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Autore: Anna Santarello

L’autonoma Shengal nata tra le montagne

Il 26 maggio è partita per Sinjar una delegazione di Onlus, tra le quali Fonti di Pace Onlus, impegnate nella costruzione di un ospedale nel cuore del popolo yazida, progetto sostenuto anche dal Cisda. Vi partecipano anche Zerocalcare e Chiara Cruciati, che ha mandato questo bel reportage che pubblichiamo.

Chiara Cruciati, il Manifesto, 1 giugno 2021

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Reportage. Sul monte Sinjiar le famiglie ezide sono arrivate a piedi per lasciarsi alle spalle la ferocia dello Stato islamico, ancora visibile tra le rovine, e costruire un modello di società condivisa, ecologica e matriarcale. Alla ricerca di un riconoscimento ufficiale

La casa di un solo piano ha forme arrotondate e color crema. Fuori il giardino è ricoperto di sterpaglie. Due finestre sono murate. Appena si entra, appare la porta di una cella. Nella prima stanza l’attenzione è attirata da un buco sul muro. «L’HA APERTO L’ISIS, durante i combattimenti, per scappare senza farsi vedere dalle forze curde», ci dicono. All’interno ci sono sei stanze, per terra bottiglie d’acqua vuote, scarpe da donne impolverate, brandelli di vestiti, cucchiaini di plastica.

Sulla parete di una camera senza finestre è stata disegnata una freccia rossa: «Così i miliziani islamisti indicavano la direzione della Mecca». Questa casa, nel villaggio di Tilezer nella piana di Ninive, era una prigione per le donne ezide schiavizzate dall’Isis durante l’occupazione della regione di Shengal (Sinjar in arabo). «È rimasta nelle mani dell’Isis fino al 29 maggio 2017 – ci racconta Faris Harbo, responsabile della diplomazia dell’amministrazione dell’autonomia di Shengal – Quando le forze di autodifesa ezida Ybs e le milizie sciite sono arrivate, gli islamisti sono scappati senza combattere. Sono entrato in quella casa. C’erano i segni di quello che era successo lì dentro. Ma nessuna donna. Non ce n’era più nessuna».

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In dettaglio, SOHR ha fatto luce sui cambiamenti demografici delle fazioni turche ad Afrin

Uikionlus.org 28 maggio2021

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Da quando le aree cosiddette “Ramo di Ulivo” sono state controllate dalle fazioni turche e dai suoi gruppi affiliati, crisi umanitarie, violazioni e caos sulla sicurezza sono aumentati. Nessun giorno passa senza violazioni, esplosioni o altri incidenti.

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Comunicato dalla delegazione italiana nel Kurdistan iracheno

Retekurdistan.it 27 maggio 2021

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Una delegazione di 18 amici e compagni italiani, composta da giornalisti, fotografi, fumettisti, operatori umanitari dell’Associazione Verso il Kurdistan si trova nel Kurdistan iracheno e partirà per raggiungere prima Sinjar (Shengal, in kurdo), nel nord Iraq, sul confine con la Siria, poi il campo profughi di Makhmour.

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Dove andranno gli Stati Uniti dopo l’Afghanistan

Insideover.com Lorenzo Vita 29 maggio 2021

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Il ritiro dall’Afghanistan è uno dei tanti punti interrogativi degli Stati Uniti. L’annuncio di Joe Biden ha confermato la volontà della Casa Bianca di procedere spediti verso la fine di una guerra iniziata venti anni fa come guerra al terrore e che nel tempo ha assunto caratteristiche sempre diverse: fino a diventare sgradita allo stesso elettorato americano.

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In viaggio con Staffetta Femminista Italia – Afghanistan/CISDA

Staffetta Femminista di Maria Cristina Rossi – collettivo promotore Staffetta Femminista Italia-Afghanistan 29 maggio 2021

Tutto il lavoro di base che viene incessantemente svolto al di là della rotta balcanica percorsa prioritariamente dagli uomini per giungere in Europa, le donne afghane lo porteranno avanti a qualunque condizione. Per far sì che non venga vanificato ancora, noi europee dobbiamo cambiare le politiche nazionali e internazionali dei nostri paesi su tutti i fronti, difendere le nostre conquiste pretendendo che trovino completa attuazione a tutti i livelli: nella sanità, nell’istruzione, nell’economia, nell’ambiente, nel lavoro, nelle politiche sociali e in quelle internazionali. Il tessuto della Resistenza che abbiamo ereditato e che abbiamo il compito di preservare non ha i confini spaziali imposti dai nazionalismi e dai sovranismi, e neppure quelli temporali derivanti dalla cancellazione della memoria: il nostro filo di seta, fortissimo, cuce le lacerazioni imposte dalla violenza, dalla guerra, dal fascismo, dall’ignoranza e dalle politiche spietate che non hanno a cuore la vita delle persone. Che non sanno averne cura. 

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L’Afghanistan è un paese per lo più sconosciuto. Sui media se ne parla soprattutto per le connessioni con il terrorismo, per la guerra e per la coltivazione dell’oppio. Le donne afghane, sono considerate invisibili e misteriose, nascoste sotto al loro burqa, soggette al potere maschile esercitato a più livelli dalla gerarchia famigliare e sociale, non scolarizzate, senza voce e nessuna possibilità di autodeterminarsi. Quando fuggono dai villaggi per salvarsi la vita, risultano invisibili  anche sulle rotte dell’esilio. Quasi nessuno conosce i loro sogni, la loro forza e il ruolo che svolgono a più livelli nel loro paese. E nessuno si immagina normalmente che quanto concerne le donne afghane possa avere un nesso con noi e con le nostre aspettative. Ma siamo così sicure che ad avere lo sguardo velato siano loro?

Piuttosto non siamo noi, qui in occidente, ad avere un velo sugli occhi che ci impedisce di leggere la sfida che ci attende? Un velo che è ancora sguardo coloniale, rinforzato dalla propaganda dell’empowerment femminile che sarebbe stata finalmente instillata in Afghanistan attraverso le azioni di sviluppo dell’assetto sociale legato alla presenza militare delle truppe Nato dal 2001 e che ha funzionato così bene, da riconsegnare le donne, e tutti i civili, nella mani violente dei talebani e dei signori della guerra.

Oltre ogni stereotipo, in Afghanistan le donne sono attivissime e organizzate da oltre quarant’anni. Ci sono attiviste che lavorano in modo intenso sul piano sociale e politico per costruire una società giusta, laica e progressista. Riunite in diverse organizzazioni guidate da loro, hanno dato vita ad una Resistenza che ha come frutto una nuova generazione di donne che lavorano in tutti i campi e che hanno fatto il loro ingresso nelle istituzioni. I talebani e le organizzazioni terroristiche hanno capito perfettamente quanto sia pericoloso questo avanzamento di posizione e da un anno a questa parte sono passati alla strategia degli omicidi mirati di magistrate, giornaliste, mediche, studentesse. Per anni, quando al potere c’erano loro (e ancor prima, dalla fine degli anni ‘70), le donne hanno istituito organizzazioni politiche, scuole segrete per le bambine a cui era vietata l’istruzione, finti laboratori di sartoria, che erano in realtà circoli di poesia e letteratura. Una famosa chirurga, che è stata anche generale dell’esercito, organizzava lezioni clandestine di medicina per le sue studentesse. Hanno costruito rifugi per le vittime di violenza, attività imprenditoriali per la coltivazione dello zafferano e piccoli e disseminati progetti generativi di micro reddito. Le attività delle donne in questo lavoro politico di base finalizzato a preservare la vita e la dignità, e a crescere una nuova generazione per un paese realmente democratico erano, e continuano ad essere, tantissime.

INSIEME PER UNA RESISTENZA TRANSNAZIONALE CONTRO LA VIOLENZA DEL PATRIARCATO 

Con le attiviste che operano al di là della rotta che abbiamo iniziato a percorrere con Staffetta Femminista Italia – Afghanistan, abbiamo obiettivi comuni. Solo insieme, li potremo realizzare. La strada è stata tracciata da Cisda, in oltre vent’anni di alleanza solidale con le organizzazioni di donne afghane e attraverso un lavoro puntuale e continuativo preziosissimo.

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Nel breve augurio per l’8 marzo 2021 rivolto da Rawa (Revolutionary Association of the Women of Afghanistan) a tutte le amiche in Italia e nel mondo, le attiviste afghane auspicano che le donne europee continuino innanzitutto a lottare per i propri diritti. Chiedono poi che alzino le loro voci per far sì che nel mondo non ci siano più violazioni, ingiustizie e discriminazioni. E solo alla fine del loro comunicato, si augurano che la solidarietà nei loro confronti prosegua fino a quando non saranno riuscite a sradicare il fondamentalismo e l’ignoranza.

Il messaggio è chiaro: tutto il lavoro di base che viene incessantemente svolto al di là della rotta balcanica percorsa prioritariamente dagli uomini per giungere in Europa, le donne afghane lo porteranno avanti a qualunque condizione. Per far sì che non venga vanificato ancora, noi europee dobbiamo cambiare le politiche nazionali e internazionali dei nostri paesi su tutti i fronti, difendere le nostre conquiste pretendendo che trovino completa attuazione a tutti i livelli: nella sanità, nell’istruzione, nell’economia, nell’ambiente, nel lavoro, nelle politiche sociali e in quelle internazionali. Il tessuto della Resistenza che abbiamo ereditato e che abbiamo il compito di preservare non ha i confini spaziali imposti dai nazionalismi e dai sovranismi, e neppure quelli temporali derivanti dalla cancellazione della memoria: il nostro filo di seta, fortissimo, cuce le lacerazioni imposte dalla violenza, dalla guerra, dal fascismo, dall’ignoranza e dalle politiche spietate che non hanno a cuore la vita delle persone. Che non sanno averne cura. 

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Staffetta Femminista con CISDA raccoglie il testimone lanciato da Rawa l’8 marzo 2021 per unirsi agli attivisti e alle attiviste di tutta Europa nella loro richiesta di un cambiamento radicale della situazione in Europa, lungo le rotte, e nei paesi di provenienza delle persone in fuga da territori resi inospitali, in primo luogo, dalle politiche occidentali e patriarcali: l’attacco all’autodeterminazione femminile è spesso aggravato da connessioni internazionali che valicano senza problemi confini inutilmente chiusi alla libera circolazione di persone. La guerra condotta da eserciti e da polizie europee contro donne, bambini e uomini disarmati in un’escalation di violazioni, ingiustizie sociali e discriminazioni che non risolve alla radice nessuno dei problemi che determinano le persone a lasciare il proprio paese in condizioni di irregolarità, e quindi esposte a rischi di ogni genere, non deve essere condotta in nostro nome. Se non ci mobilitiamo, saremo complici di tutto questo.

Un’alleanza femminista transnazionale che si affianchi all’attivismo che svolge la propria azione in tutte i campi in cui i diritti umani sono attaccati, deve mettere in luce la connessione rischiosa per tutte noi, in Europa e altrove, fra le politiche europee di contenimento delle migrazioni e l’arretramento dei diritti fondamentali delle donne e dei diritti civili di tutti: lo possiamo vedere in Turchia. Gli oltre 6 miliardi di € che l’Unione Europea destina dal 2016 a questo paese per l’esternalizzazione delle sue frontiere, vengono erogati senza nessuna preoccupazione per le violazioni dei diritti umani, del diritto internazionale e per le politiche oscurantiste perseguite da Erdogan, che si pone al di fuori delle politiche sociali europee, revocando la propria adesione alla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica.  Troviamo inaccettabile che l’Europa finanzi governi che hanno in spregio qualsiasi rispetto dei diritti umani e constatiamo che in Europa si sta creando un’alleanza pericolosa  fra paesi a regime conservatore che minacciano di compiere la stessa scelta di Erdogan e formazioni neonaziste e di matrice fondamentalista religiosa che si vogliono ergere a baluardo di un modello di famiglia tradizionale dove la donna non ha nessuna possibilità reale di auto determinare la propria vita. Resistere contro questo progetto regressivo è impossibile senza agire lungo tutto la linea transnazionale del patriarcato che conduce fino alla Resistenza attuata dalle donne afghane. 

LE ADESIONI  E LE AZIONI DI STAFFETTA FEMMINISTA ITALIA – AFGHANISTAN. COME ADERIRE E PORTARE IL PROPRIO CONTRIBUTO

Dall’8 marzo 2021, Staffetta Femminista ha raccolto 93 adesioni, superando quelle necessarie a completare i 7.000 kilometri che ci separano da Kabul e permettendo la costituzione di tappe ulteriori. Le adesioni possono essere individuali, oppure arrivare da parte di scuole, teatri e istituzioni culturali. Ogni adesione si traduce in un’azione di sostegno concreto ad una delle donne impegnate, con il supporto delle organizzazioni afghane partner di CISDA, in un percorso di riscatto dalla violenza della guerra o dalla violenza famigliare. Si richiede l’impegno a coprire il costo di almeno un passaggio di testimone (50€/anno) per un minimo 2 anni.: COME ADERIRE A STAFFETTA FEMMINISTA ITALIA-AFGHANISTAN 

Ma l’adesione a Staffetta Femminista, può essere anche molto di più per chi vuol coglierne a pieno lo spirito.

SCAMBIARE SAPERI E PRATICHE, VALORIZZARE LE COMPETENZE DELLE DONNE IN TUTTI I CAMPI: DAL COLLETTIVO PROMOTORE ALLE TAPPE SPECIALI CON ESPERTE E ATTIVISTE DI ASSOCIAZIONI, AVVOCATE, GIORNALISTE, ARTISTE, INSEGNANTI, PSICOLOGHE, OPERATRICI DEI CENTRI ANTIVIOLENZA

Staffetta Femminista con CISDA è un collettivo che nasce dalla condivisione di saperi e pratiche, mettendo insieme più punti di vista per esplorare le diverse forme in cui agisce la violenza patriarcale su tutta la linea delle discriminazioni di genere (dal mancato riconoscimento della parità, alla guerra). L’idea nasce da attiviste per i diritti umani, volontarie impegnate nei centri antiviolenza e nel supporto alle donne e agli uomini migranti, attiviste del movimento femminista e trans femminista e antifasciste, unite in un collettivo promotore per sostenere insieme il vivissimo tessuto della Resistenza delle donne afghane e per contribuire a cambiare le politiche europee.

Staffetta Femminista con CISDA è nata grazie agli spunti derivanti dalla proiezione del bellissimo film I’m the revolution di Benedetta Argentieri, organizzata dal centro antiviolenza di Monza nel 2019: le volontarie di Cadom sono state le prime a comporre una squadra per Staffetta, seguite dalle attiviste e dagli attivisti di Anpi Seregno. 

Anpi Monza, Arci Scuotivento e Un ponte per – Comitato di Milano e Monza hanno aderito a Staffetta e stanno componendo la propria squadra. Il filo di seta fra le dita delle donne del collettivo promotore prosegue il suo lavoro per tessere una rete sempre più ampia.

Le tappe speciali, costituite da associazioni e da professioniste ed esperte in diversi settori, renderanno possibile un contributo particolare all’azione comune grazie allo scambio di conoscenze e alla cooperazione fra avvocate, insegnanti, psicologhe, giornaliste, artiste, operatrici dei centri antiviolenza e attiviste italiane e afghane.

Staffetta Femminista accoglie quindi con gioia l’adesione di un primo Istituto Scolastico, l’IC di via Correggio/Monza) e del CREI (Centro Risorse per l’educazione Interculturale) che stanno componendo una squadra di insegnanti. Così come l’adesione del Teatro Elfo Puccini di Milano, forte della sensibilità che gli deriva da un lavoro teatrale molto vicino alle tematiche sociali e dal viaggio avventuroso, crudele e poetico lungo la storia dell’Afghanistan realizzato per lo spettacolo  Afghanistan: il grande gioco  in cartellone nel 2018, che ci auguriamo possa essere riproposto al pubblico.

Nessuna liberazione è possibile, nessuna democrazia è reale, e nessuna pace è effettivamente perseguibile, senza il rispetto dell’autodeterminazione della donna. E nessuna pace può essere scambiata con i nostri diritti.

Per info e contatti:

STAFFETTA FEMMINISTA ITALIA-AFGHANISTANstaffettafemminista@gmail.com

Le radio femminili destinate a morire, con l’addio all’Afghanistan delle truppe Nato e il ritorno del Talebani

Luce.lanazione.it Enrico Fovanna 27 maggio 2021

Sono le donne ad animare le emittenti radio, il mezzo di comunicazione più diffuso nel paese, dove manca l’elettricità per la tv e l’analfabetismo ostacola i giornali. Sorte con il controllo militare degli occidentali, le radio subiranno la reazione integralista dei talebani dall’11 settembre, quando gli Usa e alleati lasceranno il territorio

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Il prossimo 11 settembre, a 20 anni dalla tragedia delle Twin Towers, gli ultimi contingenti Usa e Nato lasceranno l’Afghanistan. Data simbolica e per molti di festa. Ma non per le donne. Ricomincerà infatti la guerra dei Talebaniall’altra metà del cielo, cui da sempre gli integralisti vietano lo studio, la musica e l’arte. Una delle esperienze destinate a finire è quella delle radio femminili.

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Afghanistan: il taglio degli aiuti internazionali colpirà la salute delle donne

Radiobullets.com  Barbara Schiavulli 25 maggio 2021

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Ogni volta che Fawzia Rauf ricorda gli orrori dell’attacco al suo ospedale di 12 mesi fa a Kabul, il cuore le inizia a battere forte e sa che il suo sonno sarà turbato. L’esperta ostetrica stava facendo i suoi giri mattutini negli affollati reparti di maternità quando è scattata la sirena dell’ospedale. All’inizio pensava che fosse un’esercitazione o un falso allarme, ma poi ha visto i colleghi correre verso di lei e gridarle di correre. L’ospedale era sotto attacco.

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STUDIAMO PER ESSERE LIBERE

Settimanale “Grazia”   Eri Garuti (foto di Isabella Balena)  25 maggio 2021

 

Con l’attentato a una scuola i fondamentalisti afgani hanno voluto colpire le ragazze che rifiutano di crescere sottomesse. A Grazia le allieve di un orfanotrofio di Kabul dicono che non lasceranno le aule: perché l’istruzione darà un futuro migliore a loro e al Paese

 

«Quando vado a scuola ho paura. Temo gli attentati, i rapimenti per la strada. Ce ne sono spesso», spie- ga Mina, 18 anni, che sta terminando le superiori e prepara il test di ingresso all’università di Kabul. «Per una ragazza la vita è difficile». Mina (nome che tutela la sua identità) ha una famiglia, una madre, in un’altra regione dell’Afghanistan, ma da due anni vive in un orfanotrofio gestito a Kabul da Afceco, l’Organizzazione per l’Educazione e la cura dei Bambini afgani. Ci è arrivata per continuare a studiare e per sfuggire alla prospettiva di un matrimonio forzato che alcuni parenti tentavano di imporle. «Mi impegno totalmente nello studio, anche per non pensare a tutto il resto, a tutti i rischi checi sono fuori di qui».

La notizia delle esplosioni che l’8 maggio hanno colpito una scuola alla periferia della capitale, provocando la morte di deci- ne di ragazze tra gli 11 e i 16 anni, ha sconvolto tutti nell’orfano- trofio. Stavolta l’attacco è stato attribuito al ramo afgano dell’Isis, lo Stato Islamico. Ma anche i Talebani, mentre partecipano al processo di pace con il governo imponendo le loro condizioni oscurantiste, continuano a compiere attacchi armati.

«È molto doloroso per noi sopportare l’idea di tutte queste ucci- sioni. Ogni giorno siamo testimoni di episodi di violenza», dice Pashtana Rasoul, la ventiseienne direttrice di Afceco, che da piccola fu accolta nell’orfanotrofio, dopo aver mendicato per strada insieme con dieci fratelli e sorelle. Ora è laureata. La sua storia è un esempio di come l’istruzione e la consapevolezza siano determinanti per cambiare il proprio destino. «Per questo, ai nostri bambini insegniamo la tolleranza, i diritti umani, i diritti delle donne», spiega Rasoul. «Vengono da province ed etnie diverse e qui vivono in armonia come sorelle e fratelli. Frequentano le scuole statali, dove imparano le materie umanistiche e scientifiche. Da noi possono seguire corsi di musica e di pittura». Da qui è partito il percorso di Zohra, orchestra tutta al femminile nata in collaborazione con l’Istituto nazionale di Musica dell’Afghanistan, che qualche anno fa si è esibita al Forum Economico Mondiale di Davos, in Svizzera, e altrove in Europa. A dirigere Zohra c’è la giovanissima violista Marzia Anwari, non ancora diciottenne, che da piccola fu affidata all’orfanotrofio dal padre, incapace di gestire 12 figli e interessato a far studiare solo i maschi. Grazie ad Afceco, Marzia ha proseguito gli studi al Conservatorio, nonostante le pressioni dei parenti perché smettesse di suonare e le minacce dei Talebani, che considerano ammissibile solo la musica religiosa. «Noi andiamo avanti», assicura Marzia. «Nessuno deve toglierci il diritto di fare musica, anche se la situazione sta peggiorando e ci sono sempre più attentati». In marzo, una valanga di tweet con l’hashtag #IAm- MySong, “io sono la mia canzone”, ha costretto il ministro afgano dell’Istruzione a ritirare il provvedimento con cui, due giorni prima, aveva vietato alle donne dai 12 anni in su di cantare in pubblico. Ma il rischio che i diritti delle afgane arretrino rimane forte. Il divieto era probabilmente una delle concessioni del governo ai Talebani, nel quadro delle trattative per una condivisione del potere politico in cambio della fine degli attentati. I Talebani controllano già ampie aree del Paese e guadagnano terreno mentre l’esercito statunitense, presente da anni in Afghanistan, si ritira, in seguito a un accordo siglato l’anno scorso. Afceco gestisce due strutture a Kabul. Una ospita circa 80 bambine e ragazze, l’altra 40 maschi. È la legge a imporre la separazione tra i sessi e l’associazione si adegua, pur non credendo negli steccati.

Queste due strutture sono una sorta di rifugio anche per chi ci lavora: la cuoca è sfuggita a violenze domestiche e non avrebbe avuto la possibilità di mantenersi se non fosse stata accolta e assunta qui. Si definiscono orfanotrofi, ma sono frequentati anche da bambini che hanno almeno un genitore e che vivono qui come in un collegio durante l’anno scolastico, per poi rientrare in famiglia nelle vacanze. «A volte qualche ragazza non torna da noi», ammettono le responsabili di Afceco. «La famiglia decide che deve sposarsi e la obbliga a rinunciare agli studi. Ma nella maggior parte dei casi riusciamo a far capire quanto sia importante essere indipendenti e istruite. Ci riempie di orgoglio, per esempio, vedere che Zeinab, formata da noi con corsi di leadership, è attesa con ansia dalle donne del suo villaggio ogni volta che va da loro per trasferire nozioni e consapevolezza». «Afceco ha cambiato la mia vita», sottolinea la direttrice. «E oggi sono fiera di poter restituire qualcosa, contribuendo alla formazione delle nuove generazioni. Abbiamo amici in Italia che sostengono a distanza alcuni dei nostri studenti, anche tramite l’associazione Cisda, ma abbiamo sempre bisogno di sostegno per accogliere bambini e bambine che aspettano il nostro aiuto. Vogliamo che possano esprimersi, sviuppare i propri talenti, essere se stessi. Sogno che crescano liberi».