Il partito curdo Pjak: «Questa non è una guerra di liberazione»
Il Manifesto, 17 giugno 2025, di Tiziano Saccucci
Intervista Parla il membro del Politburo, Siamand Moeini
In risposta ai raid aerei israeliani sul territorio iraniano, il Partito per la Vita Libera del Kurdistan (Pjak), promotore del progetto del confederalismo democratico nel Rojhilat (Kurdistan orientale), ha diffuso un comunicato in cui si dichiara disponibile a sostenere l’apertura di una nuova fase della rivolta Jin Jiyan Azadî (Donna, Vita, Libertà), slogan che nel 2022 ha scosso l’Iran dopo l’assassinio da parte delle forze di sicurezza della ventiduenne curda Jina Amini.
Nel comunicato, il Pjak afferma: «Questa è una guerra di potere e interessi contrapposti, non una guerra di liberazione per i popoli e le nazioni», aggiungendo che solo una lotta popolare può portare alla libertà in Iran: «Il popolo iraniano non deve essere costretto a scegliere tra la guerra e l’accettazione di un regime dittatoriale». Per Siamand Moeini, membro del consiglio di leadership del Pjak e co-presidente del partito dal 2018 al 2024, «la caduta della dittatura sarebbe motivo di celebrazione, in particolare per il popolo curdo. È anche un passo verso la partecipazione alla più ampia lotta contro la tirannia e per la costruzione di una società libera e democratica». Moeini ha ricordato come «fin dall’inizio, la Repubblica islamica dell’Iran ha avviato il suo dominio assassinando la gioventù iraniana e trasformando il Kurdistan in una terra di fuoco e sangue».
NATO NEL 2004, il Pjak è stato coinvolto in numerosi scontri con le forze di sicurezza iraniane, culminati nel 2011 in una vasta operazione militare guidata dal Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica terminata con un cessate il fuoco firmato da entrambe le parti. «I governanti hanno dato inizio a questa guerra e i costi sono sopportati da una popolazione già colpita da crisi sociali ed economiche. L’alto numero di vittime civili, soprattutto donne e bambini, mette in luce la tragica realtà che gli Stati attribuiscono scarso valore alla vita umana», prosegue Moeini, secondo cui tuttavia un indebolimento della Repubblica islamica «creerebbe un’opportunità per il popolo iraniano di proseguire la propria lotta contro la dittatura in varie forme».
Il leader di Pjak rivela che i raid israeliani hanno spaventano non poco i funzionari del regime nella regione curda: «Negli ultimi tempi appartenenti alle forze armate locali al servizio del regime hanno cercato di contattarci per assicurarsi un futuro, e questi contatti sono aumentati notevolmente nelle ultime settimane».
Nel suo comunicato, Pjak ha invitato la comunità curda, in particolare i partiti politici, a collaborare, a partire dalla creazione di gruppi di sostegno per le vittime della guerra e comitati di soccorso e cooperazione finanziaria. «Abbiamo buone relazioni con gli altri partiti curdi. Abbiamo incontri regolari e, in alcuni casi, cooperazione pratica – racconta Moeini – Abbiamo anche relazioni strette e sincere con gruppi di altre nazionalità, comprese le comunità baluche e arabe».
NONOSTANTE IL PJAK non sia l’unico partito curdo attivo in Iran, dopo lo scoppio delle proteste del 2022, Teheran ha reagito bombardando i campi dei gruppi curdi-iraniani nella Regione del Kurdistan in Iraq e firmando un accordo con il governo regionale guidato dalla famiglia Barzani, che ha costretto tre partiti – Pdk-I, Pak e Komala – al disarmo e alla ricollocazione nell’entroterra. L’accordo non ha colpito il Pjak, che rivendica ancora una presenza attiva in territorio iraniano: «Siamo l’unica organizzazione con una struttura e forze militari operanti all’interno dell’Iran. Abbiamo la capacità di intervenire in difesa del nostro popolo se necessario. Se le forze repressive della Repubblica islamica agiscono violentemente, la nostra nazione ha il diritto innegabile all’autodifesa», afferma Moeini.
DOPO LA DECISIONE del Pkk di concludere la lotta armata, Amir Karimi, neo eletto co-presidente del Pjak, aveva dichiarato: «Noi non deporremo le armi né ci scioglieremo», chiarendo tuttavia che «le armi servono per l’autodifesa». Anche Moeini ha ribadito la linea del partito nel cercare di evitare il conflitto: «Non abbiamo mai cercato guerra o spargimento di sangue e abbiamo sempre sostenuto soluzioni dialogiche e democratiche all’interno della società. Sebbene ci siano stati diversi scontri negli ultimi anni, abbiamo sempre cercato di evitare il confronto militare. Ma se il regime agisce violentemente contro il popolo, consideriamo l’autodifesa attiva come nostro diritto naturale».
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