Il PKK depone le armi: svolta storica in Turchia
Murat Cinar, Gariwo Mag, 14 maggio 2025
Il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, PKK, fondato nel 1978, ha dichiarato la fine della lotta armata il 12 maggio, in seguito al dodicesimo congresso che si è svolto dal 5 al 7 dello stesso mese. “Saranno cessate tutte le attività svolte con questa sigla” è la frase presente nel comunicato stampa che annuncia la fine dell’esperienza della lotta per la rivendicazione del diritto all’esistere del popolo curdo.
Come ci siamo arrivatə?
Un nuovo percorso di dialogo, iniziato nel mese di ottobre del 2024, oggi compie un passo molto importante. Lo storico appello di Devlet Bahçeli, il leader del Partito del Movimento Nazionalista, MHP, componente della coalizione di governo, era entrato al centro dell’attenzione mondiale. Bahçeli, secondo le sue parole, con l’intento di creare un’unità nazionale e affrontare i futuri scenari pericolosi nel Medio Oriente, aveva invitato Abdullah Öcalan a lanciare un appello storico. Bahçeli, in quest’appello, chiedeva a Öcalan di invitare la sua organizzazione, il PKK, a dichiarare lo scioglimento e a deporre le armi. Secondo Bahçeli, sarebbe stato un passo importante per porre fine a questo storico conflitto.
Poche settimane dopo, il leader storico del PKK, ossia Öcalan, tramite suo nipote Ömer Öcalan, deputato nazionale, aveva dato un primo riscontro positivo. Successivamente, dopo anni, si era recata sull’isola una delegazione parlamentare composta da due parlamentari d’opposizione del partito DEM, che ha incontrato l’ergastolano Öcalan sull’isola di İmralı, dove è rinchiuso da più di vent’anni. Anche in quest’occasione, Öcalan si era dimostrato disponibile.
Fino al 27 febbraio 2025, dietro e davanti le quinte, è stato portato avanti un percorso di dialogo e, molto probabilmente, di trattative. Mentre il governo centrale in Turchia premeva per ottenere la dichiarazione storica dal PKK, l’organizzazione chiedeva una serie di garanzie: basi giuridiche e politiche per il futuro e miglioramenti delle condizioni penitenziarie di Öcalan.
Nel frattempo, la delegazione parlamentare, che ha incontrato Öcalan tre volte, ha incontrato anche i leader dei partiti politici rappresentati nel parlamento nazionale, il Ministro della Giustizia e il Presidente della Repubblica. Così, il 27 febbraio è stata letta pubblicamente la lettera di Abdullah Öcalan, che invitava la sua organizzazione a prendere questa decisione storica e specificava che l’epoca della lotta armata per uno stato socialista era finita ed era giunto il momento di trasformare la lotta. In chiusura, Öcalan sottolineava anche la necessità di una serie di cambiamenti politici e giuridici per creare le basi di un percorso politico non armato.
Di cosa si tratta esattamente?
Anche se il governo centrale non ha effettuato, nel frattempo e pubblicamente, quei necessari cambiamenti, il 10 maggio il PKK ha annunciato di aver svolto, con difficoltà, il suo congresso e il 12 maggio ha annunciato il suo scioglimento.
La notizia è stata diffusa inizialmente con un comunicato stampa e una serie di fotografie del congresso, e successivamente anche con l’ausilio di materiali audiovisivi e lunghi interventi politici.
Il PKK annuncia la fine della lotta armata, ma anche la trasformazione della stessa in un percorso politico. Invita la cittadinanza a costruire un percorso di lotta che preveda anche la creazione di meccanismi di autodifesa all’interno della società turca. Il comunicato stampa sottolinea la necessità di riconciliazione tra il popolo turco e quello curdo, e anche dell’appoggio delle forze socialiste, democratiche e rivoluzionarie per sostenere questo nuovo percorso. Il PKK specifica che non si tratta di una mossa nuova, per certi versi, visto che anche in passato l’organizzazione aveva avanzato la proposta del dialogo e della pace con lo Stato. Infine, l’organizzazione chiarisce che la lotta per una società socialista si farà attraverso la costruzione di una società democratica, ma non tramite l’obiettivo di fondare uno stato-nazione socialista.
Quest’ultimo punto si sposa con la lettera del 27 febbraio di Öcalan, che comprende una critica nei confronti di una serie di esperienze di lotta socialiste del ’900. Ma soprattutto si sposa con il nuovo paradigma che lo stesso Öcalan propose negli anni ’90 e sviluppò sia prima di essere arrestato sia durante la sua detenzione: ossia la proposta del Confederalismo Democratico, che si basa sul concetto di superare l’obiettivo della fondazione di uno stato socialista curdo. Questo paradigma, piuttosto, punta alla trasformazione della società restando dentro di essa e lavorando, con una serie di attori, per costruire in modo pratico e teorico le basi della trasformazione. Un principio che si fonda anche, in parte, sugli insegnamenti del filosofo Murray Bookchin, che fu una fonte di ispirazione per Öcalan.
E adesso?
Sia il PKK che la Turchia, il suo principale interlocutore nonché uno dei due coordinatori di questo processo, hanno una serie di compiti da svolgere.
Ankara, attraverso le prime dichiarazioni ufficiali, ha specificato che monitorerà i prossimi passaggi e pretende che l’abbandono delle armi si basi su un piano concreto e tracciabile. Inoltre, vari esponenti del governo, forse con l’intento di calmare le anime nazionaliste in Turchia, hanno specificato che non si tratta di un accordo ma di una decisione autonoma dell’organizzazione. Anche se non è una dichiarazione molto credibile e va contro la natura del concetto di dialogo, si tratta di una dichiarazione coerente. Ovvero, il governo centrale in Turchia, sin dall’inizio di questo nuovo percorso, ha sempre sottolineato che si impegna per porre fine al terrorismo e che l’organizzazione non ha altra scelta che sciogliersi. Quindi, come se si trattasse di una vittoria per qualcuno e di una sconfitta per qualcun altro. Infatti, il Presidente della Repubblica, la sera del 12 maggio, ha dichiarato che dedica questo risultato alle madri dei soldati dell’esercito turco morti in questi anni durante gli scontri con il PKK.
Tra le righe, in alcune dichiarazioni, gli esponenti del governo hanno parlato di una nuova Costituzione, quindi rispondendo in qualche maniera alle richieste giuridiche e politiche del PKK. Inoltre, è stata espressa la necessità di introdurre una serie di nuove leggi e del coinvolgimento del Parlamento nazionale nella nuova fase. Anche questi due punti sono in linea con le proposte sia di Öcalan che del PKK.
Invece, l’organizzazione dovrebbe impegnarsi a concretizzare il lavoro di abbandono delle armi, che avverrà attraverso la distruzione o la consegna delle stesse. Ci sarebbe, ovviamente, il capitolo che riguarda l’abbandono delle postazioni attuali nel nord dell’Iraq e la resa dei militanti presenti in Turchia e altrove. Su questi punti, finora non ci sono piani pubblicamente dichiarati, ma molto probabilmente presto ci saranno nuove comunicazioni.
Siamo veramente prontə?
Forse il lavoro più grosso, difficile e lungo da fare è quello del percorso della riconciliazione collettiva. Oggi, per la grande parte della società in Turchia, il PKK è un’organizzazione “terroristica”. Durante la guerra tra l’organizzazione e lo Stato turco sono morte circa 40.000 persone da tutte le parti. Le politiche di negazione e assimilazione hanno legittimato lo status, la percezione e la posizione di coloro che hanno assecondato le politiche dello Stato, ed emarginato ed escluso coloro che hanno provato a pretendere una vita equa e pari con gli altri. Per questa seconda fetta della società, soprattutto curdofona, il PKK, in qualche maniera, ha rappresentato la ribellione, la lotta e anche un riferimento. Quindi, da questo punto di vista, oggi la società in Turchia risulta divisa almeno in due parti. E con questo nuovo percorso è necessario lavorare sull’unificazione delle parti. Un percorso lungo e articolato.
In questo percorso, mentre per qualcuno uno degli attori, il PKK, sarebbe “terrorista”, per una grande parte della società l’altro attore, ossia il governo, non rappresenta fiducia. Oggi, il principale partito al governo, l’AKP, conta circa il 30% del consenso elettorale (Sonar, maggio 2025). Secondo una serie di sondaggi (es. MediaPOLL, marzo 2025), la fiducia in questo nuovo percorso di pace, anche tra gli elettori dell’AKP, è sotto la soglia del 50%. Invece, quando si tratta dei partiti d’opposizione, soltanto il 20 o il 10% degli elettori ritiene che si tratti di un percorso serio e affidabile. Quindi il governo centrale ha un compito molto difficile davanti.
Anche perché si tratta di una formazione politica che governa la Turchia da più di 20 anni e da almeno 12 anni lo fa attraverso strumenti antidemocratici. Il sistema giuridico è totalmente al servizio del potere politico, la libertà di stampa è stata colpita migliaia di volte, i centri penitenziari sono pieni di oppositori (accusati anche di attività terroristica), migliaia di persone hanno lasciato il Paese e vivono in esilio a causa della continua repressione, una serie di leggi sono state cambiate per rafforzare il potere del Presidente della Repubblica e della sua famiglia. La corruzione, la crisi economica e la provata relazione tra il governo e i trafficanti di droga sono solo alcuni elementi che portano le persone a non provare fiducia nei confronti del governo e del processo di pace che egli conduce.
Quindi, con il sindaco di Istanbul, Ekrem İmamoğlu, in carcere dal 19 marzo con l’accusa di corruzione, basata unicamente sulle dichiarazioni di testimoni anonimi, con 13 sindaci sospesi e arrestati dopo le elezioni del 2024 e 31 giornalisti in carcere, questo processo, che dovrebbe avere l’ambizione di puntare sulla trasformazione democratica della Turchia, potrebbe avere una strada molto difficile.
Quindi?
Esattamente come suggerirono sia Öcalan che il PKK nel suo comunicato stampa, le anime d’opposizione, le forze democratiche e socialiste potrebbero essere i veri interlocutori di questo processo. Sono loro che oggi in Turchia posseggono il consenso popolare, e sono loro le parti colpite duramente da anni di repressione nella società ad opera del regime autoritario al potere. Infatti, i collettivi, i gruppi politici extraparlamentari, le persone queer, gli aleviti, i difensori dei diritti umani, i partiti d’opposizione che hanno stravinto le elezioni amministrative nel 2019 e nel 2024 sono coloro che lottano e resistono per una Turchia democratica, laica, progressista e aperta all’Europa. Ovviamente, sono loro che da anni scendono in piazza rischiando i manganelli, i lacrimogeni, il linciaggio, la galera, la perdita del lavoro e una vita in esilio.
Quindi, la dichiarazione del 12 maggio lanciata dal PKK, che chiede un capillare cambiamento, potrebbe essere una grande occasione per costruire una nuova Turchia più inclusiva, in cui le forze progressiste del Paese possano condurre un’ondata di cambiamento con l’obiettivo di vincere le elezioni politiche e presidenziali del 2028. Altrimenti, il regime autoritario farà tutto il possibile per polarizzare la società e mantenere la sua poltrona.
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