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Afghanistan, la crisi è sia dentro che fuori dei confini. E i Paesi vicini espellono i profughi

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la Repubblica Mondo Solidale, 4 luglio 2025

Rientrare in Afghanistan vuol dire, soprattutto per le ragazze, affrontare l’ossessione liberticida dei talebani. L’84% della popolazione vive al di sotto del livello di povertà

ROMA – Si avvicina il quarto anniversario del ritorno dei talebani al potere in Afghanistan, quando, il 15 agosto 2021 issarono la loro bandiera sul palazzo presidenziale di Kabul, dopo l’uscita frettolosa dei contingenti Nato a guida statunitense, di cui era parte anche l’Italia. Da allora, la condizione di vita degli afghani non accenna migliorare né per i residenti, né per i profughi nei Paesi vicini. E’ su questi ultimi che in settimana si sono concentrati l’Agenzia Onu per i rifugiati (Unhcr) e la Federazione di Croce rossa e Mezzaluna rossa internazionale (Ifrc), che hanno lanciato l’allarme sui ritorni forzati da Pakistan e Iran, principali paesi di destinazione per i rifugiati.

Dal Pakistan rientrati 1 milione di rifugiati. Dal Pakistan secondo l’Ifrc, dal 2023 sono rientrati un milione di afghani nel quadro della politica promossa da Islamabad per espellere tutti i profughi afghani residenti irregolarmente. Una dinamica che si è intensificata con l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, a gennaio scorso.Quanto all’Iran, primo paese al mondo per popolazione rifugiata secondo dati Unhcr (3,4 milioni), a marzo ha varato una legge che stabilisce l’interruzione al rinnovo del permesso di soggiorno per gli afghani nel Paese. Ancora l’Ifrc avverte che 800mila afghani hanno attraversato il valico di frontiera di Islam Qala, nell’Afghanistan occidentale, di ritorno dall’Iran da gennaio 2025. Di questi, secondo l’Agenzia Onu, 640mila sono rientrati solo nel mese di giugno.

Le persone arrivano esauste. Gli organismi umanitari avvertono che le persone spesso arrivano esauste e senza cibo, acqua o riparo adeguati in un periodo dell’anno segnato dall’aumento delle temperature, aumentando anche la pressione su comunità già in affanno.Lanciano quindi un appello alla comunità internazionale a intervenire a sostegno delle popolazioni.In questo quadro, secondo gli esperti si fanno decisamente sentire gli effetti dei tagli agli aiuti umanitari stabiliti da diversi governi, a partire dagli Stati Uniti.

Da un giorno all’altro sospese mille ostetriche. “Da un giorno all’altro abbiamo dovuto tagliare mille ostetriche e questo significa che delle donne probabilmente moriranno o sono morte partorendo, che i neonati non sopravvivono e che c’è un aumento nella violenza di genere” ha riferito alla Dire Mariarosa Cutillo di Unfpa, il Fondo Onu per la popolazione. Arafat Jamal, rappresentante dell’Unhcr a Kabul, avverte: “Le famiglie afghane vengono sradicate ancora una volta, arrivano con pochi effetti personali, esauste, affamate, spaventate da ciò che le aspetta in un Paese in cui molti di loro non hanno mai messo piede.

La paura delle ragazze per la libertà di movimento. Le donne e le ragazze sono particolarmente preoccupate, perché temono le restrizioni alla libertà di movimento e ai diritti fondamentali come l’istruzione e l’occupazione”.Un quadro confermato dalla famiglia Shukohman, residente in Iran, il cui visto scade a metà agosto: un termine che non pone fine solo alla residenza ma riduce quasi a zero le possibilità di curare la piccola Ayeda, due anni, affetta da Colestasi intraepatica progressiva familiare (Pfic): è una malattia genetica che colpisce il fegato, causa prurito invalidante, ittero e, senza cure, può causare cirrosi epatica e quindi morte.”Mia figlia soffre moltissimo” racconta la mamma di Ayeda all’Agenzia Dire, “piange per il dolore e con gli occhi mi chiede aiuto, ma io non posso fare niente per lei”.

La raccolta di firme. Gli organismi ieri hanno anche lanciato una raccolta firme sulla piattaforma Change.org, evidenziando che in Italia “esistono centri di riferimento con competenze consolidate sulle malattie epatiche rare, in grado di offrire ad Ayeda una possibilità”. L’accoglienza nel nostro Paese “farà la differenza tra la vita e la morte”, concludono.La mamma di Ayeda aggiunge: “Non avremmo mai voluto lasciare l’Afghanistan, ma abbiamo dovuto. Mi mancano profondamente i miei genitori, i miei amici, le valli e le montagne del nostro villaggio. Ma ora rientrare è impossibile”.

L’84% della popolazione sotto la soglia di povertà. In Afghanistan la situazione è drammatica. L’Onu avverte che l’84% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà. Emergency in settimana ha diffuso il rapporto ‘Accesso alle cure d’urgenza, critiche e chirurgiche in Afghanistan’, dedicato proprio alle difficoltà che la popolazione incontra ad accedere alla sanità, sia per i servizi scarsi o difficili da raggiungere, sia per i costi in aumento.

Tre afghani su 5 non possono curarsi. Dalle interviste raccolte dai ricercatori è emerso che 3 afghani su 5 non possono pagare le cure e per ottenerle spesso si indebitano chiedendo denaro in prestito o vendendo i propri beni.Un afghano su quattro invece deve posticipare o annullare un intervento chirurgico perché non può pagarlo, mentre uno su cinque ha mancato un appuntamento di controllo. Emergency quindi avverte che questa situazione porta a peggioramenti della salute, spesso fatali: oltre il 33% degli intervistati ha riportato una disabilità o un decesso dovuti al mancato accesso alle cure.

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