza sanitaria materna e alla sensibilizzazione da parte dell’UNPFA, delle agenzie umanitarie internazionali come Medici Senza Frontiere (MSF) e del governo afghano, quel numero è stato ridotto di oltre la metà, passando a 620 decessi.
La presa del potere da parte dei Talebani nell’agosto del 2021 ha sollevato il timore che il gruppo estremista reintroducesse le politiche draconiane del suo primo periodo di potere, dal 1996 al 2001, tra cui il divieto di istruzione e occupazione femminile e l’applicazione del mahram.
Molti di questi timori si sono realizzati. Alle ragazze al di sopra della prima media è stato impedito di frequentare la scuola, alle donne è vietato proseguire gli studi universitari e non possono più lavorare per le agenzie di aiuto internazionali. Anche il marham è più diffuso: le donne sono ufficialmente obbligate a indossare il burqa che copre tutto e a rimanere in casa se non accompagnate da un parente maschio.
Ancora una volta, secondo Aleksandar Sasha Bodiroza, rappresentante dell’UNFPA in Afghanistan, è stata limitata la possibilità per le donne di accedere liberamente alle strutture sanitarie per ricevere cure materne e neonatali.
Dal 2020 non sono più disponibili statistiche esterne a livello nazionale, ma l’Associazione afghana di ostetrici e ginecologi, citando dati recenti del Ministero della Salute del governo guidato dai talebani, ha dichiarato a Radio Azadi che il tasso di mortalità materna è aumentato solo leggermente sotto il governo talebano.
Sebbene il dato di 638 morti materne ogni 100.000 nati vivi sia lo stesso registrato dalla comunità internazionale nel 2017, è ancora abbastanza alto da collocare l’Afghanistan tra i 10 peggiori al mondo in termini di mortalità materna.
Il fatto che la situazione sia rimasta relativamente stabile è difficile da comprendere, considerando il gran numero di medici che sono fuggiti dal Paese quando i Talebani hanno ripreso il potere, la disastrosa situazione economica e le molteplici crisi umanitarie, nonché le crescenti pressioni sugli operatori umanitari e sulle donne afghane.
Anche il sistema sanitario statale, sostenuto dagli aiuti stranieri per due decenni, ha subito un drastico calo dei finanziamenti internazionali dopo la presa di potere dei Talebani.
Gli operatori sanitari e le agenzie esterne affermano che il danno arrecato al settore sanitario è innegabile.
“Il sistema è cambiato nel nostro Paese. Naturalmente, ciò ha avuto un impatto sull’economia del Paese e sui servizi che il governo fornisce alla popolazione”, ha dichiarato a Radio Azadi Hamid Jabari, un medico afghano espulso dal Paese dai Talebani. “Gli effetti negativi si fanno sentire, compresa la mancanza di professionisti nel governo, soprattutto nel settore sanitario”.
Alcune delle perdite sono compensate dal continuo coinvolgimento di organizzazioni esterne, compresi gli ospedali privati, l’UNFPA e MSF, che grazie a una deroga per gli operatori sanitari sono stati in grado di continuare ad assumere donne nonostante il divieto dei talebani alle lavoratrici umanitarie.
Ma rimangono enormi ostacoli. Bodiroza ha dichiarato in un commento scritto che “nonostante l’esonero del settore sanitario dal divieto di impiegare operatrici umanitarie, il settore risente comunque del divieto imposto alle ONG perché alcune sostengono l’efficienza dei servizi sanitari indirettamente, ad esempio come personale di back office e non come operatori sanitari in prima linea”.
Le operatrici sanitarie afghane, a loro volta, hanno dichiarato a Radio Azadi che viene loro impedito di svolgere il proprio lavoro o di ampliare le proprie competenze, anche se i fattori che contribuiscono alla mortalità materna diventano più gravi. Il risultato è che i neonati o le donne incinte sono ora più a rischio di morti evitabili durante la gravidanza, il parto e nelle prime settimane dopo il parto.
“Molte donne incinte non possono accedere all’assistenza prenatale o postnatale e il sistema sanitario fatica a curare le donne che subiscono complicazioni in gravidanza”, ha dichiarato a RFE/RL Tomas Bendl, responsabile delle comunicazioni sul campo di MSF in Afghanistan. “La carenza di personale sanitario femminile qualificato influisce anche sull’accesso all’assistenza sanitaria, poiché i reparti di maternità e talvolta di pediatria sono spazi riservati alle sole donne”.
Hussain Sayer, un medico della provincia di Parwan, ha detto a Radio Azadi che il parto dovrebbe idealmente avvenire in un ospedale ostetrico sotto la cura di un ostetrico e che è una “cattiva abitudine” negare alle donne l’accesso alle strutture sanitarie durante la gravidanza, avvertendo che l’unica opzione disponibile per molte donne – il parto in casa – comporta un grande rischio.
Nel caso in cui le nascite avvengano in casa, ha detto, dovrebbero essere supervisionate da un’ostetrica qualificata.
Ma se negli ultimi due decenni si è cercato di aumentare il numero di ostetriche professioniste in Afghanistan in grado di fornire assistenza medica durante le gravidanze, i parti e le cure postnatali, molte donne afghane che hanno intrapreso la professione dicono di non essere in grado di aiutare.
Nadia, un’ostetrica che ha parlato con Radio Azadi a condizione di usare solo il suo nome di battesimo, ha detto che molte delle sue colleghe specializzate in ginecologia e ostetricia sono “disoccupate e stanno a casa” dopo la presa di potere dei Talebani.
Un’altra ostetrica, che ha rifiutato di fornire il suo nome per motivi di sicurezza, ha detto che la paura impedisce a molte sue colleghe di lavorare.
“Le ostetriche non vanno da un posto all’altro per assistere le nascite – ecco perché i problemi sono aumentati”, ha detto a Radio Azadi. “Ogni ostetrica teme per la propria vita”.
Le restrizioni alla mobilità delle donne hanno avuto un effetto dannoso sugli sforzi per educare le comunità sulla salute delle donne nelle aree remote del paese, secondo Bodiroza.
Anche quando i familiari maschi permettono alle donne di recarsi presso le strutture sanitarie, nelle aree rurali la difficoltà di raggiungerle limita il numero di visite e spesso può significare che l’aiuto viene somministrato troppo tardi.
“Ho portato mia moglie alla clinica in motocicletta”, ha detto a Radio Azadi Abdul Samad, un residente della provincia sud-orientale di Ghazni, spiegando che viveva lontano dalle strutture per la maternità.
Sebbene Samad sia riuscito a portare la moglie da un medico, poco dopo essere uscito per recuperare la madre, ha ricevuto brutte notizie. “Mezz’ora dopo ho ricevuto una telefonata che diceva che mia moglie era in agonia”, ha raccontato. “Quando sono tornato, ho visto che avevano ragione”: sia sua moglie che il loro neonato erano morti.
Sforzi continui
È difficile valutare quale sia la reale situazione dell’Afghanistan in termini di mortalità materna, ma i benefici di un impegno costante e di un aiuto medico sul campo sono evidenti.
Bendl ha dichiarato che MSF gestisce due progetti in Afghanistan che si concentrano, tra le altre cose, sull’assistenza sanitaria materna e impiega più di 1.700 professionisti medici in Afghanistan, di cui più della metà sono donne.
L’anno scorso MSF ha assistito più di 42.700 parti, più di 8.000 dei quali sono stati caratterizzati da complicanze ostetriche. A Lashkar Gah, capoluogo della provincia meridionale di Helmand, il suo sostegno all’ospedale ha ridotto il tasso medio di mortalità materna allo 0,1%. Nella provincia sud-orientale di Khost, dove gestisce un ospedale per la maternità, il tasso di mortalità è stato dello 0,02%.
Bodiroza ha dichiarato che l’agenzia continua a “fornire una gamma completa di servizi per la salute materna in Afghanistan” e sostiene strutture e forniture essenziali per la salute riproduttiva in 32 delle 34 province del Paese.
Nonostante gli aspetti positivi, chi è coinvolto nella fornitura di servizi sanitari in Afghanistan afferma che c’è ancora molto da fare.
Bodiroza ha detto che l’UNFPA stima che senza un sostegno immediato e consistente ai servizi di salute riproduttiva, la situazione potrebbe portare a 51.000 morti materne in più entro il 2025.
Aggiungendo che “i servizi per la salute riproduttiva sono quindi più critici che mai”, Bodiroza ha detto che l’agenzia delle Nazioni Unite punta a raggiungere 10,6 milioni di persone – tra cui 6,8 milioni di donne e ragazze – nelle aree remote con il supporto alla salute riproduttiva.
Bendl ha affermato che “non c’è dubbio che il sistema sanitario disfunzionale, la povertà diffusa e le gravi restrizioni imposte alle donne siano al centro dell’attuale crisi umanitaria”.
“Se vogliamo che la situazione migliori”, ha detto, “i politici, i donatori e le autorità locali devono concentrarsi urgentemente sul rafforzamento dell’assistenza medica primaria”. E alle donne, ha aggiunto, “deve essere permesso di perseguire ulteriori opportunità di istruzione e di lavoro, per aumentare il reddito per le loro famiglie e per garantire che ci sia un numero sufficiente di operatrici sanitarie nel Paese per soddisfare le esigenze”.
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