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Maria Bashir: “L’Occidente ha tradito l’Afghanistan. Le ragazze avevano i libri sotto al burqa”

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lastampa.it Francesca Paci 1 giugno 2025

La procuratrice: «Quando gli Usa hanno lasciato Kabul, Putin ha avuto campo libero»

Maria Bashir: «L’Occidente ha tradito l’Afghanistan. Le ragazze avevano i libri sotto al burqa. Quando gli Usa hanno lasciato Kabul, Putin ha avuto campo libero».
Intervista alla prima donna procuratrice dell’Afghanistan. Da quattro anni in esilio.
«E quando la speranza mi abbandona? Allora penso. Ricordo quei pomeriggi a Herat, quando, interdetta dal lavoro e segregata in casa, aspettavo che arrivassero le mie allieve, intabarrate nel burqa sotto cui nascondevano i libri, per scendere insieme in cantina e fare lezione. C’erano ragazze di ogni età. Studiavamo l’alfabeto, la matematica, la letteratura, volevo che fossero pronte per il giorno in cui avremmo avuto in mano il Paese. Ero sicura che a un certo punto i talebani se ne sarebbero andati».
Maria Bashir, prima e unica donna procuratrice nell’Afghanistan contemporaneo, puntella l’incertezza dell’esilio con le immagini dei suoi 54 anni, un condensato di ambizione, orgoglio, delusione, resilienza. Parla, composta nel morbido velo nero, a margine di un evento della fondazione Med-Or.
Racconta. È stata una bambina determinata a studiare nella Kabul aperta agli hippies di mezzo mondo ma ancora chiusa e patriarcale. È stata magistrata a Herat prima che, nel 1995, gli studenti coranici sigillassero l’orizzonte fino al terremoto delle Torri Gemelle.
È stata l’avanguardia dell’emancipazione femminile nei vent’anni in cui pareva che il Paese potesse ripartire, incorniciata nel 2011 dalla copertina di “Time” come una delle cento persone più influenti del mondo.
È stata tanto e, al netto della cittadinanza italiana riconosciutale dal presidente Sergio Mattarella, si sente nulla Maria Bashir: un’esule partita a rotta di collo quattro anni fa con l’ultimo aereo decollato da una Kabul perduta, lasciata dalla coalizione occidentale a quei mullah che aveva combattuto.
• A che punto è oggi Kabul?
A un punto morto. Il nero è sempre più nero, le donne non possono più studiare, non possono uscire di casa. Nessuno può più nulla in Afghanistan.
• Com’è cambiata la sua vita dall’estate del 2021, quando l’ultimo aereo occidentale decollato da Kabul ha spento la luce su dieci anni di speranze e il suo paese è ripiombato sotto il giogo talebano?
È come se fossi tornata indietro di decenni. La mia vita di donna attiva che faceva tante cose come procuratrice e avvocata è finita. Quando ho lasciato casa mia, nell’estate del 2021, non ho neppure staccato la luce, non ho fatto in tempo a chiudere la porta. C’era un muro in salotto, con i quadri di tutti i miei premi, la mia vita. Non ho potuto portare nulla con me, sono scappata come una ladra, di notte: se fossi rimasta mi avrebbero fatto a pezzi, letteralmente.
• Sente di essere stata tradita dall’occidente?
Devo ammetterlo, sì. Io, come tanti, ci ho creduto. Ho creduto che saremmo diventati un Paese normale. L’occidente ci ha portato tanta speranza, ci ha liberati dai talebani e poi ci ha abbandonati: ci ha riconsegnati ai nostri aguzzini. Tutte le mie studentesse, quelle che istruivo nella cantina di casa, avrebbero dovuto lavorare per il futuro e invece, nella migliore delle ipotesi, sono fuggite all’estero: nella peggiore vivono oggi chiuse in casa, depresse, mi chiamano e mi chiedono quando finirà la notte.
• Crede che nel 2021, oltre a consegnare gli afgani ai talebani, l’occidente abbia dato il via libera a quanti erano pronti a sfidarne la tenuta militare e morale sui diritti umani, da Putin a Netanyahu?
È esattamente così. Quando l’occidente ha lasciato Kabul, la Russia ha capito di avere campo libero in Ucraina. Per noi, Paesi non del primo mondo, l’Onu, i tribunali internazionali e le mille carte dei diritti dell’uomo non valgono. Che peso giuridico e morale hanno i palestinesi ammazzati da Netanyahu? La lezione è chiara, i nostri figli valgono meno dei figli del mondo occidentale.
• Da magistrata che ha dedicato la sua vita professionale alla difesa delle donne, di cosa hanno più bisogno oggi, in assenza della libertà?
L’istruzione: aiutateci a far studiare le donne, borse di studio, corsi, anche online. Spesso quella delle donne è una bandiera buona per le campagne social, un “I like” e via. Faccio appello alle europee, italiane, alla premier Giorgia Meloni: immaginate che vostra figlia non possa più andare a scuola né uscire di casa, mettetevi nei nostri panni.
• Una giudice è quasi apostasia per l’ortodossia islamica, dove una donna vale metà. Come le è venuto in mente?
Sin da quando ero bambina volevo che fosse fatta giustizia. Se assistevo a un torto volevo intervenire, volevo cambiare la storia di quella ingiustizia. Ricordo il giorno in cui mi iscrissi all’università: tutti si mettevano in fila allo sportello del corso in medicina, io scelsi legge, ero l’unica donna.
• E se sua figlia, costretta per anni a studiare in casa per le minacce, seguisse la sua stessa strada di magistrata?
La mia vita, il mio lavoro e la mia lotta sono passi sulla strada tracciata per mia figlia e tutte le altre come lei, che possano studiare, crescere, contribuire, quando sarà possibile, al futuro dell’Afghanistan. Che siano magistrate o altro. Ci sono Paesi in cui essere donna è molto difficile ma lo è anche essere cittadine. Mia figlia oggi è in Canada, ha studiato in Italia, è una persona completa che vive lontano da casa.
• Cita spesso l’“apartheid di genere” per indicare la discriminazione delle donne afgane, un’espressione usata anche dalla premio nobel per la pace iraniana Shirin Ebadi. C’è una strada, comune, che le donne possono percorrere?
L’unità, qui, in Europa, come nel mio Paese. Guardate noi, la nostra storia, la strada, i blocchi stradali, lo stallo. Le donne devono, dovrebbero capire che la battaglia è una, a Roma come a Kabul e a New York.
• Si aspetta qualcosa dall’America di Donald Trump?
Vorrei mettermi le mani nei capelli. Di Trump non sappiamo nulla, né cosa pensa quando si sveglia né cosa dirà nel corso della giornata. Da afgana voglio ricordare che è stato lui a venderci la prima volta, ad avviare i negoziati con i talebani al tempo del suo mandato numero uno. Oggi penso al sistema Maga e penso che gli Stati Uniti volevano una specie di Maga per l’Afghanistan, come se fosse possibile con uno slogan Make Afghanistan Great Again. Ci ha rovinati, l’America ci ha rovinati e dovrebbe rimetterci in piedi.
• Qual è l’episodio più spaventoso che ricorda nella sua vita di momenti di paura?
Ce ne sono stati tanti, ogni giorno della mia vita di giudice ho ricevuto lettere minatorie, dicevano “ti ammazziamo come un cane”. Non avevo paura per me, ne avevo per i miei figli. Il giorno peggiore è stato forse quando hanno messo una bomba sotto casa mia a Herat. All’epoca andavo in giro con 24 guardie corpo e avevo la macchina blindata. Esplose tutto il quartiere, crollò il muro del palazzo davanti alla mia abitazione, avevo paura per gli uomini che mi proteggevano, uno di loro perse le dita dei piedi. I miei figli per fortuna erano lontani, alla partita di calcio, ma non ci sono più partite giocabili a Kabul…».

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