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Autore: Anna Santarello

Usa, schiaffo del Senato a Trump: “No al ritiro delle truppe da Siria e Afghanistan, prima sconfiggere l’Isis”

Repubblica.it – 5 febbraio2019

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Lo stop a poche ore dal discorso sullo stato dell’Unione davanti al Congresso. Ora testo passa alla Camera.

Il Senato americano, a maggioranza repubblicana, ha approvato una legge che mette in guardia l’amministrazione Trump dal ritirare in maniera precipitosa le truppe Usa dalla Siria e dall’Afghanistan.

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Afghanistan, pace difficile senza apporto negoziale delle donne

Articolo 21 – 29 gennaio 2019 di Voci Globali

10(Sediqa Balkhi, membro dell’Alto Consiglio di pace afgano, parla durante una Conferenza per la pace a Jalalabad, provincia di Nangarhar, Afghanistan. Settembre 2013. Foto Sgt. Margaret Taylor )

I recenti sviluppi nel processo di pace in Afghanistan, in particolare l’annuncio di colloqui tra il Governo e i Talebani, sono stati ben accolti in questo violento conflitto di lunga durata.

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A Mosca i talebani dettano la propria agenda

Enrico Campofreda dal suo Blog – 6 febbraio 2019

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In pieno fermento di trattative su più tavoli, frequentati da potenze mondiali, i talebani dettano la propria agenda. Se ci vogliono – pensano e dicono – dovrà essere alla maniera nostra.

Così nei colloqui che si svolgono in queste ore a Mosca con lo staff predisposto da Putin, uno dei capi negoziatori taliban, Abbas Stanakzai, se la prende con l’attuale Costituzione afghana giudicata illegittimata e un ostacolo ai passi in atto per la pacificazione del Paese.

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16 Febbraio a Roma: Libertà per Ocalan e per tutte e tutti i prigionieri politici & Difendiamo il Rojava per la libertà e la pace in Medio Oriente – Adesioni

UIKI – MANIFESTAZIONE NAZIONALE – Roma il 16 febbraio 2019 ore 14.:00

corteo 2 1 630x325 599x275Sono 20 anni che il leader del popolo curdo Abdullah Ocalan è sequestrato nell’isola-carcere di Imrali, in condizione di totale isolamento. Dal 2011 gli è negato l’incontro con i suoi legali e dal 2015 lo Stato turco impedisce ogni qualsivoglia contatto.

Solo qualche giorno fa, per pochi minuti ha potuto riabbracciare il fratello, stante la pressione esercitata nel mondo dal #HungerStrike di migliaia di curde/i, in particolare nelle carceri turche dove la deputata HDP Leyla GÜVEN è giunta al 70° giorno di sciopero insieme a centinaia di detenute/i con l’intento di “porre fine all’isolamento di Ocalan”.

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Afghanistan: Amnesty International sollecita protezione per i difensori dei diritti umani

Amnesty International – 29 gennaio 2019

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Di fronte all’incessante aumento delle vittime civili in Afghanistan, Amnesty International ha sollecitato il governo a impegnarsi maggiormente per assicurare protezione ai difensori dei diritti umani del paese.

La settimana scorsa, in occasione dell’Esame periodico universale sull’Afghanistan, gli stati membri del Consiglio Onu sui diritti umani hanno sottolineato che il governo dell’Afghanistan deve fare di più nel campo dell’istituzione di un meccanismo per proteggere i difensori dei diritti umani, dell’applicazione delle leggi esistenti, della partecipazione delle donne e della tutela dei civili nel conflitto.

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PRIMUM VIVERE, CONTANO LE PERSONE, CONTA L’UMANITÁ

Rete Femminista No Muri No Recinti

2253991822539918 PRIMUM VIVERE, CONTANO LE PERSONE, CONTA L’UMANITÁ

ADERIAMO ALL’APPELLO “PEOPLE – PRIMA LE PERSONE” E ALLA MANIFESTAZIONE DEL 2 MARZO

  • VOGLIAMO CHE VENGA APPLICATA LA CONVENZIONE DI ISTANBUL A PROTEZIONE DELLE DONNE MIGRANTI E DEI LORO FIGLI
  • RISPETTARE I DIRITTI DELLE DONNE SIGNIFICA RISPETTARE I DIRITTI UMANI
  • ACCOGLIERE DEGNAMENTE LE PERSONE IN CERCA D’ASILO SIGNIFICA RISPETTARE I DIRITTI UMANI
  • DISOBBEDIREMO A TUTTI I GOVERNI CHE VIOLANO I DIRITTI UMANI

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La trattativa in Afghanistan arriva con 17 anni di ritardo

Internazionale – 30 gennaio 2019 Gwynne Dyer, giornalista

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“I taliban si sono impegnati, con nostra soddisfazione, a rispettare quanto necessario per evitare che l’Afghanistan possa diventare una piattaforma per terroristi o gruppi terroristici internazionali”, ha dichiarato Zalmay Khalizad, il funzionario statunitense incaricato delle trattative di pace in Afghanistan, il 29 gennaio scorso. Ma allora perché gli Stati Uniti non hanno discusso la stessa questione con i taliban 17 anni fa, nell’ottobre 2001? 

Il rappresentante degli Stati Uniti ha appena trascorso sei giorni a negoziare con i talebani in Qatar, e ha ottenuto da loro la promessa che non permetteranno mai a formazioni terroristiche come Al Qaeda o il gruppo Stato islamico (Is) di usare l’Afghanistan come base per le loro attività. I taliban sono islamisti e nazionalisti (nonostante l’incompatibilità di questi due princìpi), ma non sono mai stati dei terroristi internazionali. 

La reazione sbagliata
Ora bisognerà scegliere le date per il ritiro definitivo degli Stati Uniti dall’Afghanistan (tra circa 18 mesi) e aprire dei negoziati diretti tra il governo afgano, sostenuto da Washington, e i taliban. C’è ancora molto da fare, ma la cosa potrebbe funzionare. 

E quindi congratulazioni a Donald Trump, e vergogna a quegli analisti ed esperti di Washington che non hanno mai avuto la forza di consigliare semplicemente di mettere fine alla più lunga guerra mai condotta dagli Stati Uniti. Alcuni di loro sono le stesse persone che 17 anni fa non si sono rese conto che quei negoziati dovevano svolgersi allora. 

L’invasione dell’Afghanistan compiuta dagli Stati Uniti nell’ottobre 2001 è stata sempre e solo spiegata come reazione agli attentati alle due torri dell’11 settembre 2001. Il paese è stato preso di mira perché i taliban, che erano saliti al potere cinque anni prima, avevano permesso a Osama Bin Laden e al suo gruppo di estremisti islamisti di creare una base in Afghanistan, e si è dato per scontato che gli stessi taliban fossero coinvolti nei terribili attentati di New York e Washington. 

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DOPO L’ACCORDO CON I TALEBANI Afghanistan, Selay Gheffar: “I diritti delle donne non interessano a nessuno”.

di Marta Serafini – 27orailcorriere – 4 febbraio 2019

selay gheffar«L’accordo con i talebani una cattiva notizia per le donne afghane? Certamente ma il problema è molto più complicato di come appare». Classe 1983, Selay Gheffar, portavoce e attivista del partito della Solidarietà (Hambastagi), è una delle donne che più ha seguito tra le nuove generazioni afghane ed è sempre stata critica nei confronti della presenza militare statunitense e della Nato nel suo Paese. «Negli ultimi 17 anni , le donne sono state usate come uno strumento di propaganda per ingannare il popolo. E ora per noi le cose non possono che peggiorare», spiega alla 27esima ora.

In che senso? In questi anni non sono stati fatti dei progressi per i diritti femminili?

«Sicuramente. Ma nonostante anni di lotta, molte donne restano economicamente dipendenti dalle loro famiglie e poche trovano la forza di denunciare. Questo perché il sistema politico e giudiziario è profondamente corrotto.Come in tutte le società dilaniate dalla guerra, le donne soffrono in modo sproporzionato.

L’Afghanistan è ancora considerato il peggior posto al mondo per essere una donna. Nonostante il governo afghano e gli sforzi internazionali dei donatori dal 2001 a ragazze istruite, circa due terzi delle ragazze afgane non frequentano la scuola. L’ottantasette percento delle donne afghane sono analfabete, mentre il 70-80 percento affronta il matrimonio, molte prima dell’età di 16 anni. Un rapporto di settembre ha definito un programma da 280 milioni – il più grande budget unico che il governo degli Stati Uniti abbia mai fatto promuovere i diritti delle donne a livello globale – un flop e uno spreco di denaro dei contribuenti»

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I Am the Revolution – Perché dovremmo guardare questo film?

I am the revolutionMi dicono: “oh, tu sei solo una femminista”.
Si, sono “solo” una femminista nella parte del mondo dove tutte le donne sono schiave.
– Yanar Mohammed

“I Am The Revolution” racconta una rivoluzione necessaria e lontana, ancora oggi e ovunque. Racconta di donne leader e donne comandanti che combattono una stessa guerra in modi e in mondi diversi. In Afghanistan, Siria ed Iraq. Ma che hanno capito che la rivoluzione non si fa. Si è.

Ciascuna (e ciascuno) a modo suo.

#iamtherevolution

In mezzo alla guerra e al fondamentalismo, in Afghanistan, Siria ed Iraq, sono cresciute donne leader che comandano eserciti, organizzano la liberazione di altre donne dalla schiavitù, guidano forze politiche laiche e progressiste, sfidando i talebani villaggio per villaggio.

Queste donne praticano la democrazia più avanzata che possiamo immaginare nei contesti meno favorevoli possibili. Queste donne testimoniano la rivoluzione necessaria ovunque.

Trent’anni di guerra in Afghanistan e Iraq, cinque in Siria: una parte fondante della storia dell’umanità rischia di scomparire. Violenze, segregazione, fondamentalismo e negazione di qualsiasi diritto altrui, condannano alla scomparsa minoranze etniche, colpiscono senza pietà donne e bambini, prime vittime del furto di futuro.

Non ci sono parole per il dolore sparso come un veleno tra le popolazioni. In uno scenario che sembra immutato e immutabile, esistono vite ed esperienze che resistono per accendere una scintilla. Per cambiare la Storia.

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Donne da tutto il mondo per Leyla Guven, 87 giorni senza mangiare

Chiara Cruciati – 2 febbraio 2019 – ilmanifesto

leyla guvenLeyla Guven non mangia da 87 giorni, si nutre solo di sale e vitamine. Il rilascio, ordinato dal tribunale meno di una settimana fa, non ha messo fine alla protesta della parlamentare curda dell’Hdp e co-leader del Democratic Society Congress (Dtp).

Dalla sua casa di Baglar, a Diyarbakir, Guven chiede la stessa cosa: la fine dell’isolamento a cui è sottoposto il leader del Pkk, Abdullah Ocalan, rinchiuso dal 1999 nell’isola-prigione di Imrali.

Arrestata nel gennaio 2018 per aver criticato l’operazione militare turca contro il cantone curdo-siriano di Afrin, è stata rilasciata in attesa del processo il 25 gennaio scorso. I medici avvertono del pericolo che corre: ha perso peso e massa muscolare, soffre quotidianamente di nausee e febbre, i suoi organi interni rischiano il collasso.

Accanto ha la figlia Sabiha Temizkan e un team medico volontario che la tiene sotto osservazione. Indossa una mascherina contro le infezioni ma rifiuta qualsiasi tipo di trattamento. Una forma estrema di protesta, lo sciopero della fame, che ha segnato le lotte di tanti popoli, da quello irlandese a quello palestinese: il corpo diviene estremo strumento di dissenso. «Tutti vedono che l’isolamento è disumano – ha detto Guven dopo il rilascio – Cosa vogliamo? Democrazia, diritti umani e giustizia».

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