Skip to main content

Gettata indietro nel passato

|


Khujasta Haqnazar,  8AM Media, 1 novembre 2025

Il primo giorno in cui internet non c’era più, mi sono sentita come intrappolata su un’isola silenziosa. Nessun messaggio è arrivato, nessuna chiamata è avvenuta. Nessuna notizia, solo io, alle prese con il mio silenzio e la mia ansia. La situazione mi ha ricordato quel lunedì di due settimane prima, il giorno in cui il Wi-Fi era saltato, lasciandoci sedute impotenti con le nostre lezioni e i nostri sogni. Ma questa volta, il disastro ha colpito più duramente, l’intero Paese è sprofondato nell’oscurità e nel silenzio assoluto per due giorni, e una vecchia ferita si è riaperta.

Imprigionata tra invisibili sbarre

Persino le reti mobili erano cadute. Non potevamo nemmeno chiamare gli amici in altre province. Per controllare i nostri parenti, dovevamo andare a trovarli di persona. Le nostre preoccupazioni si facevano più pesanti, sapendo che anche i nostri cari all’estero non avevano più nostre notizie. Quando finalmente la connessione è stata ripristinata, ci hanno raccontato di aver passato le notti a piangere, a fissare le nostre foto, temendo di non sentire mai più le nostre voci.

Quei due giorni di silenzio non furono affatto facili. Avevo finito tutti i miei libri cartacei e quelli digitali erano bloccati dietro lo schermo sbarrato di Telegram. La nostra unica fonte di distrazione era la televisione, piena di notizie cupe e domande senza risposta: perché questo blackout? Quanto durerà? Diventerà permanente? Mi sentivo imprigionato tra invisibili sbarre di ferro, incapace di raggiungere nessuno. Pensavo di avere ancora una voce, ma nessuno poteva sentirmi.

I miei amici hanno condiviso storie simili; tutti erano intrappolati nella morsa di quello stesso silenzio soffocante. Uno ha scritto dopo il ripristino di internet: “Ho passato questi tre giorni a leggere libri e mi è sembrato di essere tornato indietro nel tempo”. Un altro, che vive all’estero, ha detto: “Eravamo terrorizzati che fosse scoppiata la guerra in Afghanistan e che tu potessi essere stata ferita”. Tutti i nostri amici fuori dal Paese erano profondamente preoccupati.

Il nostro ponte con il mondo

Una delle mie studentesse ha scritto della sua stanchezza e depressione, dicendo: “Internet è la nostra unica via di fuga da queste restrizioni, l’ultima finestra di speranza”. Sì, per la mia studentessa, e per tutti noi, Internet è una delle poche fonti di speranza rimaste. Non è esagerato dire che è il nostro ponte, il nostro mezzo per connetterci, per far sentire la nostra voce e per inviare i nostri messaggi al mondo. Per molti come me, questa non è stata solo un’interruzione tecnica, è stata una ferita allo spirito.

Qualcuno ha definito l’interruzione “il periodo più difficile della mia vita”, e un altro l’ha paragonata a una catastrofe storica: “A Nagasaki, in Giappone, è stata sganciata una bomba atomica, e i suoi effetti persistono ancora. Ma in Afghanistan sono state usate due bombe atomiche: una è la privazione dell’istruzione femminile, e l’altra è il blackout di internet“. Quei due giorni di silenzio hanno gravato profondamente sulle nostre vite personali e sui nostri percorsi individuali, costringendo molti di noi a una dolorosa presa di coscienza.

Forse le nostre madri e nonne direbbero: “Anche noi una volta vivevamo senza internet”. Ma c’è un mondo di differenza. Loro vivevano nel loro tempo, senza sapere cosa fosse internet, forse senza nemmeno immaginarlo. Noi, invece, siamo stati catapultati indietro, dall’oggi all’ieri. Qualcosa di impossibile, eppure è successo. Passare dall’ieri all’oggi è naturale, ma essere trascinati dall’oggi all’ieri è un incubo, che viviamo ripetutamente, ogni volta che un nuovo decreto ci getta in un nuovo orrore. Eppure, nonostante tutto, abbiamo sempre detto all’unisono: non si torna al passato.

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *