All’ombra della guerra e della repressione: un messaggio dalla prigione di Qarchak
Sillingers Collective, 2 luglio 2025
Lettera aperta di Golrokh Iraee, Reihaneh Ansari e Verisheh Moradi dalla prigione di Qarchak
Non consideriamo la nostra sofferenza di oggi più grande di quella che è stata imposta al popolo iraniano. Lunedì 23 giugno, mentre oltre tremila persone erano rinchiuse dietro le porte chiuse in varie sezioni della prigione di Evin, i razzi israeliani hanno colpito il complesso carcerario e i suoi edifici. Oltre alle vittime, non si hanno ancora notizie di alcuni detenuti che erano rinchiusi in celle di isolamento.
Martedì mattina, le donne di Evin sono state trasferite nelle carceri di Qarchak e Varamin, sottoposte a severe restrizioni di sicurezza, e circa tremila uomini di Evin sono stati trasferiti nella prigione di Teheran Grande. Sebbene ci troviamo in condizioni peggiori rispetto a prima del nostro trasferimento, dichiariamo, insieme ai nostri compagni e fratelli della prigione di Teheran Grande che sono stati attaccati e sottoposti a pressioni contemporaneamente a noi, che la situazione attuale non fermerà la nostra lotta. Perché sappiamo che questo percorso non è mai stato privo di difficoltà.
Dalla Rivoluzione Costituzionale a oggi, nonostante le numerose guerre, i colpi di stato contro il popolo, il massacro di persone indifese e di dissidenti politici da parte di regimi autoritari nel corso dell’ultimo secolo, e i molti alti e bassi di cui la storia è testimone, il cammino della lotta continua. Oggi siamo nella prigione di Qarchak, ad affrontare le condizioni che più di mille donne con varie accuse hanno sopportato e vissuto per anni. Donne ai margini, che recano sofferenze impresse nel profondo dei loro occhi, testimonianze dei cicli di ingiustizia che ci uniscono nella lotta per spezzarli. Sono le naufraghe ai margini della società, che non trovano posto in nessuna dimensione della vita, non sono presenti nei notiziari o nei media e non sono menzionate nei rapporti sui diritti umani. I loro nomi, le loro storie e il loro dolore rimangono invisibili e inascoltati.
Ciò che ci ha stupite negli ultimi giorni è la verità della vita di queste donne. Donne piegate su letti corti grandi come tombe, desiderose delle più elementari condizioni di vita e di igiene. Tra muri lerci e incrostati che portano il segno di anni di privazioni, molte di loro, senza un solo rial a disposizione, si offrono ai loro compagni di cella solo per i soldi delle sigarette. Per sfruttamento. Per lo sfruttamento sessuale. E si sottopongono a ogni forma di umiliazione. Per riempire lo stomaco. E per ottenere il minimo di ciò che desideravano. Lavorano nella sezione di lavoro del carcere e si prodigano quotidianamente senza sosta (dal trasporto di cibo e rifiuti alla pulizia delle aree di riposo e ai contatti con le guardie carcerarie), senza ricevere alcun salario, solo per qualche minuto in più di telefonate.
Nell’officina del carcere, sono impegnate a cucire e cucire per ottenere un pacchetto di sigarette alla fine della giornata. Queste sono le donne da cui noi, come prigioniere politiche, siamo solitamente separate, a meno che le autorità non ci mettano deliberatamente insieme come forma di punizione o esilio. E ora, anche se siamo state sistemate nella prigione di Qarchak separatamente da loro, le nostre disgrazie non sono separate dalle loro.
Accanto alle instancabili lotte dei popoli contro la dittatura, con obiettivi precisi e una linea d’azione decisa, continueremo a percorrere il cammino della resistenza fino al rovesciamento e all’eliminazione di ogni forma di tirannia. E al fianco di queste vittime dimenticate che sono state escluse dal flusso della vita, rilanciamo la nostra resistenza con maggiore determinazione di prima. E a coloro che alzano le loro voci per noi e per le nostre difficili condizioni, diciamo con voce ancora più forte: ciò che ci è stato imposto oggi non è più grande degli anni di sofferenza che queste donne hanno patito. Quindi impegnatevi per migliorare le condizioni di “noi”, a prescindere dalle accuse che ci vengono rivolte, e per migliorare le condizioni di “noi” che siamo state trasferite nelle carceri di Qarchak e della Grande Teheran, a prescindere dal nostro sesso.
E sappiate che coloro che sono scomparsi sotto le macerie dell’attacco e coloro che sono stati scacciati dal circolo spietato della vita hanno bisogno di aiuto più di noi.
Che noi si possa essere un anello della catena della lotta del popolo iraniano per l’uguaglianza e la libertà, un popolo che ha sopportato oltre un secolo di tirannia e sfruttamento e che continua ad andare avanti.
[Trad. a cur di Cisda]
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