Kurdistan: la mossa di Ocalan
volerelaluna.it Laura Schrader 21 maggio 2025
«Tra i Kurdi in tanti non capiscono. “Ocalan ha venduto il popolo Kurdo” oppure “Il Pkk fa un favore alla Turchia” dicono in molti commentando le decisione prese dal Pkk nel XII° Congresso, ma non è così. La decisione del Pkk, di sciogliersi e di deporre le armi, è legata ad alcune condizioni: la liberazione del nostro leader Ocalan che dovrà coordinare tutte le operazioni di questa nuova fase del Movimento, la rimozione del Pkk dalla lista delle organizzazioni terroristiche, l’attuazione di misure politiche e giuridiche di democratizzazione. […] Lo Stato turco dovrà liberare i prigionieri politici, in maggioranza detenuti per “sostegno al Pkk” e consentire il ritorno dei rifugiati all’estero» spiega Mevlude Askara, giornalista yazidi corrispondente dell’agenzia ANF News. Askara è rifugiata in Italia dopo essere stata incarcerata per anni a causa della sua attività giornalistica e da 16 anni non può rivedere i suoi familiari in Turchia. A conferma di una diffusa incomprensione della decisione del Pkk le statistiche: tra i sostenitori dei partiti di opposizione, meno del 20% ritiene che la decisione del Pkk possa portare a un percorso affidabile. Nell’ambito di AKP, il partito del presidente Erdogan, sceso al 30 % dei consensi, una buona metà non condivide le prospettive aperte dal XII° Congresso.
Il 12 maggio il partito dei Lavoratori del Kurdistan-PKK ha pubblicato i risultati del suo XII° Congresso annunciando lo scioglimento e la continuazione della lotta per la democrazia in Kurdistan per mezzo di strumenti politici. Il Congresso ha così risposto all’appello “Per la pace e per una società democratica” del leader Abdullah Ocalan, dal 1999 in isolamento nel carcere di Imrali, reso pubblico il 27 febbraio.
Il Pkk è stato fondato nel 1978. Ha iniziato la lotta armata nel 1984. Il conflitto, condotto dalla Turchia negli anni Novanta con uno straordinario sforzo bellico incentivato dal presidente americano Clinton, con la distruzione di migliaia di villaggi e con il ”terrorismo di Stato” degli squadroni della morte, ha causato 40 mila morti. Il nuovo manifesto del Pkk progetta la riconciliazione turco-kurda e il proseguimento con gli strumenti della politica della lotta per la democratizzazione della Turchia, di cui fa parte il riconoscimento dei diritti del popolo kurdo e delle minoranze. «Il XII Congresso ha valutato che la lotta del Pkk ha smantellato le politiche di negazione e di annientamento imposte al nostro popolo portando la questione kurda a un punto in cui può essere risolta attraverso la politica democratica» – annuncia il lungo e articolato comunicato del 12 maggio» –. «Su queste basi ha deliberato di sciogliere la struttura organizzativa del Pkk e di porre fine alla lotta armata, affidando la gestione e la guida del processo di attuazione al leader Apo. Tutte le attività condotte sotto il nome del Pkk sono pertanto concluse». Molti media hanno scritto che il Pkk si è sciolto e ha deposto le armi. Non è così. «L’attuazione di queste decisioni richiede che il leader Apo (Abdullah Ocalan) guidi il processo […] e che vengano stabilite solide e complete garanzie legali. In questa fase è essenziale che la Grande Assemblea Nazionale della Turchia svolga il suo ruolo con responsabilità storica» precisa il comunicato.
Il Governo turco sembra non comprendere, o meglio non vuole comprendere, le dichiarazioni del Pkk. Si è infatti affrettato a precisare che la decisione del Pkk è unilaterale e non deriva da un accordo, impegnandosi peraltro «a purificare il Paese dal terrorismo». Il 16 maggio il presidente Erdogan dedicava questo “risultato storico” alle madri dei soldati uccisi, scavando ulteriormente il solco turco-kurdo che la decisione del Pkk e l’appello di Ocalan vogliono colmare mettendo in primo piano la necessità della riconciliazione tra i due popoli. Erdogan dimentica che il “risultato storico” dovrebbe porre fine alla guerra contro l’eroico Rojava, da lui considerato una emanazione del Pkk. Una risposta positiva arriva da Devlet Bahceli, leader del partito di estrema destra Mhp, alleato con Akp nel governo Erdogan, al quale – paradossalmente – si deve l’avvio del processo nell’ottobre 2024. Bahceli il 18 maggio ha proposto in Parlamento la creazione di una commissione composta da circa cento deputati, le cui decisioni saranno sottoposte al voto parlamentare. Per il momento il nuovo manifesto del Pkk è sostenuto soltanto dal partito filo-kurdo Dem a cui aderiscono i progressisti turchi.
Il XII° Congresso riafferma il principio della democrazia diffusa nata dal pensiero di Ocalan e attuato nell’Amministrazione autonoma del Rojava in Siria. «Per la costruzione della democrazia» – dice il comunicato del Pkk – «è di vitale importanza che il nostro popolo, guidato da donne e giovani, costruisca le proprie organizzazioni in tutti gli ambiti della vita, si organizzi sulla base dell’autosufficienza attraverso la propria lingua, identità e cultura, si autodifenda di fronte agli attacchi e costruisca una società democratica comunitaria con spirito di mobilitazione».
Il nuovo manifesto del Pkk arriva in una Turchia devastata dalla crisi economica e dilagante corruzione, in una situazione in cui la magistratura è asservita al potere, le carceri ospitano in condizioni durissime migliaia di persone sgradite al regime – tra essi i due copresidenti del disciolto partito Hdp, Demitars e Yuksekdag, il magnate e filantropo Kavala, il sindaco di Istanbul Imamoglu, tredici sindaci eletti in Kurdistan, la folk singer Nudem Durak – e in cui non esiste libertà di stampa. Migliaia di oppositori sono costretti all’esilio e esistono prove di perduranti rapporti tra ambienti di governo e narcotraffico. Secondo lo scrittore Hasan Bildirici, molto duro per la mancanza di una risposta seria e consapevole alle proposte del Pkk, oggi soltanto il partito Dem e Ocalan «rappresentano al meglio gli interessi della Turchia». Il 17 maggio il Knk, Congresso Nazionale del Kurdistan, formato da partiti e associazioni di ogni parte del Kurdistan, ha pubblicato una lettera aperta ai leader internazionali, ai partiti, agli attivisti invitandoli a sostenere il processo di pace in Turchia. Il KnK chiede il sostegno alle richieste del Pkk: liberazione di Ocalan, misure politiche e legali concrete di democratizzazione da parte della Assemblea Nazionale, rimozione del Pkk dalle liste del terrorismo, pressioni diplomatiche e sforzi di mediazione per garantire che la Turchia rispetti i principi democratici, cessi le ostilità militari e si impegni in un processo di pace credibile, impegnandosi attraverso canali diplomatici, parlamentari e con ogni alto strumento disponibile.
Ci saranno risposte da parte della Comunità internazionale? Fino ad ora non si riscontrano azioni concrete. Pace e democrazia sembrano troppe volte parole vuote per i grandi leader dell’Occidente. A fronte della freddezza degli Usa nei confronti della proposta di pace del Pkk, non si può non ricordare la visita a Riad di Donald Trump del 14 maggio in cui il presidente americano strinse la mano al governatore della Siria Al Sharaa. Ovvero a Al Jolani, tra i leader di Isis e di Al Quaeda, nel registro dei più pericolosi terroristi del mondo, la cui milizia jihadista ha compiuto e compie crimini orribili: il massacro degli Alawiti, stupri e rapimenti di donne non velate, omicidi dei Drusi. Trump ha definito Al Sharaa “un tipo tosto” e ha stretto accordi di notevole portata economica con la nuova Siria. L’incontro tra Trump e Al Shraa era stato sollecitato e propiziato dal presidente turco Erdogan.
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