Skip to main content

Autore: Anna Santarello

Rappresentante dell’Afghanistan in visita in Iran

sicurezzainternazionale.luiss.itMaria Grazia Rutigliano19 ottobre 2020

pxfuel.com 800x450 center center

Abdullah Abdullah, presidente dell’Alto Consiglio per la Riconciliazione Nazionale dell’Afghanistan, è partito per una visita ufficiale in Iran, dove sta discutendo del sostegno a Kabul nei colloqui di pace con i talebani. 

Il viaggio è iniziato domenica 18 ottobre e durante la sua permanenza, Abdullah Abdullah ha pianificato di incontrare il presidente iraniano, Hassan Rouhani, il ministro degli Esteri, Mohammad Javad Zarif, e altri funzionari per discutere “della pace afghana a Doha e della necessità di consenso e sostegno agli sforzi di pace in Afghanistan”.

Continua a leggere

Carla Dazzi a fianco delle donne afghane “Vivono tra povertà e diritti negati”

Corrierealpigelocal.it – Fabrizio Ruffini -12 ottobre 2020

La volontaria bellunese da diciotto anni viaggia nel Paese promuovendo programmi con Insieme si può e Cisda  

image.jpgfdetail 558h720w1280pfhwa952e14

Diciotto anni al fianco delle donne Afghane, portando vicinanza, progetti concreti e amore in quella parte del ondo così mal conosciuta in occidente, che sogna un futuro diverso, ma vive ancora sotto il giogo dei signori della guerra, del fanatismo e dell’ignoranza.

Lei è Carla Dazzi, fotografa e volontaria originaria di Ferra d’Alpago, da anni impegnata in viaggi umanitari con la onlus bellunese “Insieme si può…” (info@365giorni.org) oltre che attivista del Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane (Cisda) di Milano, per portare aiuto e speranza a quelle che lei stessa chiama “amiche” e che negli anni ha visto crescere supportare dalla speranza di un domani migliore.

Continua a leggere

Rapimenti, stupri, torture: così Erdogan combatte le partigiane curde

Globalist 11 ottobre 2020, di Umberto De Giovannangeli combattenti curde ypj

Un anno fa erano le eroine da “esibire” nei salotti mediatici. Per la loro determinazione nel combattere per la libertà. Ora su di loro e su la loro lotta è calato il silenzio. Non fanno più notizia.

Un anno fa erano le eroine da “esibire” nei salotti mediatici o sulle copertine di riviste patinate. Per la loro bellezza, prim’ancora che per la loro determinazione nel combattere per la libertà. Ora su di loro e su la loro lotta è calato il silenzio. Non fanno più notizia. Per molti, non per Globalist. È passato un anno da quando Hevrin Khalaf è stato uccisa lungo un’autostrada nel nord-est della Siria, trascinata per i capelli, picchiata e uccisa a colpi di arma da fuoco da mercenari. Le foto del suo corpo mutilato sono poi apparse sui social media, in quello che molti hanno detto essere un chiaro messaggio delle forze armate turche della regione: questo è il prezzo che pagheranno le donne curde che hanno combattuto per la liberazione.

“Sono stati giorni davvero difficili”, ha detto ad Haaretz Evin Swed, portavoce della Kongra Star, una confederazione di organizzazioni femminili dell’enclave curda – riflettendo sulla morte della sua amica. E da allora le cose sono solo peggiorate, aggiunge.  “La vita pubblica delle donne nella regione è diventata “invivibile”, riassume Dilar Dirik, attivista e ricercatrice curda dell’Università di Oxford.

Continua a leggere

Afghanistan, sesta notte di combattimenti nella provincia dell’Helmand: in circa 35.000 costretti a lasciare le case.

Nonostante i cosiddetti “colloqui di pace” la situazione per la popolazione è sempre peggio come si dice nell’articolo “la straziante realtà quotidiana di coloro che hanno visto la propria vita distrutta a causa dei combattimenti è abissale“. N.d.R.

La Repubblica – 16 ottobre 2020  

Il resoconto delle équipe di Emergency daEmergengy Lashkargahll’ospedale di Lashkar Gah, dove si fa fatica a ricoverare tutti i pazienti per l’alto numero dei feriti gravi. L’avanzata dei talebani.

LASHKAR GAH (Afghanistan) – Non si arrestano i combattimenti cominciati dopo il tentativo di avanzata dei talebani, che si è spinta fino a Nahr-e Saraj, distretto Est della città di Lashkar-gah, nel Sud del Paese. “Siamo alla sesta notte consecutiva di bombardamenti – racconta Marco Puntin, coordinatore di EMERGENCY in Afghanistan – e il nostro Centro chirurgico per vittime di guerra è ormai saturo. Abbiamo anche già aggiunto posti letto in emergenza, e ora stiamo ricoverando solo i pazienti più gravi, mentre indirizziamo quelli con ferite lievi ad altri ospedali. I combattimenti si erano già intensificati prima di questo nuovo attacco – ha aggiunto – tanto che dall’inizio del mese avevamo già ricevuto circa 200 pazienti con ferite di guerra. Ma da domenica la situazione è precipitata. A pagare il prezzo di questa offensiva sono i civili, intrappolati dal fuoco incrociato e colpiti spesso in modo indiretto da mortai, razzi e granate. La maggior parte dei pazienti che stiamo ricoverando in ospedale – spiega Puntin – sono vittime dei bombardamenti: riportano ferite complicate, che hanno bisogno di interventi chirurgici complessi e di una lunga degenza”.

Continua a leggere

HDP chiede un’azione internazionale per le carceri turche.

Rete Kurdistan Italia – 13 ottobre 2020 elbistan

Secondo l’Associazione per i diritti umani (IHD) quest’anno venti prigionieri sono morti nelle carceri turche. Ci sono centinaia di prigionieri gravemente malati in Turchia, che non hanno potuto beneficiare della legge sull’amnistia nell’aprile 2020 che escludeva dal suo ambito sia i prigionieri politici sia tutti coloro che erano stati incarcerati in attesa di processo al momento della normativa.

Continua a leggere

Afghanistan, la guerra nonostante Doha

Dal Blog di Enrico Campofreda, 14 ottobre 2020 baradar e talib a doha

Notizie raccolte dall’Afghanistan Analists Network nei mesi primaverili ed estivi – quindi prima che s’avviassero i colloqui inter-afghani e nella fase successiva l’accordo pacificatorio vergato in Qatar.

Fra le delegazioni statunitense e talebana – mostrano un quadro del Paese nient’affatto  lontano dall’aria di morte che la popolazione respira da decenni. Dopo la firma di Doha (29 febbraio) l’esercito afghano sembrava aver sospeso gran parte delle operazioni di terra, mentre i talebani già il 2 marzo lanciavano l’ammonimento che la loro offensiva sarebbe potuta riavviarsi in qualunque momento.
A detta del ministro dell’Interno di Kabul, già nei giorni seguenti gli studenti coranici lanciavano operazioni in 17 province. Comunque, distinguendo fra i firmatari dell’accordo e i politici locali, i taliban si sono lasciati mano libera e hanno ripreso ad attaccare le forze governative, seppure vigesse un generalizzato cessate il fuoco.

Continua a leggere

Atrocità nelle terre occupate e rapporto dell’Onu.

Rete Kurdistan Italia – 13 ottobre 2020 Curdi Onu

È passato un anno dalle occupazioni da parte dello Stato turco di Serêkaniyê e Girê Spî .Sul palco appare una terribile scena del crimine. Mentre i crimini commessi sono documentati nel rapporto delle Nazioni Unite sulla Siria, si afferma che la situazione reale è molto più grave.

Il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite (ONU), in cui sono stati affrontati i crimini di guerra ad Afrin, Serekaniye e Girê Spî, ha concluso la sua 45a sessione con una serie di bozze di risoluzione. Nella sessione iniziata il 14 settembre sono state valutate anche violazioni dei diritti umani e crimini di guerra in Siria.

Continua a leggere

In Afghanistan abbiamo sbagliato tutto, dobbiamo dircelo

limesonline – 12 ottobre 2020, di Giuseppe Cucchi

Segnaliamo questo articolo che in breve mette in evidenza tutti gli errori che sono stati fatti in quel paese, anche se cerca di assolvere in qualche modo il ruolo degli italiani sul territorio. N.d.R.

afghanistan degli insorti 210

Dopo quasi 20 anni, la Nato se ne va alla chetichella. Senza aver fatto compiere al paese alcun balzo verso il progresso e tradendo chi aveva creduto in noi. Per l’Italia l’unica consolazione è aver assolto fino alla fine al suo compito.

Tanti anni sprecati. Diciannove, ormai. E diventeranno certamente più di venti prima che a Doha o altrove si elabori l’accordo definitivo sull’Afghanistan.

Tante speranze chiuse di nuovo nell’affollato cassetto dei sogni: prima fra tutte quella di riuscire a far evolvere nell’arco di una generazione un intero paese addormentato nel medioevo islamico in uno Stato moderno in cui tutti i cittadini possano godere di inalienabili e irrinunciabili diritti umani.

Tanto sangue sparso invano: a noi italiani il tentativo di modernizzare l’Afghanistan è costato 54 morti, ma vi sono paesi Nato – come gli Usa e il Regno Unito – il cui bilancio di sofferenza è stato ben più alto. Per non parlare poi del prezzo spaventoso pagato in termini di morti, feriti e mutilati da una popolazione locale che in molte province non conosce un giorno di pace da generazioni e su cui spesso è piovuto il fuoco di entrambe le parti.

Tanti soldi buttati al vento, senza che l’impegno si concretizzasse in un balzo deciso verso il progresso. Le spese destinate alla presenza militare alla lunga si sono rivelate astronomiche. Basti pensare che il mantenimento di un soldato americano in quel paese ha un costo complessivo mediamente prossimo al milione di dollari annui, mentre per noi europei il totale si aggira su livelli leggermente inferiori.

Tanti sogni andati in fumo: quelli delle donne afghane che speravano in un futuro più umano; di chi ha creduto nell’avvento dello Stato di diritto; di chi si è battuto – armi in pugno – per cercare di arrestare il ritorno del passato; delle minoranze, come gli hazara, schiavizzate da secoli; dei bambini che speravano di poter far di nuovo volare gli aquiloni.

Afghanistan 2017

A questo punto, per noi occidentali è opportuno almeno trovare il coraggio di tracciare un bilancio sincero e obiettivo, in modo da comprendere quando, dove e in cosa abbiamo sbagliato e da non ripetere gli errori commessi. Al di là di ogni scusa, di ogni giro di parole, di elaborati distinguo capaci di addolcire la pillola, bisogna innanzitutto ammettere che anche noi usciamo sconfitti da quell’Afghanistan che nei secoli ha ben meritato il soprannome di “cimitero degli imperi”.

La Nato, trionfatrice nella guerra fredda, se ne sta andando quasi alla chetichella da un paese dove non è riuscita a imporre la propria volontà, più o meno come successe a suo tempo all’invinto Esercito imperiale anglo-indiano e più tardi alla “gloriosa” Armata Rossa sovietica. Si tratta tra l’altro di una sconfitta atipica, visto che riprendiamo la strada di casa senza aver perso una sola battaglia e avendo mantenuto sino all’ultimo – almeno potenzialmente – una superiorità di forze tale da inchiodare costantemente l’avversario alla guerriglia, senza mai concedergli lo spazio indispensabile per uno scontro campale. In Afghanistan abbiamo dimostrato di essere capaci di trionfare in una guerra classica, ma di non essere in grado di portare a compimento in maniera adeguata il processo di ricostruzione che segue al conflitto.

Dove abbiamo sbagliato, dunque? Innanzitutto, abbiamo peccato di faciloneria e acquiescenza accettando la richiesta americana di entrare in Afghanistan senza prima aver chiaro l’intero percorso della nostra futura presenza e senza esserci chiesti preventivamente quale sarebbe stata la “exit strategy”.

Pur compiendo in parecchi campi sforzi considerevoli non ci siamo mai impegnati politicamente, finanziariamente, in termini di assistenza tecnica e nello stesso settore militare al livello che la situazione avrebbe richiesto. Infine, non siamo riusciti a impedire che per i governanti e l’opinione pubblica dei nostri paesi il salvataggio dell’Afghanistan scadesse rapidamente d’importanza, scendendo nella lista delle priorità sino al punto che nella più grande democrazia dell’Occidente il rientro in patria di alcune migliaia di boys – deciso tra l’altro per motivi essenzialmente elettorali – è divenuto più remunerante che continuare a sostenere e difendere chi per vent’anni ha creduto in noi.

Vi era modo di agire diversamente? Forse no, considerati i difetti congeniti delle nostre democrazie novecentesche ormai in crisi, capaci solo di pensare e agire con un orizzonte di breve periodo e ormai del tutto aliene al pensiero strategico e agli investimenti di lungo termine, nonché assolutamente incapaci – almeno per il momento – di rinnovarsi efficacemente.

A noi italiani resta comunque la consolazione di aver assolto il nostro compito, mantenendo in teatro sino all’ultimo il contingente Nato più grande dopo quello americano. Se un giorno riuscissimo ad avere di nuovo quella politica estera costruttiva che nel nostro paese latita da anni, sarebbe magari anche il caso che pensassimo a seguire anche in forme diverse da quella militare la transizione ormai praticamente in atto, provando ad attenuarne gli impatti negativi. E a salvare almeno parte di quel mondo nuovo per cui afghani e Nato hanno combattuto insieme per due lunghi e sanguinosi decenni.

 

Le incognite sul ritiro delle truppe Usa dall’Afghanistan.

INSIDEOVER – 12 OTTOBRE 2020, di Futura D’Aprile  

Truppe UsaSono passati esattamente 19 anni da quando i soldati americani hanno messo piede in Afghanistan nell’ambito della guerra al terrorismo promossa dall’allora presidente George W. Bush.

Dopo quasi un ventennio, le truppe statunitensi sono pronte a ritirarsi dal Paese asiatico lasciando però il futuro dell’Afghanistan nelle mani dei talebani, quegli stessi combattenti considerati dagli Usa dei terroristi e contro cui gli americani hanno tanto a lungo combattuto.

Nella guerra in Afghanistan gli Usa hanno perso 2.400 soldati e speso circa 975 miliardi di dollari, mentre sono quasi 40 mila i civili rimasti uccisi negli scontri e 38 mila le forze di difesa afghane cadute negli ultimi 19 anni. I numeri tra l’altro sono destinati ad aumentare, almeno sul fronte afghano: nonostante i colloqui di pace e un primo accordo con gli Stati Uniti per il ritiro delle truppe, le violenze nel Paese non si sono ancora fermate. Solo a inizio settimana un’autobomba è esplosa nell’est dell’Afghanistan al passaggio di un convoglio governativo, uccidendo otto persone e ferendone altre trenta.

Continua a leggere

Afghanistan, eterni crimini sessuali

Da Enrico Campofreda, 9 ottobre 2020

bacha bazi

Riemergono con tutto il contorno di squallida violenza episodi del cosiddetto bacha bazi (gioco coi bambini), un’antica consuetudine che in Afghanistan, come in ampie fasce del Grande Medio Oriente, diventa una pedofilia istituzionalizzata, e di per sé una schiavitù sessuale. Purtroppo la pratica è tuttora presente, difesa e diffusa da uomini di potere, economico e istituzionale. Questi costringono bambini e adolescenti a indossare abiti femminili, li fanno danzare e, spesso fra gli scherni, abusano di loro. Nonostante negli ultimi tempi ci sia una legge che reprime tali comportamenti la diffusione è ampia. Il riferimento al bacha bazi è tornato alla cronaca per le conseguenze d’una violenza che ha messo in subbuglio un villaggio meridionale afghano, Karezak, provincia di Kandahar.

Continua a leggere