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Autore: Anna Santarello

CONTINUA L’OCCUPAZIONE IN AFGHANISTAN: CONTINUANO LA GUERRA, IL FONDAMENTALISMO E I CRIMINI

Tratto da Solidarity Party of Afghanistan – 7 Ottobre 2018
Traduzione di: Cristina Cangemi, Giulia Giunta, Ester Peruzzi, Sara Somaini

IMG 4653Questo è il diciassettesimo anno di prigionia del popolo afghano sotto l’occupazione degli Stati Uniti, della NATO e del regime dei loro tirapiedi locali. Ora è chiaro a tutti, ad eccezione di quelli i cui occhi e coscienza sono stati accecati dal denaro e dal potere, che l’invasione militare degli Stati Uniti ha spinto la nostra gente ancora più in profondità nel pantano della guerra, dei massacri, della corruzione e delle disgrazie e ha trasformato il nostro paese in un pericoloso campo di battaglia di rivalità imperialistiche. Gli occupanti statunitensi e i loro alleati hanno attaccato la nostra terra tormentata usando gli slogan allettanti della “democrazia”, della “guerra contro il terrorismo”, dei “diritti delle donne” e della “ricostruzione”, ma è stato chiaro fin dall’inizio che con i loro piani oscuri, ancora una volta spinti da interessi strategici ed economici, stavano vittimizzando il nostro paese dilaniato dalla guerra.

I diciassette anni di presenza militare degli Stati Uniti e della NATO sono i più bui della storia del nostro paese, segnata dal massacro di centinaia di migliaia di afghani, dal potenziamento di pericolosi gruppi terroristici, dalla trasformazione dell’Afghanistan nel paese più corrotto al mondo con la più alta produzione e traffico di oppio ed eroina, dal saccheggio dei nostri minerali incontaminati, dall’aumento del divario tra ricchi e poveri, da oppressioni brutali nei confronti delle donne e dall’abuso della loro miseria, dall’esodo di massa dei giovani senza speranza e senza lavoro e da innumerevoli altre disgrazie.

Recentemente, Hamid Karzai, il terzo Shah Shuja* del nostro paese, Hanif Atmar e i loro compagni traditori come Mohaqiq, Khalili, Qanouni, Ahmad Wali Massoud, Said Mansor Nadiri, Zarar Ahmad Moqbil, Spanta, Abdul Hadi Arghandiwal, Said Hamid Gelani, Wahidullah Sabawoon, Anwar-ul-Haq Ahadi, Sadiq Mudabir, Din Mohamad Jurat, Qutbuddin Helal, Abdullah Qarleq, Din Mohammad e altri che sono stati rinnegati dai loro padroni si sono riuniti nella casa di Sibghatullah Mujaddedi e hanno chiesto la revisione dell’Accordo bilaterale di sicurezza con gli Stati Uniti.

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AFGHANISTAN, REQUIEM EROICO PER I REPORTER

Tratto da Incerto Mondo – Enrico Campofreda – 26 ottobre 2018

Afghanistan 768x391Arsan Fahim – stesso cognome d’un potente e ormai defunto signore della guerra afghano, ma nessun legame familiare – è un pianista. Sta ultimando gli studi presso l’Istituto Nazionale di Musica in un Paese dove neppure le note soavi riescono a coprire le urla di dolore provenienti dalla quotidianità.

Un’esistenza tetra perché la morte s’aggira macabra in ogni angolo, introdotta dall’occupazione militare della Nato e infiammata dal fondamentalismo politico-religioso di jihadisti e di criminali come appunto i warlords che da decenni s’arricchiscono sulla cronica instabilità della nazione.

Arsan è uno dei tanti ragazzi afghani che cercano in ogni modo una normalità esistenziale, attraverso lo studio, le arti e quelle attività della mente perseguitate dai talebani e spesso dagli stessi governi “democratici” sostenuti dall’Occidente che pongono mille problemi e ostacoli all’associazionismo culturale, riempendolo di sospetti.

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UN MILIONE DI CARICHE ESPLOSIVE: CAMPO MINATO KURDISTAN

Tratto da UIKI Onlus – 22 ottobre 2018

kurdistn 599x275 300x138Secondo quanto riferito dall’Iniziativa per una Turchia senza Mine (Mayınsız bir Türkiye Girişimi) nelle regioni curde si celano ancora circa un milione di mine – di cui ben 100.000 nelle aree rurali. Le mine terrestri fanno parte delle armi più crudeli che l’uomo abbia mai inventato. La Turchia fa parte dei dieci Paesi più colpiti al mondo. Secondo quanto riferito dall’Iniziativa per una Turchia senza Mine (Mayınsız bir Türkiye Girişimi) nelle regioni curde si nascondono ancora circa un milione di mine, di cui ben 100.000 nelle aree rurali.

La Turchia ha una superficie di circa 783.652 km². La superficie contaminata da mine secondo stime dell’organizzazione umanitaria tedesca DEMIRA (Deutsche Minenräumer e.V.) è di almeno 214,74 km². Le mine sono state piazzate dalle autorità stesse per proteggere i confini nazionali.

Mentre le prime mine sono state collocate tra il 1956 e il 1959 sui confini con Siria, Armenia, Iran e Iraq per fare da deterrente contro gli attraversamenti illegali del confine da parte dei contrabbandieri, tra il 1984 e il 1999 lungo il confine con la Siria si sono aggiunti sempre più campi minati per impedire alla guerriglia del PKK di raggiungere i suoi campi di addestramento sul lato siriano.

Turchia senza mine nel 2022?
Il confine della Turchia con la Siria è lungo circa 900 chilometri. Solo lì negli anni ’50 sono state piazzate circa 650.000 mine terrestri. La superficie contaminata nella zona di confine turco-siriana si estende su una superficie di circa 180 km2 (…). Entro il 2014 la Turchia avrebbe dovuto sgomberare la zona di confine dalle sue cariche mortali. Questo è previsto dalla Convenzione di Ottawa sul divieto di mine antiuomo, al rispetto della quale la Turchia si è impegnata con la sottoscrizione nel 2003. Questo obiettivo tuttavia non è stato raggiunto da Ankara, motivo per cui la Turchia ha chiesto una proroga dei termini che le è stata accordata. Secondo indicazioni governative tutte le zone minate devono essere completamente bonificate entro il 2022.

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L’ATTACCO ALLA DEMOCRAZIA LOCALE CONTINUA: 259 MUKHTAR CURDI SOSPESI DALL’INCARICO!

Tratto da UIKI Onlus – 24 ottobre 2018

hdp 599x275L’attacco continuo del governo turco alla democrazia locale si è spostato in un altro campo in vista delle elezioni programmate per la fine del marzo 2019. Questa volta l’obiettivo sono
i “mukhtar” nelle province curde (capi dei villaggio e dei quartieri eletti). Dopo che il presidente Erdogan li aveva indicati come il prossimo obiettivo affermando ” Ci sono Mukhtars che cedono alle minacce del PKK, noi non li possiamo dimenticare”, il Ministro degli Interni “ha lanciato un indagine” sui mukthar nelle province curde.

Il 15 ottobre 2018, il Ministero degli Interni ha sospeso dall’incarico 103 mukhtar dei villagggi e 156 di quartiere con l’accusa di “essere membro” o di “avere legami con organizzazione terroristica”. Come espresso dalla dichiarazione del Ministro, questa decisione è stata adottata senza definire nessuna procedura amministrativa o giudiziaria nei confronti dei mukhtar.

Il Ministro ha fatto riferimento alle leggi n° 442 e N° 4541 che regolano l’amministrazione dei villaggi e dei distretti per giustificare la sospensione. Tuttavia queste leggi non conferiscono nessuna autorità al Ministro degli Interni. Secondo l’articolo 41 della legge N°4541, un mukhtar può essere sospeso o rimosso da un governatore del distretto e del governo, se lei/lui non eseguono gli interessi del del villagi o altri incarichi assegnati dalla legge. Queste sospensioni sono completamente illegali.

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KAMIKAZE

Tratto dal blog di Nico Piro – 22 ottobre 2018

img 0109 768x576KABUL – In gergo tattico e militare lo chiamano “BBIED” che sta per Body Born IED ovvero “dispositivo esplosivo improvvisato portato da un corpo”. Una definizione più asettica – come sempre capita al linguaggio militare che vuole sterilizzare la paura – rispetto a quella del linguaggio comune: attentatore suicida o “kamikaze” (termine che preferiamo noi italiani).

Quando stava calando il tramonto su Kabul, la giornata elettorale sarebbe dovuta essere finita se non ci fossero stati caos e ritardi, un “kamikaze” si è lanciato su una fila di elettori che stava procedendo ai controlli in una scuola del PD17, area a nord di Kabul.

Ci sono stato il giorno dopo perché quando mi è arrivata la notizia, in realtà pochi minuti dopo, sarebbe stato troppo rischioso arrivare sul posto.
Vi tralascio i dettagli troppo cruenti, ma ci tengo a raccontarvi cosa accade quando esplode una bomba. Quando raccontiamo questi fatti, quando li leggiamo sui giornali o li ascoltiamo alla tv, la notizia ci colpisce ma non riusciamo davvero a capire cosa possa significare un attacco del genere.

La foto che vedete è quella del cancello della scuola, un cancello di ferro pesante alla maniera afghana, pronto a resistere alle intemperie. Tutti quei buchi che sembrano pustole solo effetti dell’esplosione. Basta avere un po’ di esperienza per capire che quei buchi non sono stati fatti da detriti sollevati dall’onda d’urto. Il kamikaze aveva un giubbotto imbottito non solo di esplosivo ma anche di chiodi, bulloni, viti e altre parti metalliche. Ha ucciso 15 persone e martoriato un numero imprecisato di feriti.

L’obiettivo è quello di fare più danni possibile. Ora guardate di nuovo quel cancello e immaginatevi il corpo di un essere umano al posto di quelle barre di ferro, solo allora capirete cosa accade quando si fa esplodere un kamikaze e quando dura sia la vita di chi ogni giorno rischia di trovarsene uno sulla propria strada mentre fa la fila in ufficio pubblico o, appunto, aspetta di votare.

AFGHANISTAN, IL VOTO SOTTO LE BOMBE

Tratto dal blog di Enrico Campofreda – 21 ottobre 2018

e4b0e00a606547e4be8ed2e20cb8d0d1 18 768x432Le terze elezioni politiche afghane ritardate, anno dopo anno, dal 2015 arrivano a scadenza pur fra attentati, sangue e vittime. Ieri a Kabul sono morte una quindicina di persone in un attacco al seggio nella zona di Sar-e Kotal, che aggiunte ai cittadini colpiti a Kunar, Kunduz, Tabag portano a una cinquantina il bilancio di sangue nella sola giornata di sabato.

La Commissione elettorale ha prolungato le operazioni di voto in 400 seggi anche stamane, poiché la registrazione elettronica aveva prolungato l’iter di iscrizione nelle sezioni elettorali. Potevano accedere ai 5000 seggi aperti circa 9 milioni di elettori, le notizie fin qui giunte indicano in un terzo i votanti. 2000 seggi non sono stati attivati in quelle province che non offrivano garanzie di sicurezza perché il territorio è sotto totale controllo talebano e questi non consentivano alla gente del luogo l’afflusso ai seggi.
È accaduto a Ghazni e Kandahar dove giovedì il capo della polizia era finito sotto i colpi mortali dei talebani. La violenza ha anche eliminato alcuni candidati, dieci sono caduti nelle scorse settimane in agguati tesi da taliban o jihadisti dell’Isis, su un totale di 2.565 concorrenti alla sfida elettorale.

Costoro partecipano al rinnovo dei due rami del Parlamento: la Camera Alta (Mesherano Jirga) che prevede 102 eletti, e la Camera Bassa (Wolesi Jirga) con 250 seggi, di cui 68 riservati alle donne. In quest’Assemblea si ripresentava la deputata del Partito della Solidarietà Belquis Roshan, già eletta nel 2012 nella provincia di Farah e nota per le successive vistose contestazioni contro la presenza di Signori della guerra nelle Istituzioni.
Dalle prime notizie che ci giungono, il sostegno alla Roshan risulta anche stavolta amplissimo e, se non ci saranno ostacoli burocratici e soprattutto brogli, la determinatissima onorevole potrà continuare il lavoro politico intrapreso a favore delle donne e della cittadinanza del suo distretto. La questione dei voti truccati è un fantasma sempre presente nelle consultazioni afghane ed è stato il motivo del ripetuto rinvio; il riconoscimento elettronico dell’elettore, introdotto in questa tornata, ha solo parzialmente aggirato l’ostacolo del plurivoto e delle schede già contrassegnate. Probabilmente anche in quest’occasione si verificheranno lamentale e contestazioni al momento dello spoglio.

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COORDINAMENTO NAZIONALE CISDA 2018: COSA È EMERSO DAI LAVORI

CISDALogoIl CISDA, Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane, il 30 Settembre 2018 presso la Casa delle Associazioni e del Volontariato di Milano – ospitati nei locali del Servizio Civile Internazionale – ha organizzato una sessione di dibattito pubblico, nel corso del proprio incontro Nazionale, alla quale ha invitato a partecipare le Associazioni amiche e che negli anni hanno sostenuto e condiviso campagne di attivismo politico.

Hanno partecipato ai lavori, con relazioni introduttive, le delegate di due movimenti ai quali il CISDA fa riferimento: Samia Walid dell’associazione RAWA (Associazione rivoluzionaria delle donne dell’Afghanistan) e Nagebee (portavoce della Rete Jin).

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L’AFGHANISTAN VA ALLE ELEZIONI, STREMATO DALLA GUERRA INFINITA

Corriere della Sera – A. Nicastro – 19/10/18

AfghaElezioni 300x225Ricordate le dita sporche di inchiostro viola? Le code ai seggi elettorali? Le ombre dei burqa che davano il benvenuto alla nuova democrazia afghana? Domani il Paese del Grande Gioco torna a votare, ma nessuno sembra più credere al lieto fine dell’intervento occidentale. A 17 anni dalla fuga degli integralisti con la barba, ancora nel pieno della più lunga guerra americana di sempre, queste elezioni parlamentari appaiono un rito inutile.

I problemi del Paese sono altri e, semmai, più che dalla democrazia, la speranza per un futuro di pace passa da un compromesso con il giovane Iaqoub, anche lui prete-soldato, come il padre, quel mullah Omar, fondatore dei talebani morto anni fa. Tanti sono i problemi aperti. Eccone alcuni

Il cimitero degli imperi
Quattro anni fa la Nato ha lasciato a esercito e polizia afghani la responsabilità della sicurezza conservando per sé il potere aereo. Da allora i talebani hanno costantemente conquistato terreno. Nel 2013 uccidevano una decina di avversari al giorno. Nel 2016 ne eliminavano 40. Da allora: top secret. Pare che oggi cadano in battaglia 60-70 «governativi» ogni 24 ore.

Troppi per ammetterlo. Per questo è arrivato l’ordine di auto protezione. Invece di rischiare per difendere i civili, i soldati devono innanzitutto proteggere se stessi. L’urgenza del cambio di consegne è diventato evidente ieri a Kandahar, culla del movimento talebano.
Poliziotti ammutinati hanno sparato sui colleghi durante un summit in vista delle elezioni. Ucciso il potente capo provinciale della polizia, il corrotto Abdul Raziq, il governatore civile e altri ufficiali di primissimo piano.

Scampato per un soffio il generale Scott Miller a capo della missione Usa. Il risultato della ritirata governativa è però un 70% di Afghanistan dove lo Stato non esiste. Se non è una sconfitta, ci assomiglia.

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AFGHANISTAN, A DUE GIORNI DAL VOTO I TALEBANI ELIMINANO IL LORO TORTURATORE

Blog – E. Campofreda – 19/10/18.

raziq e truppe 300x169Perdere il responsabile della sicurezza del sud dell’Afghanistan è un segno di grande debolezza per il governo che va alle elezioni fra due giorni. I talebani, ortodossi o dissidenti, hanno compiuto quest’azione per esaltare una crisi palese già evidente da anni. L’ammette anche il segretario alla Difesa statunitense Mattis che intervenendo sull’omicidio eccellente chiosa che la morte del generale Raziq “è una tragica perdita”.

Quest’uccisione fa calare la maschera all’essenza stessa del Resolut support, la presenza militare di sostegno ai fantocci politici di Kabul voluta da Washington e praticata dagli alleati Nati, fra cui spiccano i governi romani d’ogni colore (continuiamo ad avere in loco 893 costosi “consiglieri” alla difesa). Ma tutti questi addestratori, preparatori, tecnici militari e ufficiali non riescono a difendere gli stessi capi delle strutture della forza del Paese occupato, visto il modo in cui Raziq è stato ucciso.

In un compound “segreto” a Kandahar dove stava incontrando nientemeno che il comandante dell’Intelligence locale, una guardia del corpo ha sparato a entrambi freddandoli. Non si è trattato d’una momentanea follìa dell’uomo di scorta, ma di una infiltrazione giunta a buon fine da parte di quei talebani, tendenzialmente ortodossi, che controllano gran parte della provincia.
Oltre a stabilire le gerarchie di chi comanda in quella e altre zone i taliban, che non hanno rinunciato al tavolo di trattative lanciato nei mesi scorsi dagli Stati Uniti, sottolineano la facilità con cui possono ricorrere ad agguati distruttivi per poi farli pesare politicamente. Fa parte del messaggio anche il mancato coinvolgimento in quest’attentato del generale statunitense Miller, rimasto illeso al fianco dei due bersagli, pensiamo non certo per casualità, bensì per scelta così da poter ribadire al suo Paese una condizione essenziale per le trattative di pace: la fine dell’occupazione straniera.

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AFGHANISTAN: ESPLOSIONI IN PIÙ SEGGI A KABUL, “MORTI E FERITI”

Repubblica – 20/10/18

ElezioniAfghaUrne aperte in Afghanistan per le elezioni parlamentari, le prime dalla fine della missione di combattimento della Nato nel 2014.
Sono state segnalate “diverse esplosioni” con morti e feriti ai seggi a Kabul dove si sta votando per le elezioni legislative. Lo riferiscono fonti del governo e alcuni testimoni sul posto.

“Ci sono dei morti e dei feriti in diverse esplosioni”, ha dichiarato una fonte del ministero della Salute. Alcuni elettori sono stati visti scappare da una scuola nel nord della capitale dopo un’esplosione, ha detto un corrispondente. Altri testimoni hanno denunciato esplosioni in altri centri elettorali.

Sono circa 5.100 i seggi elettorali disseminati nel Paese, mentre secondo la Commissione elettorale gli elettori registrati sono 8,8 milioni. Il governo di Kabul ha annunciato che il voto nella provincia meridionale di Kandahar è stato rinviato di una settimana a causa dell’attacco di giovedì nel quale sono morti il capo della polizia e quello dell’intelligence.