La nuova direttiva sui media è un altro attacco alla libertà di stampa
Siyar Sirat, AMU Tv, 4 luglio 2025
Una nuova direttiva sui media emanata dai talebani ha provocato aspre critiche da parte delle organizzazioni per la libertà di stampa, che avvertono che il provvedimento segna una significativa escalation nella repressione dei talebani contro il giornalismo indipendente e le voci dissidenti.
La direttiva, annunciata dal Ministero dell’Informazione e della Cultura, vieta la programmazione politica senza previa approvazione, impone credenziali rilasciate dai Talebani per gli analisti e ritiene i giornalisti personalmente responsabili per qualsiasi contenuto che si discosti dalle politiche del gruppo. Le norme proibiscono inoltre opinioni contrarie alle narrazioni ufficiali e richiedono un “tono rispettoso” nei riferimenti alle autorità Talebane.
“Questa nuova direttiva è un chiaro segno di un governo autoritario”, ha dichiarato in un comunicato NAI in Exile, un ente di controllo dei media afghani ora con sede in Canada. “Chiude l’ultimo spazio rimasto per la critica e il dibattito pubblico nel Paese”.
La direttiva, intitolata “Politica sulla gestione dei programmi politici”, esige di fatto che tutti i commenti politici siano conformi al quadro ideologico dei talebani. In base alle sue disposizioni, conduttori e produttori potrebbero incorrere nella sospensione o revoca della licenza in caso di violazione.
Il Free Speech Centre, con sede in Canada, ha paragonato tali misure ai sistemi mediatici controllati dallo Stato in Corea del Nord, Cina e Iran.
Impone il conformismo ideologico
“Questo è uno degli attacchi più estesi alla libertà di stampa dal ritorno al potere dei talebani”, ha affermato il gruppo. “La direttiva impone il conformismo ideologico e trasforma il discorso politico in propaganda di Stato“.
I funzionari talebani hanno difeso le norme come un tentativo di promuovere “l’unità nazionale” e un “giornalismo sano”. Ma i sostenitori della stampa sostengono che le misure criminalizzano il dissenso e rafforzano un clima di paura e censura.
La direttiva limita inoltre la partecipazione al dibattito pubblico in settori come la religione o il diritto ad analisti qualificati e che sostengono esplicitamente le politiche talebane. Sono vietati i servizi giornalistici ritenuti dannosi per i “valori islamici” o per l'”unità nazionale”.
Da quando i talebani hanno preso il potere nell’agosto 2021, il panorama mediatico del Paese, un tempo fiorente, è stato gravemente compromesso. Più di 350 testate hanno chiuso i battenti e molti giornalisti, in particolare donne, si sono nascosti o sono fuggiti dal Paese. NAI in Exile stima che meno di 180 organizzazioni giornalistiche rimangano operative.
“Queste misure non riflettono la volontà del popolo afghano, ma la paura di un regime che non può tollerare controlli o responsabilità”, ha affermato il Free Speech Centre.
Entrambe le organizzazioni hanno chiesto alla comunità internazionale di sostenere i giornalisti afghani e di fare pressione sui talebani affinché cambino rotta.
“Se questa direttiva verrà mantenuta”, ha avvertito NAI in Exile, “l’Afghanistan diventerà presto un paese senza una sola voce indipendente”.
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