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Autore: Anna Santarello

Intesa. Afghanistan, la pace dopo la tregua. Ma le vittime nel 2019 sono state 10mila

Il Messaggero – Redazione Esteri – 22 febbraio

Iniziata la settimana di «riduzione delle ostilità» che dovrà portare alla firma dell’accordo il 29 febbraio e all’inizio del ritiro Usa dopo 18 anni di guerra, la più lunga per gli americani

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Al via la mini-tregua in Afghanistan per aprire la strada a uno storico accordo tra Stati Uniti e taleban che inneschi veri e propri negoziati di pace e porti dopo 18 anni alla fine della presenza militare Usa nel Paese. Una guerra che anche lo scorso anno (la statistica è stata resa nota solo poche ore fa) è costata la morte o il ferimento di diecimila civili. La firma della pace, per Donald Trump, che da settimane parla di intesa vicina, sarebbe un successo di politica estera enorme. Anche in chiave elettorale, nell’anno in cui il tycoon si gioca la rielezione alla Casa Bianca e dopo i risultati finora incerti e in parte deludenti su altri fronti, dalla Corea del Nord all’Iran, dalla Siria al Medio Oriente. Per sette giorni – ha annunciato il governo di Kabul – è stata concordata tra le parti una immediata “riduzione delle ostilità”, a partire da oggi, frutto dei lunghi e complessi negoziati svoltisi per settimane in Qatar. Se il cessate il fuoco reggerà, allora il 29 febbraio a Doha – hanno confermato i vertici taleban e il segretario di stato Usa Mike Pompeo – ci sarà la firma del vero e proprio accordo.

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Afghanistan: 1,5 milioni bambini in più avranno bisogno assistenza umanitaria

LiberoReporter – 19/2/20

bambini save the childrenDiciotto lunghi anni di conflitto hanno trasformato il Paese in uno dei posti peggiori al mondo dove essere bambini.

In Afghanistan il numero di bambini che avrà bisogno di assistenza umanitaria nel 2020 è salito del 40% rispetto allo scorso anno; ciò significa che 1,5 milioni di minori in più avranno bisogno di supporto per sopravvivere. Questa la denuncia di Save the Children – l’Organizzazione internazionale che da oltre 100 anni lotta per salvare i bambini a rischio e garantire loro un futuro – che sottolinea come 18 lunghi anni di conflitto abbiano trasformato l’Afghanistan in uno dei posti peggiori al mondo dove essere bambini.

Nell’anno in corso, specifica l’Organizzazione, altre 3,1 milioni di persone, più della metà delle quali minori, necessiteranno di assistenza umanitaria in un Paese in cui, negli ultimi due anni, la sicurezza è peggiorata notevolmente e il numero di bambini uccisi e mutilati ha raggiunto il suo record.

Secondo le Nazioni Unite, nei primi nove mesi del 2019, i bambini hanno rappresentato il 77% delle vittime civili a causa di armi esplosive. Questo quotidiano rischio mortale ha un profondo impatto sulla salute mentale dei più piccoli che spesso sono testimoni di atti di estrema violenza e devono affrontare lesioni traumatiche che spesso hanno ripercussioni gravissime sulla loro vita. Infatti, oggi nel Paese 1 persona su 10 vive con disabilità fisiche

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Erdoğan-Asad, presidenti guerrieri

Blog E. Campofreda – 19/2/20

IdlibErdoğan minaccia un’imminente operazione militare a Idlib, la zona ribelle anti Asad che quest’ultimo vuole sbaragliare per completare la riconquista del nord della Siria. Ovviamente di quel territorio dove il suo esercito – aiutato via terra dai pasdaran iraniani, via aria dall’aviazione russa – ha negli ultimi quattro anni stroncato gli ampi focolai jihadisti. Nella mappa provvisoria d’un Paese frantumato c’è pure l’area di nord-est dove insistono le Forze Democratiche Siriane, l’alleanza kurdo-araba che s’è opposta al governo di Asad. E le famose enclavi del Rojava, spazzate via dall’invasione turca dell’autunno scorso. L’esercito di Ankara, con l’accordo a due stabilito fra Erdoğan e Putin, ha occupato con cingolati e autoblindo le pianure di Afrin, Tal Abyad, Ras al-Ain. Il mondo ha visto la protervia e il cinismo con cui i potenti decidevano di scacciare gli abitanti del luogo e azzerare l’esperimento di autogoverno democratico che lo caratterizzava da oltre cinque anni. La zona di sicurezza contro il “pericolo terrorismo” non era altro che un’espansione turca a danno degli odiati kurdi. Popolo non amato neppure dal penzolante governo di Damasco, in questi anni di crisi e conflitto a tutto campo salvato da alleati interessati e da strategie geopolitiche che in Medio Oriente promuovono uomini e governi forti per contrastare stravolgimenti socio-politici.

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Afghanistan, il nuovo presidente eletto con il 6%: un fallimento in cifre

Corriere della Sera – A. Nicastro 19/2/20 

GhaniPresidenteAshraf Ghani proclamato vincitore dopo 5 mesi. Su 37 milioni di abitanti, l’hanno votato in 3 milioni. Trump lavora alla pace con i talebani, ma i rischi restano enormi.

Sono i numeri a dare la descrizione più vivida del fallimento. Non solo di uno Stato, l’Afghanistan, che avremmo voluto aiutare ad uscire dal medioevo del fanatismo talebano, ma di un’intera comunità internazionale che su quell’impresa aveva investito la sua autorevolezza, la vita dei suoi soldati e migliaia di miliardi.

I dati

Guardiamoli i dati che annunciano la riconferma alla presidenza dell’Afghanistan per altri 5 anni del 70enne Ashraf Ghani, ex Banca Mondiale, fortemente sostenuto da Washington. 5 come i mesi di rinvio delle elezioni presidenziali per «problemi tecnici», ma anche come i mesi che sono stati necessari per contare le schede a causa dei medesimi «problemi tecnici», evidentemente mai risolti. 1,8 come i milioni di schede considerate valide. 1 come il milione di schede scartate perché raccolte in modo considerato fraudolento. Praticamente un voto su tre. 300mila come le schede ammesse al conteggio nonostante fossero state registrate prima o dopo la chiusura dei seggi. In taluni casi l’anticipo non era di pochi minuti, ma di settimane. 6 milioni come gli afghani che si erano presi la briga di chiedere il certificato elettorale e poi non si erano presentati ai seggi nella stragrande maggioranza dei casi per paura di attentati da parte dei talebani. 3 milioni (ad essere generosi) gli afghani che hanno votato 37 come i milioni di abitanti del Paese 15 come i milioni (almeno) degli aventi diritto 900mila come le schede a favore di Ghani 6% la percentuale degli aventi diritto che avrebbe scelto Ghani come presidente.

Minorenni

In sostanza: un’elezione organizzata male e condotta peggio ha stabilito che il nuovo presidente dell’Afghanistan debba essere un uomo voluto dal 6% della sua popolazione. Contando anche i minorenni si arriva alla percentuale ridicola del 2,4 per cento che garantisce comunque a Ghani il 50,64% dei voti validi.

Numeri che parlano di un governo che non controlla il suo territorio perché nelle campagne e in molti centri comandano gruppi armati riconducibili ai neo-talebani o blandamente affiliati allo Stato islamico. Numeri che parlano di un governo che con il 2,4% di consensi non convince quei gruppi di potere che fanno capo allo sfidante ufficialmente sconfitto Abdullah Abdullah.

L’ex braccio destro di Massud

Da parte suo, l’ex braccio destro del comandante Massud ha già annunciato di non riconoscere il risultato e di voler costituire un governo parallelo. Sei anni fa era successo più o meno lo stesso e alla fine Ghani e Abdullah avevano deciso di spartirsi il potere (e il bilancio pubblico). Questa volta una riconciliazione sembra essere più difficile.

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Il più grande esodo della guerra siriana

Post – 19/2/20

BimboIdlibDa dicembre più di 900mila persone hanno lasciato la provincia di Idlib, bombardata da Assad e dai russi, senza avere un altro posto dove andare.

In Siria è in corso il più grande esodo dall’inizio della guerra civile, nel 2011. Da dicembre a oggi, quindi in meno di tre mesi, più di 900mila persone sono state costrette a lasciare le loro case nella provincia nordoccidentale di Idlib, l’unica ancora sotto il controllo dei ribelli, a causa dei bombardamenti del regime di Bashar al Assad e della Russia sua alleata.

La stragrande maggioranza dei profughi sta andando verso nord, verso la Turchia, che però ha chiuso da tempo il suo confine con la Siria per evitare una nuova ondata di migranti. La situazione peggiora di settimana in settimana e al momento non si sa come e se verrà risolta.

L’offensiva militare russa e siriana contro i ribelli di Idlib, per lo più jihadisti radicali, si è intensificata nelle ultime settimane. Il regime di Assad sembra intenzionato a fare a Idlib quello che ha fatto negli ultimi anni in altre regioni della Siria sotto il controllo dei ribelli: bombardare fino a costringere le persone che le abitano ad andarsene, svuotando le città, con l’obiettivo finale di riconquistare tutto il paese.

Quello che sta succedendo a Idlib è ancora più grave per due ragioni.

La prima è che nella provincia abitano oltre tre milioni di persone, di cui più della metà già sfollate da altre zone della Siria a causa della guerra: molti dei profughi di oggi stanno scappando per la terza o la quarta volta e si trovano in situazioni molto precarie da anni. La seconda è che da tempo la Turchia ha chiuso il suo confine meridionale con la Siria, per evitare un ulteriore aumento del numero di migranti siriani nel suo territorio (oggi più di tre milioni). Il regime turco guidato dal presidente Recep Tayyip Erdoğan sostiene che il paese non sia più in grado di accogliere altri migranti, nonostante in Siria continui ad appoggiare i ribelli contro il regime di Assad.

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Siria del nord: Massicci attacchi delle truppe di invasione

Rete Kurdistan Italia – 19/2/20

AttacchiSiriaGli attacchi turco contro città della Siria del nord sono diventati più violenti. Insediamenti civili in tre province sono stati obiettivo di fuoco di artiglieria.Nelle ore serali ci sono stati attacchi particolarmente intensi delle truppe di invasione turche contro insediamenti civili in Siria del nord e in Rojava. Verso le 23.20 sono stati attaccati il villaggio di Umm al-Keyf presso Til Temir, il villaggio Huriya presso Girê Spî, il villaggio Dibis presso Ain Issa e il villaggio Mezin a Efrîn-Şêrawa. Già in precedenza, verso le 22.30 l’esercito turco ha fatto fuoco sui villaggi di Evdîkoy, Kopîrlîk, Erîda e Bîrkino nei pressi di Girê Spî. Sono state danneggiate case e attaccate postazioni del regime.

Alle 19.30 erano stati attaccati con armi pesanti i villaggi di Mişrefa e Şergirat nei pressi di Ain Issa. Contro un silos di frumento sono state lanciate granate di mortaio. Secondo prime informazioni, tre persone ferite sono state ricoverate in ospedale.

Il fuoco di artiglieria serve per scacciare la popolazione, per allargare le zone di occupazione turca, popolarle nuovamente e preparane l’annessione. Diverse centinaia di migliaia di persone sono in fuga dall’inizio degli attacchi il 9 ottobre scorso.

Fonte: ANF

Dopo cinque mesi di incertezza, Ashraf Ghani è stato dichiarato vincitore delle elezioni presidenziali in Afghanistan

Post – 19/2/20

GhanyDopo cinque mesi di incertezza, il presidente uscente Ashraf Ghani è stato dichiarato vincitore delle elezioni presidenziali in Afghanistan, che si erano tenute nel settembre del 2019. In origine i risultati dovevano essere diffusi il 7 novembre, ma ci è voluto molto più tempo a causa di una serie di ragioni fra cui, secondo il Guardian, «accuse di corruzione e di frode e problemi tecnici nello spoglio». Ghani ha ottenuto poco più del 50 per cento dei voti, mentre lo sfidante Abdullah Abdullah il 39,5. Abdullah ha comunque rifiutato il risultato ufficiale, sostenendo che Ghani abbia vinto grazie a brogli.

Le elezioni si erano contraddistinte per un’affluenza molto bassa (hanno votato 1,9 milioni di persone su 9,6 milioni di elettori registrati, e una popolazione di 37 milioni di abitanti). I talebani, che continuano a essere in guerra con il governo afghano e stanno trattando da diversi mesi per una pace con gli Stati Uniti, avevano infatti minacciato attacchi e attentati ai seggi, cosa che potrebbe aver disincentivato il voto da parte di molte persone.

Ghani fa parte della comunità pashtun, la più grande in Afghanistan, e nei suoi cinque anni da presidente ha introdotto alcune leggi contro la corruzione, ma senza ottenere grandi risultati. Prima dei suoi incarichi istituzionali, aveva vissuto a lungo all’estero studiando negli Stati Uniti e lavorando per la Banca Mondiale.

Nel 21° anniversario dell’arresto, in migliaia a Roma: «Libertà per Öcalan»

Il Manifesto – S. Haertter 16/2/20

RomaOcalanPer il popolo curdo. Kurdistan turco e Rojava siriano in guerra, la protesta contro le complicità internazionali con Erdogan. E il 21 marzo prossimo, a Roma, appuntamento per celebrare il Newroz a Ararat

Da Milano, Modena, Torino, Firenze, Grosseto, Campobasso, Napoli, Genova, Pisa, Brindisi, Cosenza, Palermo, Bari, Vasto, con tante realtà del movimento romano, centri sociali, movimenti di lotta per la casa, studenti universitari, partiti, sindacati, associazioni, singole e singoli si sono ritrovati a Roma nel 21° anniversario dell’arresto del fondatore del Pkk Abdullah Öcalan. In un corteo promosso da Uiki (Uffico informazioni del Kurdistan in Italia), Comunità curda, Centro Ararat e Rete Kurdistan.

La liberazione di Öcalan dall’isolamento totale sull’isola di Imrali dove è rinchiuso, significa una speranza di pace e libertà non solo per il popolo curdo, ma per l’intero Medio Oriente e oltre. I suoi ideali hanno ispirato la rivoluzione del Rojava, oggi minacciata dall’occupazione turca. Nel cantone di Afrin, e dall’ottobre scorso le città di Serekaniye e Gire Spi, vige un regime di terrore e la Turchia sta compiendo una pulizia etnica per una sostituzione demografica con truppe mercenarie jihadiste.

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Appello per la liberazione di Patrick Zaky

FreePatrickIl CISDA – Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane – ha aderito all’appello lanciato della rete “In difesa di a sostegno di Patrick Zaky, il giovane studente egiziano dell’Università di Bologna  impegnato nella difesa dei diritti delle minoranze oppresse nel suo Paese e arrestato al Cairo. La lettera è stata inviata al Ministero degli Affari esteri, alla viceministra Marina Sereni, alla Commissione d’inchiesta parlamentare sul caso Regeni e al Comitato parlamentare Diritti umani nel mondo. La sottoscrivono i Giuristi democratici, le associazioni della rete “In difesa di”, tra cui il CISDA, e la rete per la Pace per chiedere che l’Italia si attivi in modo concreto per l’immediata liberazione di Patrick.

Segue il testo della lettera e delle richieste:

Lettera aperta dei G.D. e altre associazioni della rete “In difesa di” e della Rete per la Pace per la liberazione di Patrick Zaky

Giuristi Democratici – Redazione 17/2/2020

I Giuristi Democratici, unitamente ad altre associazioni della rete “In difesa di” e della Rete per la Pace, hanno inviato la presente lettera al Ministero degli Affari esteri, alla Commissione d’inchiesta parlamentare sul caso Regeni e al Comitato parlamentare Diritti umani nel mondo per chiedere il pieno impegno per la liberazione del difensore dei diritti umani Patrick George Zaky

Dott.ssa Michela Carboniero
Ufficio Diritti Umani
DGAP
Ministero degli Affari Esteri

On. Erasmo Palazzotto
Presidente Commissione di Inchiesta parlamentare sul caso Giulio Regeni
Camera dei Deputati

On. Iolanda Di Stasio
Presidente Comitato Diritti Umani nel Mondo
Commissione Affari Esteri
Camera dei Deputati

On, Marina Sereni
Viceministro per gli Affari Esteri

Ministero degli Affari Esteri

Con questa lettera le associazioni firmatarie, incluse molte aderenti alla rete In Difesa Di ed alla Rete della Pace intendono richiamare l’attenzione sull’urgenza di intraprendere misure effettive ed immediate per assicurare il rispetto dei diritti umani fondamentali del difensore dei diritti umani egiziano Patrick George Zaky.

Patrick George Zaky è difensore dei diritti umani e ricercatore della Egyptian Initiative for Personal Rights (EIPR), che si occupa di diritti LGBTIQ, delle donne, della minoranza cristiana, dei detenuti, e delle violazioni dei diritti civili e politici in Egitto. Da settembre segue il Master europeo sugli studi di genere “GEMMA” a Bologna, e vive in Italia con regolare permesso di soggiorno per studio.

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Il governo iracheno minaccia di sciogliere l’Organizzazione per la Libertà delle donne in Iraq

IraqImrevolutionPost Facebook di I’m the Revolution – 14/2/20

Il governo iracheno minaccia di sciogliere il Owfi – L ‘ Organizzazione per la Libertà delle donne in Iraq. Il motivo? Danno ospitalità a donne “disonorate”. Infatti, OWFI ha salvato migliaia di donne che stavano sfuggendo agli omicidi d’onore. Sembra una rappresaglia da quando Yanar Mohammed, il finanziatore e molte delle donne che lavorano a OWFI hanno protestato contro il governo in piazza Tahrir. OWFI ha creato una rete di rifugi sotterranei in tutti i paesi. Nonostante tutte le difficoltà e le minacce, non hanno mai ceduto. E non cederanno certo adesso. Nell’immagine, uno dei rifugi di Baghdad, che è presente nel film I’m the revolution.
#westandwithOWFI