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Autore: Anna Santarello

RAPPORTO: I TALEBANI MANTENGONO LA LORO BASE IN AFGHANISTAN FRA LA CRESCENTE VIOLENZA.

Washingtonpost.com – Pamela Constable – 1 novembre 2018

JK6RVAW5DMI6RM7QMJQHFCPP5Y 300x225KABUL – Un nuovo rapporto di un cane da guardia del governo degli Stati Uniti dipinge un ritratto scoraggiante dell’Afghanistan negli ultimi mesi, con dettagli sui continui guadagni dei talebani, perdite civili registrate da attacchi aerei filogovernativi e attacchi dei ribelli, una prestazione deludente da parte, una deludente prestazione delle agenzie anti corruzione finanziate dal governo americano e un elevato aumento della produzione di droga e dipendenza.

In una stagione politica tesa, quando le speranze per il cambiamento hanno ispirato milioni di afghani a votare per un nuovo parlamento e le speranze di pace hanno stimolato nuovi sforzi nel dialogo con i ribelli talebani, il rapporto pubblicato giovedì dall’ispettore generale speciale per la ricostruzione afghana degli Stati Uniti (SIGAR) getta uno sguardo preoccupante su battute d’arresto persistenti nella lotta contro i talebani e fallimenti cumulativi nelle guerre contro corruzione e droga.

Il rapporto ha sottolineato che il controllo e l’influenza dei talebani hanno continuato a espandersi a livello nazionale negli ultimi mesi, mentre il controllo o l’influenza del governo afghano sul territorio nazionale ha “raggiunto il livello più basso” dalla fine del 2015, scendendo leggermente al 55% in 407 quartieri.

Ha affermato che le forze governative “hanno fatto progressi minimi o nulli nella pressione sui talebani” negli ultimi tre mesi e “non sono riusciti a ottenere un maggiore controllo o influenza su distretti, popolazione e territorio”.

Il rapporto afferma che la coltivazione del papavero da oppio afghano ha raggiunto un “massimo senza precedenti” di circa 820.000 acri e che l’oppio rappresenta dal 19 al 32 per cento del prodotto interno lordo del paese e fornisce mezzo milione di posti di lavoro, che rappresentano “una spina dorsale” dell’economia afghana. Ha inoltre rilevato Ha anche notato che la dipendenza dagli oppioidi tra gli afghani è salito alle stelle, raggiungendo diversi milioni di persone. Nel complesso, ha affermato, il traffico di droga è diventato “una minaccia esistenziale per lo stato afghano” alimentando corruzione e criminalità e beneficiando economicamente dell’insurrezione.

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PRESIDIO CONTRO I BOMBARDAMENTI IN KURDISTAN

20 dicembre, ore 18,30

Palazzo Delle Stelline, Corso Magenta 63, Milano

presidio foto 768x576L’undici dicembre a Strasburgo si compie l’ennesima strage per mano di un fondamentalista islamico autoctono e muoiono diverse persone, al momento sono cinque.

L’Europa si sveglia spaventata, nel terrore, le principali testate giornalistiche finalmente riconoscono il ruolo principale del popolo curdo nella lotta al terrorismo.

Il 14 dicembre lo stato turco per ordine del dittatore Erdogan ha bombardato il campo profughi di Mexmûr nel kurdistan iracheno, quattro donne sono rimaste uccise.

Dal 1998 il campo profughi è sotto il controllo dell ONU, la maggior parte dei profughi che ci vivono si sono rifiutati di lavorare e collaborare con lo stato turco e li si sono ricreati una vita, adottando le regole del confederalismo democratico.
Contemporaneamente è stato attaccato anche il monte Shengal, a maggioranza yazida, proprio in concomitanza con i preparativi della festa di Ezi.

Questi due attacchi non sono casuali, ma sono inseriti all’interno dello spietato disegno di erdogan, che mira alla distruzione dell’unica reale forza che si sta ribellando alla sua tirannia e combatte quotidianamente con le armi e con pratiche democratiche il fondamentalismo islamico .

In collaborazione con la Comunità Curda Milanese e Milanoinmovimento accogliamo l’appello lanciato dal Consiglio Esecutivo dell’Unione delle Comunità del Kurdistan (KCK) e lanciamo un

presidio GIOVEDI 20 DICEMBRE ALLE 1830 IN CORSO MAGENTA, ALL’ALTEZZA DEL PALAZZO DELLE STELLINE, SEDE DEL PARLAMENTO EUROPEO A MILANO,

perché questo silenzio è assordante e noi vogliamo dimostrare vicinanza e solidarietà ai partigiani del nostro secolo, ai fratelli e sorelle da tutto il mondo che stanno conducendo la reale battaglia per le libertà di tutti e tutte.

APPELLO ALLA SOLIDARIETÀ CON LEYLA GUVEN IN SCIOPERO DELLA FAME

retejin, 14 dicembre 2018

leyla guvenIl 7 novembre 2018, nella prigione di Amed (Diyarbakir) in cui era detenuta da gennaio, la deputata curda Leyla Guven è scesa in sciopero della fame. Ella richiede la fine dell’isolamento di Abdullah Ocalan: “Abbiamo bisogno di Ocalan più che mai. Il messaggio che egli può trasmettere è molto importante. Ènecessario che egli incontri i suoi avvocati e la sua famiglia! Io rivendico la fine del suo isolamento!”.

Ocalan è leader del popolo curdo, il fondatore del PKK e del movimento di liberazione curdo, è colui il quale ha portato avanti i colloqui di pace con la Turchia. Egli è colui che ha dato forza e spazio al movimento delle donne curde, e che già dieci anni fa dichiarava che il 21° secolo sarebbe stato il secolo delle rivoluzioni delle donne. Egli è l’ideatore del confederalismo democratico, paradigma alternativo alla modernità capitalistica, basato su democrazia radicale, ecologia e liberazione delle donne; paradigma che potrebbe portare molte risposte anche ai problemi della nostra attuale società.

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VENTI ANNI DI LOTTE E RESISTENZA

IDD, In difesa di… 10 dicembre 2018

idd fotoEduin Mauricio viene dalla Colombia, dal Cauca. È un leader indigeno, da anni impegnato nella difesa dei diritti collettivi del popolo Nasa, che lotta contro l’impunità e denuncia le violenze perpetrate dalle forze di sicurezza e dai gruppi paramilitari. Lo scorso mese – in un incontro organizzato a Verona dai referenti locali della rete In Difesa Di – abbiamo ascoltato la preziosa testimonianza di Eduin, che vive in uno dei Paesi con il più alto tasso di violenza contro chi difende i diritti umani. In Colombia infatti la pace tanto annunciata non è mai arrivata, e si registrano sempre più omicidi di difensori dei diritti umani e leader indigeni.

Arséne viene dalla Repubblica Democratica del Congo, è un avvocato e difensore dei diritti umani. Per alcuni mesi, ha trovato rifugio temporaneo in Olanda grazie al programma Shelter Cities. Nahomi viene dall’Honduras, la terra di Berta Caceres, Paese che registra un drammatico livello di repressione e omicidi di difensori dei diritti umani. Per alcuni mesi, Nahomi è stata accolta nei Paesi Baschi, attraverso il programma di temporary relocation di CEAR-Euskadi. A novembre Arsène e Nahomi sono stati ospiti del nodo trentino della rete In Difesa Di, che ha organizzato una settimana di iniziative e corsi di formazione su come accogliere ed accompagnare difensori e difensore che per un periodo di tempo devono lasciare il loro Paese.

Trento è stata la prima città italiana ad approvare una mozione per sostenere i difensori e le difensore dei diritti umani e a sviluppare un programma di “shelter cities” (città rifugio), seguita poi da Asiago, Rubano e Noventa Padovana. Oggi 10 dicembre anche il Consiglio Comunale di Padova discuterà una mozione sui difensori, grazie al lavoro del nodo locale della rete In difesa Di. Stiamo lavorando e lavoreremo affinché altre città seguano l’esempio, a partire da Milano dove già opera un nodo della rete, a Bologna dove a breve se ne costituirà uno grazie alla collaborazione con Human Rights Nights, a Palermo, e a Firenze.

Monica e Fernanda vengono da Rio de Janeiro. Monica è un’attivista LGBT e compagna di Marielle Franco, difensora dei diritti umani e consigliera comunale che si batteva per i diritti delle comunità più emarginate, dei discendenti afroamericani, la comunità LGBT, gli abitanti delle favelas, le vittime della violenza della polizia. Marielle è stata assassinata a marzo, in un agguato mentre viaggiava in macchina. Con lei c’era la sua assistente e giornalista Fernanda, sopravvissuta all’attacco, che a giugno abbiamo ospitato a Roma in occasione di un seminario organizzato dalla rete al Senato. L’8 dicembre Monica e Fernanda sono state ospiti della fiera Più Libri più Liberi a Roma, in un evento co-organizzato con la rete In Difesa Di. Nella precedente edizione, avevamo ospitato il fratello di Santiago Maldonado, l’attivista che si batteva per i diritti del popolo Mapuche in Argentina e assassinato durante una protesta.

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LA POLIZIA TURCA ARRESTA DONNE IN SCIOPERO DELLA FAME A BATMAN E DIYARBAKIR

Retejin.org 11 dicembre 2018

sciopero-della-fame-Kurdistan-300x152.jpgLa polizia turca assalta e arresta le donne in sciopero della fame per Abdullah Ocalan in Kurdistan del Nord.

Nella sede centrale del Partito Democratico dei Popoli (HDP) ad Amed (Diyarbakir) il movimento delle donne TJA ha organizzato uno sciopero della fame di solidarietà per sostenere la deputata HDP Leyla Güven che da 33 giorni è in sciopero della fame contro l’isolamento di Abdullah Öcalan. Solo poche ore dopo l’inizio dell’azione, unità speciali della polizia turca hanno attaccato l’edificio e hanno arrestato 25 donne. La centrale del partito è circondata da idranti e veicoli corazzati.

Durante la retata della polizia, le attiviste hanno protestato con forza gridando: «La repressione non ci intimidisce!» L’intero edificio è stato perquisito dalla polizia, sono stati sequestrati diversi striscioni. I fermi sono stati eseguiti in modo violento, diverse donne sono state trascinare sul pavimento. Alle arrestate non è stato consentito nemmeno di mettersi le scarpe. Tra loro  c’è anche la Madre per la Pace Makbule.

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PREMIO NOBEL DELLA PACE A RIACE: IL SIMBOLO DELL’ACCOGLIENZA E DELL’INCLUSIONE CHE VOGLIAMO

OsservatorioRiace 243x300L’esperienza del Comune di Riace è stata criminalizzata in linea con una narrativa dominante che mette sotto accusa la solidarietà e restringe progressivamente gli spazi di agibilità civica. Al contrario, Riace è l’espressione dell’umanità solidale che è necessaria per far fronte alle grandi sfide ambientali, geopolitiche e umanitarie che stiamo affrontando.

Il piccolo Comune calabrese ha dato vita ad un modello d’accoglienza capace di promuovere da un lato l’inclusione, dall’altro  lo sviluppo locale e la rivitalizzazione sociale ed economica di un territorio che era ormai quasi in stato di abbandono come molte altre località, specialmente del sud.

Il Cisda fa parte della rete “In Difesa Di – per i diritti umani e chi li difende” che è stata fondata per aprire in Italia uno spazio di riflessione sul tema dei difensori/e dei diritti umani sempre più a rischio e per chiedere al Governo, al Parlamento e agli enti locali di impegnarsi per la loro tutela e protezione. In linea con il nostro percorso, abbiamo scelto con entusiasmo di far parte del Comitato Promotore della Campagna per promuovere la candidatura di Riace al Premio Nobel per la Pace.

Leggi il comunicato. Aderire alla Campagna è semplice, basta una firma.

COMUNICATO STAMPA: NOBEL PER LA PACE A RIACE

Siamo una rete di organizzazioni della società civile, NGO e Comuni che vogliono promuovere una Campagna a favore dell’assegnazione del premio Nobel per la pace 2019 a Riace, il piccolo Comune calabrese che invece di rinchiudere i rifugiati in campi profughi li ha integrati nella sua vita di tutti i giorni.

Riace è conosciuta in tutta Europa per il suo modello innovativo di accoglienza e di inclusione dei rifugiati che ha ridato vita ad un territorio quasi spopolato a causa dell’emigrazione e della endemica mancanza di lavoro. Le case abbandonate sono state restaurate utilizzando fondi regionali, sono stati aperti numerosi laboratori artigianali e sono state avviate molte altre attivitàà che hanno creato lavoro sia per i rifugiati che per i residenti.

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LA CRISI DEL CALCIO FEMMINILE IN AFGHANISTAN, TRA ABUSI SESSUALI E DISCRIMINAZIONE

Fariba Pajooh e Lindsey Johnstone – Euronews 11 dicembre 2018

unnamedCon il calcio femminile afghano sotto i riflettori per i motivi sbagliati, tra accuse di abusi sessuali e fisici, l’influenza liberatoria che il gioco ha avuto nel paese è in pericolo.

Il procuratore generale ha sospeso sei membri della Afghanistan Football Federation (AFF) – tra cui il suo presidente, Keramuddin Karim – in seguito alle denunce di abusi sessuali e fisici fatte da alcune calciatrici della nazionale femminile.

Leggi anche Afghanistan: da sogno ad incubo, il “Piccolo Messi” costretto a fuggire

Giocatrici della nazionale del presente e del passato hanno raccontato a Euronews che in Afghanistan le atlete sono “umiliate” e non rispettate dalla federcalcio.

“Siamo state molestate mentre andavamo allo stadio”, ha detto una di loro.

Personaggi di alto livello associati alla squadra hanno detto a Euronews che gli abusi – secondo le loro testimonianze sistematici all’interno dell’AFF – hanno avuto luogo presso la sede della federazione e in un campo di allenamento.

Madina Azizi, ex membro del dipartimento di calcio femminile della federazione, costretta a lasciare la squadra l’anno scorso, ha parlato della sua frustrazione per un sistema che, secondo lei, non è riuscito a proteggere le sue giocatrici.

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RAPPORTO: METÀ DELLA POPOLAZIONE AFGHANA OGGI VIVE IN UN DISTRETTO FUORI DAL CONTROLLO DEL GOVERNO.

Dailycaller.com – Will Racke – 30 ottobre 2018

talibanafghanistan 300x129Circa metà degli Afghani vive in un distretto al di fuori del totale controllo del governo di Kabul, secondo l’analisi dei dati sulla popolazione afghana, un altro parametro che rileva l’incapacità delle Forze di Sicurezza afghane sostenute dagli Stati Uniti nel respingere la ribellione dei Talebani.

La stima arriva da un rapporto pubblicato lunedì dal Long War Journal, un sito internet di notizie e analisi associato alla Foundation for the Defense of Democracies – Fondazione per la Difesa delle Democrazie. Usando i dati sulla popolazione afghana dell’esercito statunitense, gli autori Bill Roggio e Alexandra Gutowski hanno stabilito che il 41% degli Afghani risiede in un distretto conteso dai Talebani, mentre il 9% vive in un distretto controllato dai Talebani.

L’analisi del Long War Journal descrive i distretti delle province afghane in tre modi: controllati dal governo, contesi e controllati dai Talebani. Secondo questo schema di classificazione, 13,4 milioni di Afghani vivono in zone contese, dove hanno vari livelli di contatto con i ribelli Talebani. Altri tre milioni vivono in zone, dove i Talebani esercitano il controllo sul governo locale.

Il Pentagono usa più categorie per descrivere lo status dei distretti afghani, il che conduce a un quadro leggermente diverso rispetto al numero di afghani minacciati dalla ribellione talebana. In particolare, l’esercito distingue tra distretti “contesi” e aree sotto “l’influenza” del governo. Questa distinzione permette di affermare che solo il 24% della popolazione vive in un distretto conteso, ben al di sotto la stima del Long War Journal.

Da entrambe le definizioni, gli ultimi dati sulla popolazione indicano i mancati progressi da parte della coalizione guidata dagli Stati Uniti nel raggiungere l’obiettivo di portare la maggior parte della popolazione afghana sotto il controllo del governo. L’allora comandante dell’Operation Resolute Support – Operazione Sostegno Risoluto, il Generale John Nicholson nel novembre 2017 affermò che “nei prossimi due anni le Forze di Sicurezza afghane estenderanno il controllo sull’80% della popolazione”.

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250.000 PERSONE FORZATE A FUGGIRE DALL’AFGHANISTAN PER LA TERRIBILE SICCITÀ.

Rawanews Associated Press 7 dicembre 2018

drought afghanistan badghis dead cattl 300x222 copyHERAT: Il coltivatore di grano e oppio Murad Khan Ishaqzai, 80 anni, non ha mai visto una siccità cosi grave ed estesa in tutta la zona occidentale dell’Afghanistan dove più di 250.000 persone sono state costrette ad abbandonare le loro abitazioni.

Dopo che tutto il suo raccolto si era seccato all’inizio di quest’anno, Ishaqzai ha affittato un camion ed ha trasportato la sua famiglia a centinaia di chilometri di distanza, attraverso una zona infestata dai talebani, nella provincia di Herat.

Là, lui e la sua famiglia composta di sette persone, hanno trovato rifugio in uno squallido campo profughi  nella sassosa periferia della capitale provinciale dove le agenzie di aiuti umanitari stanno combattendo per venire incontro alla richiesta di cibo, rifugio e sanità.

“Le fattorie sono state distrutte, le nostre greggi sono morte e abbiamo lasciato i nostri asini nel deserto, perché non potevamo più nutrirli,” ha detto Ishaqzai, con la faccia segnata dalle intemperie e dal lavoro all’aperto.

Era solo la seconda volta nella sua vita che la siccità lo aveva costretto a lasciare la sua terra.

Ma con l’Afghanistan considerato uno dei paesi più vulnerabili dai cambiamenti climatici, questa può non essere l’ultima volta.

“È la peggiore siccità che abbia mai visto” ha detto Ishaqzi in agosto.

“Avevamo un buon raccolto di oppio e grano e lo abbiamo perso tutto. La terra si è prosciugata e non abbiamo avuto più niente da mangiare.”

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DALL’AFGHANISTAN ALL’EUROPA, STESSA VIOLAZIONE

Claudia Lodesani* Il manifesto.it – 11 dicembre 2018

hr01La Dichiarazione dei Diritti umani compie 70 anni ma resta ancora di grande attualità come punto di riferimento basilare per la nostra società. Purtroppo negli Stati in cui interveniamo assistiamo a continue violazioni dei suoi principi, cosa che accade anche in Europa.

Preoccupa soprattutto che all’interno dei nostri confini nessuno si indigni per gli abusi inflitti alle categorie più fragili: se si toccano i diritti di una minoranza in realtà si toccano quelli di tutti.

Nel 2015 un nostro ospedale è stato bombardato a Kunduz, in Afghanistan, violando il diritto alla salute e dopo questo episodio anche in Sud Sudan, Yemen, Siria, ospedali e scuole sono diventati bersagli fissi. Fino ad arrivare alle porte dell’Europa, a Lesbo o in Libia, dove migranti e rifugiati vedono negato il loro diritto alla salute e all’accoglienza.

Agli Stati europei chiediamo una politica ad ampio spettro che parta da solidarietà e accoglienza come previsto dalla Dichiarazione agli articoli 12, 13 e 14 in cui si assicura il diritto alla libertà di movimento e al diritto d’asilo.

*Presidente di Medici senza frontiere Italia