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Autore: Anna Santarello

L’Afghanistan si prepara all’ondata di coronavirus mentre i migranti tornano dall’Iran.

The Guardian – 1 aprile 2020, di Akhtar Mohammad Makoii da Herat e Peter Beaumont

iran Afghanistan1I rimpatriati attraversano il confine a seguito della perdita di posti di lavoro dopo la chiusura, minacciando una catastrofe sanitaria.

Più di 130.000 afghani sono fuggiti dall’epidemia di coronavirus che sta scuotendo l’Iran per rientrare in Afghanistan con la preoccupazione che possano portare l’infezione nel paese già in crisi e impoverito.

L’enorme quantità di afgani che attraversa il permeabile confine dell’Iran, in uno dei più grandi movimenti transfrontalieri della pandemia, ha portato a crescenti timori per le organizzazioni umanitarie sul potenziale impatto delle nuove infezioni portate dall’Iran, uno dei paesi maggiormente colpiti dal virus.

Il ministero salute afghano allerta che circa 16 milioni di persone potrebbero essere infettate e che decine di migliaia potrebbero morire, gli esperti ritengono che l’ondata di lavoratori e rifugiati, che si stanno disperdendo in tutto il paese sono una minaccia per la situazione della salute e della sicurezza già complessa.

Secondo un rapporto congiunto pubblicato nel fine settimana dall’Organizzazione mondiale della sanità e dall’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari, mentre secondo i dati ufficiali solo 174 afghani hanno il virus, il numero reale potrebbe essere molto più alto a causa dei limitati test effettuati e della difficile tracciabilità dei contagiati.

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La Turchia rilascerà 90mila prigionieri. Non quelli politici.

ilmanifesto – Chiara Cruciati – 1 aprile 2020

turchia prigionieriMedio Oriente. Carceri affollate il doppio della loro capienza, ma giornalisti, attivisti e deputati Hdp restano in cella. Erdogan lancia una campagna di donazioni regalando il suo stipendio ma le opposizioni vanno all’attacco: crisi dovuta alle spese per i mega progetti infrastrutturali.

Al tempo del coronavirus lo svuotamento delle sovraffollate carceri turche, riempite a dismisura con la campagna di epurazioni seguita al fallito golpe del luglio 2016, arriva in parlamento.

Mentre il ministero della Giustizia, lunedì, ha annunciato fiero la produzione di un milione e mezzo di mascherine in un mese dentro sei diverse carceri, frutto del lavoro dei detenuti, il governo ha proposto il rilascio di decine di migliaia di prigionieri.

Da mettere agli arresti domiciliari a tempo determinato, come accaduto nel vicino Iran, nella consapevolezza che celle piccole e sovraffollate, spesso con scarse condizioni igieniche, siano uno dei migliori veicoli di contagio.

Sono 300mila i detenuti in Turchia (su una popolazione totale di 80 milioni) in 375 carceri, la cui capienza massima non supera le 120mila unità. A presentare la proposta di legge di 70 articoli è stato il partito del presidente Erdogan, l’Akp, due settimane fa. Ieri è arrivata in parlamento.

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“Non siamo pronti”: il coronavirus incombe sul fragile sistema sanitario afgano

The Guardian – 30 marzo 2020

coronavirusMentre le ONG occidentali hanno evacuato il personale e il supporto americano è venuto meno, un afflusso di afgani dall’Iran potrebbe aumentare la pressione su un sistema medico già impoverito

Nel centro di accoglienza di Guzargah per rimpatriati ad Herat, in Afghanistan, il diciassettenne Yunos riposa su un materasso sottile in una piccola stanza vuota.

La notte precedente lo ha stancato. L’ha trascorsa dormendo nel deserto al freddo senza cibo insieme a migliaia di altri afghani, in attesa dell’apertura del confine Iran-Afghanistan.

Yunos si è trasferito in Iran un anno fa. Ha attraversato illegalmente il confine di notte verso Teheran, dove ha trovato lavoro come elettricista. Tuttavia la settimana scorsa, ha deciso di tornare in Afghanistan. La pandemia di Covid-19 in Iran ha già infettato più di 30.000 persone, uccidendone quasi 2.400.

In Iran lavorano oltre 2 milioni di afgani che a causa del virus hanno perso il lavoro, gettandoli nella disperazione. “A Teheran tutti i negozi e le aziende hanno chiuso, il costo della vita è schizzato alle stelle. Se non lavori nei servizi necessari, non puoi uscire”, dice Yunos. “Tutti gli afgani stanno tornando a casa dall’Iran in questi giorni a causa del coronavirus. Siamo terrorizzati. Non vogliamo morire in terra straniera.”

Dalla fine di febbraio, oltre 115.000 afghani sono tornati a casa attraverso il valico di frontiera nella provincia di Herat in quella che è stata la più grande ondata migratoria verso l’interno della storia recente dell’Afghanistan. Il governatore di Herat, Abdul Qayum Rahimi, ha stimato che quasi la metà dei rimpatriati “potrebbe essere portatore di virus”, sollevando il timore che l’afflusso metterà a dura prova il fragile sistema sanitario dell’Afghanistan.

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HDP vuole costituire un centro di crisi alternativo contro il coronavirus

Rete Kurdistan Italia – 31 marzo 2020

HDP PresidenteIl Presidente HDP Mithat Sancar critica la politica del governo turco nella crisi da coronavirus e annuncia la costituzione di un centro di crisi alternativo a livello nazionale coinvolgendo associazioni professionali e sindacati.

Mithat Sancar come co-Presidente del Partito Democratico dei Popoli (HDP) si è pronunciato sull’attuale crisi da coronavirus. La sua presa di posizione è stata trasmessa in diretta via Twitter dalla sua abitazione a Ankara. In precedenza si era riunito il Consiglio Esecutivo dell’HPD.

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Autodifesa: una risposta alla violenza di genere

Cari amici e compagni,

siamo in una situazione drammatica, e stiamo seguendo la situazione della pandemia del virus corona in Italia. La situazione della società italiana ci preoccupa molto e auguriamo alla gente molta forza e un saluto di solidarietà.Nell’attuale situazione della pandemia COVID 19, gli Stati capitalisti stanno dimostrando ancora una volta di non avere alcun interesse o di non aver mai avuto alcun interesse per il benessere delle persone o del pianeta.

Sulla base della mentalità patriarcale, stanno cercando di imporre una gestione della pandemia che consiste nell’assicurare il loro potere con l’intimidazione a spese di tutti. Noi come Kongra Star, il movimento delle donne di Rojava, seguiamo la crescente violenza sistematica contro le donne anche in tempi di pandemia, ma anche l’organizzazione della resistenza contro di essa. Che si tratti della lotta delle donne in Cile contro le politiche neoliberali del governo o delle donne bosniache che chiedono giustizia contro il femicidio durante la guerra in Bosnia. Sono le donne afghane che lottano contro il fondamentalismo e per i loro diritti. E sono le donne curde che combattono contro l’occupazione.

Contro questa crescente mentalità patriarcale e la violenza, è necessaria l’autodifesa. Abbiamo pubblicato un opuscolo sul tema “Autodifesa: Una risposta alla violenza di genere”. L’opuscolo si trova in appendice.
Con saluti solidali

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LA MEZZALUNA ROSSA CURDA: IL GOVERNO TURCO HA TAGLIATO LE FORNITURE IDRICHE

Rete jin – 30 marzo 2020

krcIl governo turco ha tagliato le forniture idriche

Una violazione di IHL che può essere fatale per migliaia di persone.

Sabato scorso, il governo turco ha interrotto il flusso da un serbatoio che fornisce acqua alle aree in provincia di Hasakah, nel nordest della Siria, controllata dalle autorità locali curde.

La stazione dell’acqua di Alouk si trova vicino alla città di confine di Serekaniye, dove la Turchia e i suoi delegati militanti hanno assunto il controllo nell’ottobre 2019 durante la cosiddetta “Operazione della Primavera della Pace” della Turchia. Da allora, i gruppi sostenuti dai turchi hanno regolarmente interrotto il flusso d’acqua. Ciò è confermato anche da una dichiarazione pubblica dell’UNICEF, la quale ha affermato che la mossa è stata l’ultima di una serie di interruzioni nel pompaggio dell’acqua nelle ultime settimane.

La stazione di pompaggio Allouk, che di solito serve più di 460.000 persone a Hasakah e nei dintorni, non è operativa dal 30 ottobre 2019.
Da allora, il KRC con altri attori sta prendendo misure d’emergenza per trovare fonti alternative di acqua per le persone nella regione.

La protezione delle risorse idriche e delle infrastrutture per garantire un approvvigionamento affidabile di acqua ed elettricità al
la popolazione è un’esigenza fondamentale per la popolazione civile.
Gli impianti idrici sono coperti da una serie di termini e disposizioni del diritto internazionale umanitario, sia per trattato che per diritto consuetudinario.
La fame come metodo di guerra è esplicitamente vietata indipendentemente dalla natura del conflitto, e il concetto di oggetti essenziali per la sopravvivenza della popolazione civile comprende installazioni di acqua potabile e forniture e lavori di irrigazione. L’immunità per gli oggetti indispensabili viene revocata solo quando vengono utilizzati esclusivamente per le forze armate o in supporto diretto dell’azione militare. Anche allora, gli avversari devono astenersi
da qualsiasi azione, che potrebbe ridurre la popolazione alla fame o privarla di acqua essenziale.

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Afghanistan, il contagio che viene da Occidente

Enrico Campofreda – Blog – 30 marzo 2020

coronavirus afghanistanHa viaggiato da Occidente il coronavirus che s’è affacciato in Afghanistan. Come dappertutto nel mondo ha viaggiato con gli uomini, soprattutto lavoratori migranti che da metà marzo hanno attraversato il confine in direzione di Herat rientrando dall’Iran.

Anch’essi avevano perso lavoro per la progressiva copiosa serrata di tante attività rurali di raccolta di frutta e ortaggi, di facchinaggio nei grandi centri di smistamento merci e nei bazar. Alla frontiera, che ora è stata chiusa, il flusso crescente è diventato una marea.
Ammette il governatore della provincia di Herat, che il non numeroso personale sanitario di controllo, riusciva a mala pena a misurare la temperatura al 10% dei cittadini che rientravano. Il trasloco di per sé poteva essere fonte di contagio: i bus erano zeppi, così come le camere prese in affitto negli spostamenti di ritorno per un viaggio che, verso Kabul o ancora più a est a Jalalabad dura due-tre-quattro giorni.
Sono state giornate di enorme calca e promiscuità, e ora che la dogana è stata chiusa c’è chi attraversa una frontiera porosa con propri mezzi, finanche a piedi e soprattutto senza controlli sanitari. Il bollettino dell’Organizzazione Mondiale della Sanità stima poco più d’un centinaio di casi, ma non è una statistica è solo un numero che rileva gli episodi eclatanti.

Come altre situazioni critiche di Paesi mediorientali le carenze strutturali non consentono di arginare una pandemia, e se da una parte un certo isolamento delle persone è imposto da ragioni d’incolumità per la presenza di attentati da parte dell’Isil, la coabitazione nelle povere case delle città può infiammare eventuali focolai di chi porta il virus da fuori. Per ora l’epicentro del Covid-19 è Herat, che conta un milione e mezzo di abitanti stabili e dove la situazione della sicurezza è più calma che altrove. Fra l’altro quattro militari italiani del contingente Nato di stanza in città risultano positivi. Proprio quel che s’è visto nei giorni scorsi con gruppi di persone a contatto di gomito nelle moschee, nelle strade, nei parchi è l’esatto contrario d’un comportamento di prevenzione e contenimento epidemico.

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Colloqui intra-afghani, presentata la delegazione

Blog di Enrico Campofreda – 27 marzo 2020

Delegazione pace AfghanistanIl gruppo dei colloqui che stentano a partire per gli ‘stop and go’ imposti dall’estrema litigiosità dei presidenti-contro (Ghani e Abdullah), ma mai dire mai per le cose che riguardano l’Afghanistan, è stato formato e presentato alla stampa. Quindici uomini e cinque donne attesi al faccia a faccia coi rappresentanti talebani, una lista menzionata da Tolo tv che può dar luogo a considerazioni inesorabilmente sconsolanti.

A guidarlo sarà l’ex capo dell’Intelligence locale Masoom Stanikzai, coadiuvato da un nucleo che potremmo definire tecnico-burocratico: Ayoub Ansari, ex comandante della polizia di Herat, Nader Nadery, della Commissione servizio civile, Matin Bek, capo del Direttorato della governance locale, Enayatullah Baligh, membro del Consiglio degli Ulema, Rasoul Talib, consulente del presidente (ma quale? si presume Ghani).

Segue un nucleo di politici. Coloro che hanno rivestito cariche ufficiali: l’ex ministro dell’Economia Hadi Arghandiwal, l’ex degli Esteri Ahmad Moqbel, il già deputato Hafiz Mansour. Quindi i rappresentanti dei più consistenti partiti islamisti, e fondamentalisti: Kalimullah Naqibi per Jamiat- e Islami (il partito che fu dei defunti warlord Rabbani e Massud), Amin Karim per l’Hizb-e Islami  (la formazione del “macellaio” di Kabul Hekmatyar, vivente), più un membro dell’ala giovanile del Jamiat-e Islami, tal Zainab Muahed. Non è finita.

Poiché l’occhio dei Signori della guerra osserva sempre le evoluzioni dell’assetto nazionale, nell’assise è presente una coppia di figlioli d’arme: Khalid Noor, rampollo di Atta Mohammed, già governatore di Balkh e mujaheddin tajiko della vecchia guardia, vicino al comandante Massud. E Batur Dostum, figlio d’un altro papà sanguinario, Abdul Rashid, tuttora vicepresidente di Ghani. Per non farsi mancare nulla il vecchio Afghanistan trova un posto ad Amin Ahmadi, che è docente universitario, ma assai prossimo all’attuale antipresidente Abdullah Abdullah.

Giriamo pagina, si fa per dire, e vediamo qualche presenza femminile. Un’altra docente universitaria è Shahla Farid. Di lei non si sa molto. L’emittente di Kabul ne ha riportato una dichiarazione in cui afferma di non aver mai assistito a un incontro coi talebani, e di non conoscerli, assicura comunque che assieme alle altre donne della delegazione farà la sua parte. Più note sono invece Habiba Sarabi e Zakia Wardak. La prima è una veterana, deputata e capo dell’Alto Consiglio di pace, un’ematologa di etnia hazara dedicatasi alla politica già nel sedicente “nuovo corso” post talebano. Dopo aver ricoperto l’incarico di ministro degli Affari femminili, nel 2005 Karzai la nominò governatrice della provincia di Bamiyan, un’area del Paese che continua a essere fra le più povere e con elevato tasso di analfabetismo. Zakia Wardak, presidente della ‘Società afghana delle donne ingegnere’ è figlia del generale Ali Khan Wardak che ha combattuto contro l’Armata Rossa. Il fratello Zalmai egualmente generale, considerato un brillante analista strategico, fu assassinato.

Anche il primo marito di Zakia era un militare e aveva combattuto contro i sovietici, morì in un incidente stradale. Con l’ultimo marito, Serajuddin, sempre del gruppo tribale Wardak da cui la famiglia di Zakia prende il nome, s’impegnò nel progettare orfanotrofi, almeno così recita la biografia che ha diffuso, ma maggiore enfasi la riveste la sua creatura, la Sawec (Society Afghan Women Engineering Construction) che riceve appalti direttamente dall’Esercito statunitense. Del resto la formazione di questa “donna manager” è prossima agli States.

Dopo gli studi presso il Politecnico di Kabul, si è specializzata al Montgomery College in Maryland, instradando anche sua figlia Mariam, oggi trentaquattrenne, prima presso l’ambasciata statunitense a Kabul quindi verso il mistero che si occupa di narcotici. Forte di queste premesse nel 2018 Zakia s’è presentata per le elezioni alla Wolesi Jirga, la Camera bassa del Parlamento afghano.

L’AFGHANISTAN NON È UN PAESE PER DONNE

Nonostante gli accordi di Doha facciano sperare in un futuro di pace la condizione femminile resta ancorata a una concezione patriarcale e misogina che nega persino la possibilità di andare in bicicletta. Il tasso di analfabetismo sfiora il 90 per cento.

Romina Gobbo, Famiglia Cristiana, 25 marzo 2020

Afghanistan donne

Niloofar Rahmani nel 2013 è diventata la prima donna pilota militare dell’aeronautica afghana. La sua foto, foulard nero e occhiali da sole, ha fatto il giro dei media del mondo, simbolo di riscatto femminile nel Paese da decenni considerato il peggiore dove nascere donna. Chissà che cosa dice oggi Rahmani dell’accordo “di pace” firmato il 29 ottobre a Doha, in Qatar, fra Stati Uniti e talebani. Visto che a seguito della sua “emancipazione” salita all’onor delle cronache, Niloofar è stata minacciata dalle frange afghane più conservatrici, tanto da dover chiedere asilo agli Stati Uniti, dove si trova e dove ha smesso di volare.

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«Io, Eddi Marcucci, socialmente pericolosa per aver combattuto l’Isis»

Elvis Zoppolato – Left – 27 marzo 2020

marcucci

Sarebbe interessante capire dove sta la linea di demarcazione che separa un’opinione semplicemente contraria da un’opinione ritenuta invece pericolosa. Allo stesso modo, sarebbe interessante capire rispetto a chi e a che cosa un’opinione considerata pericolosa possa rappresentare un rischio o addirittura una minaccia. In tempi in cui ci si appella alla libertà solo per garantire il corretto funzionamento del mercato, chiedersi fino a che punto si è liberi di esprimere il proprio dissenso non è un esercizio di retorica ma un’urgenza che diventa tanto più necessaria quanto più forte è il tentativo di reprimere ogni aspirazione a vivere in una società diversa.

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