Kabul: giovedì scorso un attentato-suicida davanti all’ingresso dell’Accademia militare ammazza sei persone, ferendone sedici. Ancora nella capitale il giorno seguente, mentre sfila un convoglio militare statunitense, esplode un camion-bomba: quattro morti e quattro feriti, quest’ultimi sono marines.
Basi aeree americane e un accordo controverso. Washington ha sei campi militari nel Paese, di cui tre molto vicini al confine iraniano.
Venti di guerra tra Stati uniti e Iran non hanno mai smesso di soffiare dalla caduta dello scià nel 1979 e da allora Teheran ha sempre cercato di coprirsi le spalle in caso di un eventuale attacco, che preveda bombardamenti o l’avanzata di truppe di terra.
Internazionale – Pierre Haski – France Inter Francia – 20 giugno 2019
Il 23 giugno gli elettori di Istanbul saranno chiamati alle urne per elezioni municipali la cui posta in gioco va ben oltre il contesto cittadino.
Prima di tutto bisognerà capire se il presidente Recep Tayyip Erdoğan potrà accettare un’altra sconfitta elettorale nella sua città, un tempo trampolino politico per la sua carriera. Il voto servirà inoltre a verificare se resta ancora un piccolo spazio democratico, quantomeno formale, in un paese che da tre anni subisce gli effetti di un’ondata autoritaria.
Le elezioni municipali si sono già svolte il 31 marzo, quando a Istanbul il candidato dell’opposizione ha vinto con un margine ristretto. L’Akp, partito islamo-conservatore del presidente, ha presentato ricorso e ottenuto l’annullamento del voto, scatenando le proteste dell’opposizione.
LUISS – Osservatorio sulla Sicurezza Internazionale – Jasmine Ceremigna – 10 giugno 2019
Lo Stato Islamico si sta espandendo in Afghanistan, secondo quanto riportato da Al Jazeera, “con migliaia e migliaia” di militanti, dopo aver perso il dominio in Siria e in Iraq. Le nuove reclute starebbero pianificando alcuni attentati contro i Paesi occidentali.
Il governo norvegese ha avviato la procedura di espulsione per tre fratelli verso l’Afghanistan: Eshan Abbasi (16 anni), sua sorella Taibeh e suo fratello Yasin. Secondo quanto appreso, sono accompagnati da 10 agenti della polizia norvegese e si trovano a Istanbul con la madre che probabilmente sarà riportata in Norvegia per ragioni di salute. I tre ragazzi potrebbero invece essere a breve imbarcati per Kabul.
Le circostanze in cui si trova ora la famiglia a Istanbul rimangono sconosciute ma è probabile che non abbia avuto contatti con il mondo esterno da quando è stata caricata su un aereo, lo scorso sabato mattina.
Chiediamo al governo di sospendere immediatamente l’espulsione: in Afghanistan rischierebbero di subire gravissime violazioni dei diritti umani.
“Sradicare questi tre giovani fratelli dalla comunità in cui vivevano da più di sette anni ed espellerli da soli verso una zona di guerra rappresenta un immorale abuso di potere – ha dichiarato in una nota ufficialeMassimo Moratti, vicedirettore per l’Europa di Amnesty International –. L’Afghanistan non è un paese sicuro e se questa spietata e non necessaria espulsione sarà portata a termine spaccherà una famiglia, metterà in pericolo le vite di tre giovani e ruberà loro il futuro“.
Taibeh Abbasi è nata in Iran da genitori afgani ed è fuggita in Norvegia con la madre e i fratelli nel 2012. È una coraggiosa difensora dei diritti umani, che ha preso la parola a nome di tutta la sua famiglia ed è anche pienamente sostenuta della comunità della città di Trondheim.
Il Movimento di liberazione delle donne curde ha presentato una proposta per un Confederalismo democratico mondiale delle donne per la prima volta nell’ottobre 2018 alla Conferenza internazionale delle donne a Francoforte, organizzata dalla rete “Women Weaving the Future (Donne tessendo il futuro)”, con il titolo di “Revolution in the making”. L’8 marzo il KJK (Komalên Jinên Kurdistan, Comunità delle donne del Kurdistan) ha poi rivolto il seguente appello a tutte le donne della terra.
Il primo principio della lotta per la liberazione delle donne è l’organizzazione.
Intervento di ogni relatrice: Spiegazione della situazione storico / politica nello specifico territorio negli ultimi anni, in relazione alla lotta delle donne.
Video messaggio dai territori: Qual è, ad oggi, il ruolo delle donne all’interno della Resistenza nel tuo territorio? Che legame intercorre tra una donna e la propria terra?
(ovviamente alterniamo intervento delle relatrici e video messaggi, affrontando un territorio alla volta).
SECONDA PARTE / RELAZIONI
Intervento Rajaa: Origine della civiltà e stato di natura secondo Ocalan, focus sul concetto di “velat paresi” + spiega del perchè facciamo focus specifico sui territori.
Video messaggio dai territori:
Kurdistan: Parlaci dei valori fondanti e della visione politica alla base della comunitarietà curda. Che strategie avete utilizzato?
Gaza: Parlaci dello stato di oppressione che è generato dall’isolamento forzato e dalla cattività delle comunità, sui corpi delle donne e non solo.
Afghanistan: Esiste in Afghanistan un patriarcato strutturale che affligge i rapporti familiari e intimi? Come lo affrontate?
Cisgiordania: Puoi parlarci del legame che intercorre tra la procreazione e la Resistenza palestinese? Sei d’accordo?
Colombia: Quanto spazio è concesso alle donne all’interno delle organizzazioni politiche e delle istituzioni? Quali sacrifici devono fare in più le donne?
TERZA PARTE / L’ALTERNATIVA DELLE DONNE
Intervento Azzurra: Partendo dal legame che si può creare tra le lotte di tutte le donne è possibile opporre un’alternativa strutturale (quindi economica, sociale e politica) allo stato di cose attuale basato sul neoliberismo e le sue pratiche.
Video messaggio dai territori: È possibile un’universalità della lotta delle donne al di là delle differenze territoriali? Come la lotta delle donne può incidere in un cambiamento globale?
Commento relatrici italiane
Se vogliono, le relatrici integrano e commentano ciò che le compagne dei territori hanno evidenziato, inserendo il loro contributo in un’ottica anticapitalista.
Cosa possiamo trarre noi italiane dalle pratiche di resistenza delle donne in territori apparentemente così diversi?
Cosa ci accomuna?
Cosa ancora ci divide?
Apriamo un breve dibattito conclusivo sulle possibili pratiche future.
Di Najim Rahim e David Zucchino – 21 maggio 2019 Traduzione a cura di: Claudia Pisello, Elena Boraschi, Simone Rivello e Cristina Cangemi.
Macerie di un’aula bombardata il mese scorso nel villaggio di Naw Deh, nella provincia di Farah in Afghanistan. Najim Rahim/The New York Times
NAW DEH, Afghanistan — Poco prima degli esami di metà trimestre, nel mese di gennaio, Mohammad Sadiq Halimi, vicedirettore dell’Istruzione della provincia di Farah, città situata nella parte occidentale dell’Afghanistan, ha ricevuto un ultimatum dai leader talebani del territorio.
Ad Halimi è stato ordinato di licenziare tutti i docenti uomini dalle scuole femminili e rimpiazzarli con insegnanti donne. «Gli uomini non dovrebbero educare le ragazze», sostengono i combattenti.
Cisda e il suo partner Hawca a sostegno delle donne afgane alle quali viene garantita una vita serena e libera assieme ai loro bambini, in un luogo dove possano studiare e imparare un mestiere.
“Di sicuro sarei morta se non fossi entrata nella casa protetta. Gli incubi si allontanano, le ferite sbiadiscono ma restano disegnate su di me. Ora però ho di nuovo un volto nello specchio e guardo diritto davanti a me”. “Ce l’ho fatta, sono una donna libera. Voglio vivere, pensare, ballare, lavorare e ridere di sciocchezze. Il mondo là fuori non mi vuole, il futuro è cieco. Che ne faccio qui dentro della mia libertà?”