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Autore: Anna Santarello

Niloofar Rahmani, il prezzo di essere donne in Afghanistan e di lottare per i propri diritti.

Questa notizia è emblematica  della strumentalizzazione di una donna che per i media occidentali era stata presentata come finalmente anche in Afghanistan per le donne si aprivano nuovi orizzonti di emancipazione. Come dicono da sempre le nostre amiche afghane la realtà è ben diversa… [N.d.R.]

GettyImages 471477016Io Donna – 18 dicembre 2019

Rahmani nel 2013 è diventata la prima pilota militare donna dell’aeronautica afghana. Le sue foto con gli occhiali da aviatore scuri e una sciarpa che copre leggermente i suoi capelli neri, sono diventate virali in tutto il mondo. Non senza un prezzo.

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3000 miliardi di dollari nel pozzo afghano senza fondo

Il Manifesto – 17 dicembre 2019 – Manlio Dinucci

L’articolo evidenzia le contraddizioni degli Stati Uniti e degli alleati che hanno speso cifre enormi senza arrivare ad una conclusione del conflitto afghano che potesse dare una speranza di vero cambiamento  Per uscire da questa situazione il governo statunitense sta trattando con i talebani per una pace sulla pelle della popolazione civile che come dicono i nostri amici afghani da sempre non si tratta con chi ha le mani sporche di sangue [N.d.R.]

Militari afghanistanNella Dichiarazione di Londra (3 dicembre) i 29 paesi della Nato hanno riaffermato «l’impegno per la sicurezza e stabilità a lungo termine dell’Afghanistan». Una settimana dopo, in base alla «Legge sulla libertà di informazione» (usata per svuotare dopo anni alcuni armadi dagli scheletri a seconda della convenienza politica), il Washington Post ha desecretato 2.000 pagine di documenti i quali «rivelano che funzionari Usa hanno ingannato il pubblico sulla guerra in Afghanistan». In sostanza hanno nascosto i disastrosi effetti, anche economici, di una guerra in corso da 18 anni.

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Diritti umani in Turchia: L’HDP fa un bilancio sconvolgente

Rete Kurdistan Italia – 15 dicembre 2019

Portavoce HDPIl portavoce HDP Günay Kubilay dichiara: “La richiesta di nuove elezioni deve diventare più forte, si tratta di liberarsi da questo governo.“ Kubilay definisce l’attacco mortale della polizia militare a Dûtax un “crimine crudele“.

Il portavoce del Partito Democratico dei Popoli (HDP) Günay Kubilay ha organizzato una conferenza stampa nella sede HDP a Ankara. Ha ricordato i massacri durante l’assedio militare di quattro anni fa di Cizîr (Cizre), Şirnex (Şırnak), Silopiya (Silopi), Sûr, Nisêbîn (Nusaybın), Gever (Yüksekova), Farqîn (Silvan), Hezex (Idil) e Kerboran (Dargeçit) e ha criticato che la grande imprese edili sfruttano le città curde distrutte per fare il massimo dei profitti. La struttura etnica e sociale delle città viene attivamente modificata, ha detto Kubilay. Solo a Sûr oltre 300 edifici storici sono stati rasi al suolo. Regna un clima di impunità per l’assassinio di almeno 292 persone, tra cui molte donne e bambini, da parte delle forze statali.

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Le ragazze di Zohra insieme alle ragazze di Olimpia per il concerto al Teatro la Fenice.

viveresenigallia – 15 dicembre 2019

539570 Cfakepathzohra. ralf Fervono i preparativi per l’8 marzo 2020 targato Orchestra Olimpia. Dopo il successo del concerto di esordio, l’evento di beneficenza Concerto Rosa tenutosi al Teatro Rossini di Pesaro l’8 Marzo scorso, il cui ricavato è stato devoluto come borsa di studio al Dipartimento di Medicina e Chirurgia dell’Università di Bologna, Olimpia vuole realizzare un nuovo e ambizioso sogno che punta oltre il confine nazionale e più precisamente in Afghanistan, terra di conflitti antichi e recenti.

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Afghanistan, nel mondo 4,6 milioni afghani sradicati: 2,7 milioni rifugiati, altri due milioni sfollati interni

La Repubblica – 13 dicembre 2019

Vi segnaliamo questo articolo di Repubblica, per le informazioni sulla situazione dei migranti afghani nel mondo, anche se a nostro avviso, presenta i dati dell’L’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati in modo parziale e acritico.

Nella realtà i rifugiati afghani trovano gravi difficoltà di inserimento nei paesi vicini per l’instabilità dell’area. Mentre i paesi europei decidendo unilateralmente che il paese è pacificato hanno fatto accordi con il governo afghano per il rimpatrio forzato dei rifugiati che rientrati nel paese non hanno più nessuna tutela così come i rifugiati interni (ulteriori informazioni sulla nostra posizione le potete trovare sul nostro sito a questo link: https://www.cisda.it/link/migranti.html).

Se come si afferma nell’articolo la maggior parte dei rifugiati afghani sono giovani sotto i 25 anni e dovrebbero essere “il futuro dell’Afghanistan e il loro ruolo è essenziale per lo sviluppo delle loro comunità” riteniamo che sia l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati che i governi coinvolti dovrebbero investire risorse sì per migliorare le condizioni dei rifugiati ma anche investire risorse che seriamente controllino sul territorio che queste politiche e queste risorse siano veramente attuate in favore della popolazione e non finire nelle maglie della burocrazia e della corruzione.[N.d.R.]

Rifugiati afghaniL’esodo afghano sta ormai entrando nel suo quinto decennio. Tre quarti dei profughi ha meno di 25 anni. L’UNHCR chiede maggiore sostegno

ROMA – L’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, esorta a intensificare il sostegno a favore dei cittadini afghani costretti alla fuga e delle comunità che li accolgono, in vista del primo Forum Globale sui Rifugiati che si terrà a Ginevra martedì e mercoledì prossimi (17 e 18 dicembre), a un anno dalla storia affermazione del Patto Globale sui Rifugiati. L’esodo afghano sta ormai entrando nel suo quinto decennio, sono circa 4,6 milioni su scala globale gli afghani sradicati – dei quali circa 2,7 milioni registrati come rifugiati e altri due milioni rimasti sfollati all’interno del Paese. Gli afghani rappresentano la popolazione sotto il mandato dell’UNHCR rimasta sfollata ed espropriata di tutto per più lungo tempo a livello mondiale.

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Malalai Joya: «Denuncio la corruzione da anni e per questo vivo sotto scorta»

Andrea Nicastro, Corriere della sera, 14 dicembre 2019

Malalai Joya

«La pace senza giustizia non vale nulla», dice Malalai Joya, in Italia per alcuni incontri organizzati dal Cisda, in un’intervista di Andrea Nicastro.

Gli Afghan Papers ottenuti dal Washington Post hanno mostrato che nascosti dietro dichiarazioni ufficiali praticamente identiche per 18 anni («Stiamo vincendo», «Siamo sulla strada giusta», «La strategia è corretta») i responsabili della guerra americana in Afghanistan hanno dubbi, incertezze e spesso finiscono per pensare il contrario di quel che dicono: non riusciamo a vincere perché non sappiamo come fare. Nessun generale, politico, ambasciatore può dire: «Avevo ragione io».

Malalai Joya sì. Era il 2003, Malalai era stata eletta nell’assemblea costituente dell’Afghanistan post talebano. A dirigere la riunione un religioso con turbante e barba bianca che se nulla fosse cambiato da quando gli studenti del Corano vietavano la musica e frustavano le caviglie che spuntavano dal burqa delle donne. Nella grande tenda c’erano mantelli, veli, tuniche, kajal sotto gli occhi dei maschi ed hennè sulla punta delle barbe: pareva un film su antiche tribù delle steppe. Lei, ragazzina, chiede la parola.

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Visioni e strategie dal Kurdistan

Roj

Dichiarazione finale della prima conferenza internazionale su Confederalismo democratico, Municipalismo e Democrazia globale lanciata a Roma il 5 e 6 ottobre 2019 da Uiki (Ufficio d’Informazione del Kurdistan in Italia).

L’evento ha visto “la partecipazione non solo di protagonisti diretti della rivoluzione del Rojava (Rehan Sheikhmous, Ahmad Yousef, Anwar Muslem, un contributo dal nord-est della Siria) ma anche di lotte e movimenti che si richiamano agli stessi principi, dall’emancipazione del popolo curdo in altri territori (Sezai Temelli, Nîlufer Koç, Ercan Ayboga, Hanim Engizek, Haskar Kirmizgul, Mohammed Abdalla Awl, Leyla Imret, Ferda Cetin, Newroz Uysal) alle rivendicazioni ecologiste, municipaliste e di autodeterminazione che si agitano in diversi contesti geografico-politici (Victoria Sandino, senatrice ed ex militante Farc, Daniel Mancio, attivista Sem Terra, Leo Saldanha, ricercatore Environment Support Group e attivista dall’India, Giada Bonu, attivista Nudm, Janet Sanz, vice-sindaca della città di Barcellona, Maribel Cervantes Cruz, rappresentante del Congresso Nazionale Indigeno in Messico, Erasmo Palazzotto di Mediterranea Saving Humans), nonché l’avvicendarsi di riflessioni teoriche di ampio respiro da parte di studiosi, ricercatori, giornalisti, avvocati (Fabio Marcelli, Enrica Rigo, Glenis Balangue-Dalkiran, Laura Corradi, Nazan Üstündağ, Salvatore Malinconico, Federica Giardini, Jeffrey Miley, Giuseppe Micciarelli, Stefania Battistini, Genevieve Vaughan, Giuseppe Caccia, Carmine Malinconico, Debbie Bookchin) e di rappresentanti ed ex-rappresentanti della politica e dell’associazionismo (Massimiliano Smeriglio, Francesco Martone, Antonio Ragonesi, Laura Marmorale, Domenico Lucano, Giuseppe Casafina, Simon Dubbins, Vincenzo Miliucci)” con “l’intento di creare connessioni non solo in orizzontale, fra movimenti e lotte da diverse parti del mondo, ma anche in verticale, provando a capire quanto gli attuali assetti istituzionali (in particolare, quelli italiani) debbano accogliere le suggestioni del municipalismo e del confederalismo democratico e quanto, viceversa, le spinte dal basso possano mettersi in dialogo con tali assetti”  (da Dinamo Press)

Dichiarazione finale

La prima conferenza internazionale su Confederalismo Democratico, Municipalismo e Democrazia Globale ha visto la partecipazione di più di 650 attiviste/I, accademici/accademiche, sindaci, femministe ed ecologiste/i da tutto il mondo. Tutte/i insieme abbiamo discusso ed analizzato attraverso il lavoro di 7 panel con persone esperte, i temi cruciali del nostro tempo, localmente, regionalmente e globalmente. Il lavoro di Ocalan, leader del popolo curdo, è stato di ispirazione con la proposta di Confederalismo Democratico come alternativa a patriarcato, stato-nazione, neoliberismo e sfruttamento della natura – ed è stato il terreno del nostro dibattito, accettato come soluzione globale. 

Il bisogno di comunicazione e coordinamento delle lotte, fra tutti i popoli qui rappresentati, unendo gli sforzi per creare piattaforme comuni, è vitale per superare la situazione presente di caos e crisi del sistema capitalista, della modernità, del positivismo, dell’etero sessismo e del nazionalismo, che ci sfidano ad implementare soluzioni alternative come il confederalismo democratico.

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Appello per la Lunga Marcia “Libertà per Öcalan – Spalla a spalla contro il fascismo” verso Strasburgo

 International Initiative “Freedom for Abdullah Öcalan, Amargi, 9 dicembre 2019

abdullah ocalan

“Dalla rosa che protegge la sua incantevole bellezza con le spine, tutti noi abbiamo ancora qualcosa da imparare.” – Abdullah Öcalan

Il Rojava – l‘oasi della democrazia e libertà – da alle persone in tutto il mondo la speranza che è possibile un mondo diverso, oltre lo Stato, il potere e la violenza.
Nel bel mezzo della guerra in corso in Siria da oltre otto anni, sono stati compiuti passi significativi in direzione della liberazione delle donne, delle strutture della democrazia dal basso e della responsabilità ecologica.

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Attacco al Rojava. Fine di un’utopia?

Enrico Campofreda, dal suo blog, 12 dicembre 2019

Unità protezione popolo

Nei sette anni vissuti coraggiosamente l’Amministrazione Autonoma della Siria del Nord-est, più conosciuta come Rojava che in lingua kurda vuol dire “l’Occidente”, ha inseguito sogni e bruciato tappe, ha perduto vite in luminose spianate e fra le macerie di case sbriciolate dalle granate e guadagnato sostegno che non è necessariamente futuro. Anzi.
Colpa di ciò che è accaduto con l’ultima invasione turca beffardamente denominata “Fonte di pace”, e soprattutto con la stretta di mano fra Putin ed Erdoğan.  Il signore del Cremlino nella veste di “protettore” del vicino Medio Oriente ha sdoganato la deportazione di massa della gente kurda dal confine turco, così il confederalismo democratico profumato di ecologia, laicità, femminismo segna uno stop, perlomeno nella veste realizzativa conosciuta nelle difficili fasi di conflitti locali.

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Leyla Güven condannata a una lunga pena detentiva

ANF – 10 dicembre 2019

leyla gueven

La politica HDP Leyla Güven e il giornalista Seyithan Akyüz a Adana insieme a altre 25 persone, sono stati condannati per appartenenza a un’organizzazione terroristica a oltre sei anni di carcere.

.In un processo di massa avviato nel 2008 contro 96 persone nell’ambito dei cosiddetti „Processi KCK“ oggi davanti a un tribunale penale di Adana è stata emessa la sentenza. 27 degli imputati sono stati condannati per appartenenza a un’organizzazione terroristica a pene dentive di sei anni e tre mesi di carcere. Gli altri 69 imputati sono stati assolti dall’accusa.

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