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Autore: Anna Santarello

Lo stallo sulla rotta balcanica, spiegato

Il post.it 7 febbraio 2021

Tra i migranti bloccati tra Bosnia e Croazia ci sono anche afghani, tra cui una donna richiedente asilo che lavorava come avvocata. (N:d.R)

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Da settimane i giornali italiani ed europei si occupano delle condizioni difficilissimein cui si trovano centinaia di richiedenti asilo bloccati in un paesino della Bosnia-Ezegovina, Lipa, non lontano dal confine con la Croazia.

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Movimento delle donne curde in Europa: al via “100 motivi”

Vita.it – 3 febbraio 2021

È partita la campagna “100 motivi per condannare il dittatore” a lanciarla è il TJK-E che, in un comunicato, annuncia di voler raccogliere 100.000 firme per portare alla ribalta i motivi appunto per opporsi agli abusi di potere, alla violenza e all’ingiustizia turca. ” Con questa campagna,-si legge- vogliamo attirare l’attenzione sulle politiche femminicidie dell’AKP e di Erdogan”.

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«Come Movimento delle donne curde in Europa (TJK-E), lanciamo la campagna “100 motivi per condannare il dittatore” e ci ribelliamo contro il principale autore di questi crimini, Recep Tayyip Erdoğan. Vogliamo raccogliere 100.000 firme per portare alla ribalta i 100 motivi per opporsi al dittatore e ai suoi mercenari, ai militari e alla polizia: contro gli abusi di potere, contro la violenza e l’ingiustizia.

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Afghanistan: la rete Haqqani guadagna territorio

Sicurezzainternazionale.luiss.itMaria Grazia Rutigliano – 4 febbraio 2021

Tenere dentro la partita negoziale di Doha gli Haqqani, rete Jihadista, qualcuno sperava che fosse l’unico modo per fargli abbassare il tiro militare. E invece ora sono presenti in regioni dove non erano ancora arrivati (NdR)

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La rete Haqqani, un organizzazione terroristica con sede in Pakistan, ha aumentato la sua presenza in Afghanistan e i suoi membri sono ora presenti sia nelle regioni occidentali sia in quelle Nord-orientali del Paese.  

Le nuove notizie relative alla presenza della rete Haqqani in Afghanistan sono state rese note da Rahmatullah Nabil, ex capo della Direzione Nazionale della Sicurezza di Kabul. Questo ha preso parte ad una tavola rotonda sulle relazioni Afghanistan-USA sotto l’amministrazione del presidente degli USA, Joe Biden, ospitata dall’Afghan Institute of Strategic Studies.

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L’Afghanistan che vende cara la pelle

Enrico Campofreda dal suo Blog 3 febbraio 2020

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Mentre sui tavoli di Doha si patteggia l’ingresso dei talebani nel futuro governo afghano, c’è chi non vede alcun futuro in quel che ha vissuto finora e in ciò che si prospetta. Gente della martorita comunità hazara che conta dai quattro ai sette milioni, dei trentotto cui si presume sia giunta la popolazione del Paese. Un’etnìa di fede sciita, la più bersagliata dagli attentati del fondamentalismo sunnita.

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Afghanistan, i colloqui di pace tra governo e talebani non fermano la strage di civili. Oltre tremila bambini uccisi solo nel 2019

Valigiablu.it – Roberta Aiello – 31 gennaio 2021

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Zarifa Ghafari ha 27 anni. È la sindaca di Maidan Shar, la capitale della provincia di Wardak, nel cuore dell’Afghanistan. È la più giovane prima cittadina di tutto il paese. Dal lunedì al sabato fa la pendolare da Kabul, dove abita, a Maidan Shar, dove lavora, e ritorno. Per spostarsi è costretta a percorrere la National Highway 1, costruita dagli americani dopo decenni di guerra.

Diciassette anni dopo il completamento l’autostrada è sotto l’attacco costante dei talebani. «Ogni volta che esco penso che potrebbe essere il mio ultimo viaggio», racconta Ghafari a Rolling Stone. «Questa strada così pericolosa potrebbe decidere il mio destino».

«Ai talebani piace nascondersi dietro gli alberi e le case lungo la strada e attaccare», prosegue la donna, guardando all’esterno dai finestrini crivellati di colpi della sua auto. «Può succedere di tutto».

Da quando è diventata una delle prime donne a ricoprire la carica di sindaco in Afghanistan, Ghafari è sopravvissuta a diversi tentativi di omicidio, incluso uno a marzo dello scorso anno, quando uomini armati hanno colpito con vari proiettili la sua Toyota, a Kabul, mancando di poco il fidanzato.

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Intervista a Huma Saeed – Ceckpoint RAI NEWS

Huma Saeed ha un dottorato di ricerca in criminologia presso l’Istituto di Criminologia di Leuven (Facoltà di Giurisprudenza). Si occupa di diritti umani, giustizia, criminalità economico-statale e di diritti socio-economici. È un’attivista per i diritti umani.

Intervista a Huma Saeed – Ceckpoint RAI NEWS – 26 gennaio 2021

Biden, la pace obbligata del dossier afghano

Dal Blog di Enrico Campofreda, 28 gennaio 2021 taliban a Doha

Nei cento giorni con cui ogni presidente degli Stati Uniti cerca di farsi bello, Joe Biden, tramite il suo staff, avrà il suo da fare per smontare e riconvertire i quattro anni demolitori della politica trumpiana. Ma in alcuni segmenti del mondo globale, forse la linea di Washington non dev’essere proprio riscritta, semplicemente perché ha ripetuto schemi già tracciati in altre fasi da altre amministrazioni.

Fra questi il luogo dei conflitti per eccellenza – l’Afghanistan – dove un presidente figlio d’arte, George W. Bush, lanciò la vincente guerra-lampo che a lungo andare è diventata una straziante macchia per l’orgoglio statunitense. Perché da quell’intervento, che ha trascinato in tre missioni oltre cinquanta paesi Nato, non è scaturita una stabilizzazione militare dell’area, anzi i reparti occupanti hanno abbandonato gli scontri armati di terra che li vedevano in difficoltà coi resistenti locali, soprattutto talebani.
Già la seconda presidenza Obama sceglieva un’uscita di basso profilo, visto che gli armamenti usati, ben più sofisticati di quelli del Vietnam, i denari spesi, duemila miliardi fino a due anni or sono, l’investimento fatto con la politica e con l’esercito locali, da Karzai a Ghani passando per un reclutamento truppe giunto sino a trecentomila unità, non sono riusciti a creare uno Stato stabile, efficiente, sicuro. Tutto è rimasto come ai tempi della guerra civile pre-talebana, dunque a inizio anni Novanta, con gli stessi signori della guerra o i loro clan familiari, la corruzione corrente e il malaffare ai danni d’una popolazione assassinata, impoverita, costretta alla fuga fino alle porte dell’Europa che la respinge nell’inferno bosniaco di Bihaç e Lipa. Da quasi due anni – su impulso del Pentagono e della Cia, ratificato dall’amministrazione Trump – è in corso il progetto di pacificazione per il futuro afghano.

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Jamila, armata di poesia

di Cristiana Cella e Linda Bergamo (CISDA)

StarStudyabroad.in JSMUIn agosto a Kabul fa molto caldo. Pericolosissimi ventilatori senza griglie di protezione portano un po’ di sollievo alle guardie accaldate, in uniforme militare, che siedono non lontano dal mio ufficio, per garantire la sicurezza del mio soggiorno. L’aria è secca e chiara. La polvere si respira ovunque e copre le cose di una patina leggera. Anche il mio computer quasi non si distingue più dalla scrivania. Il deserto avanza. Dalla finestra entrano odori forti che ti restano addosso, che continui a sentire anche quando hai lasciato il paese. Odori di cucina, di legna bruciata e dei falò dei sacchetti della spazzatura che il vicino sta bruciando.

Mi sto vestendo per una serata speciale: sono stata invitata dalla zia della direttrice dell’orfanotrofio nel quale sono ospitata, vuole conoscermi. Probabilmente sono la prima ospite straniera che accoglie in vita sua.

Sono le ragazze dell’orfanotrofio a decidere il mio look. Mi prestano i loro vestiti più belli, e mi rincorrono fino al cancello sventolando il velo che ho dimenticato all’entrata.

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L’eredità minata di Trump è a Kabul

Il nuovo Presidente americano cerca di riequilibrare il rapporto con i Talebani forti delle concessioni fatte loro da Tramp, sullo sfondo di tutto ciò c’è la popolazione civile stremata da oltre vent’anni di guerra con migliaia di vittime.  [N.d.R]

Il manifesto – 29 gennaio 2021, di Giuliano Battiston soldati Usa Afghanistan

Guerra. La nuova Casa bianca alle prese con l’incognita Afghanistan. Possibile un rinvio di sei mesi del ritiro americano per rafforzare il governo a scapito dei Talebani, veri pivot del dialogo interno: il predecessore ha concesso tutto, non ci sono più leve di pressione

Poche opzioni, grandi incognite e un’unica certezza: qualunque decisione assumerà, sarà tutt’altro che un successo. È ciò che eredita il presidente Joe Biden in Afghanistan. Vent’anni di una guerra che causa più di 3mila vittime civili ogni anno, un accordo-capestro con i Talebani, il faticoso avvio del negoziato “intra-afghano” e 2.500 soldati a stelle e strisce sul terreno.

Un dossier difficile da gestire, ma urgente. Entro la fine di aprile, infatti, il ritiro dei soldati statunitensi dovrà essere completo. Così recita l’accordo bilaterale favorito dall’inviato di Donald Trump, Zalmay Khalilzad, e siglato a Doha il 29 febbraio tra gli Usa e i Talebani.

Gli americani hanno promesso il ritiro, i Talebani il no al terrorismo, la rottura con al Qaeda, un dialogo diplomatico con i politici afghani che conduca al silenzio delle armi. Forse alla pace. Per ora, i Talebani non hanno rispettato gli impegni – se non la tregua con gli americani –, Washington invece ha fatto la sua parte. E Biden deve decidere al più presto: cosa farne di quei 2.500 soldati? E dell’accordo di Doha?

Il nuovo segretario di Stato Usa, Anthony Blinken, ha già dichiarato che l’accordo verrà analizzato e rivisto. Non tutti i passaggi sono chiari, sostiene Blinken alludendo a quegli «annessi secretati» di cui pochi conoscono il contenuto. Ma è improbabile che Biden rovesci il tavolo del gioco. Potrebbe provare a sondare la reazione dei Talebani su una sua vecchia idea: mantenere una presenza «leggera» per le operazioni di controterrorismo.

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