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Autore: Anna Santarello

AFGHANISTAN, A DUE GIORNI DAL VOTO I TALEBANI ELIMINANO IL LORO TORTURATORE

Blog – E. Campofreda – 19/10/18.

raziq e truppe 300x169Perdere il responsabile della sicurezza del sud dell’Afghanistan è un segno di grande debolezza per il governo che va alle elezioni fra due giorni. I talebani, ortodossi o dissidenti, hanno compiuto quest’azione per esaltare una crisi palese già evidente da anni. L’ammette anche il segretario alla Difesa statunitense Mattis che intervenendo sull’omicidio eccellente chiosa che la morte del generale Raziq “è una tragica perdita”.

Quest’uccisione fa calare la maschera all’essenza stessa del Resolut support, la presenza militare di sostegno ai fantocci politici di Kabul voluta da Washington e praticata dagli alleati Nati, fra cui spiccano i governi romani d’ogni colore (continuiamo ad avere in loco 893 costosi “consiglieri” alla difesa). Ma tutti questi addestratori, preparatori, tecnici militari e ufficiali non riescono a difendere gli stessi capi delle strutture della forza del Paese occupato, visto il modo in cui Raziq è stato ucciso.

In un compound “segreto” a Kandahar dove stava incontrando nientemeno che il comandante dell’Intelligence locale, una guardia del corpo ha sparato a entrambi freddandoli. Non si è trattato d’una momentanea follìa dell’uomo di scorta, ma di una infiltrazione giunta a buon fine da parte di quei talebani, tendenzialmente ortodossi, che controllano gran parte della provincia.
Oltre a stabilire le gerarchie di chi comanda in quella e altre zone i taliban, che non hanno rinunciato al tavolo di trattative lanciato nei mesi scorsi dagli Stati Uniti, sottolineano la facilità con cui possono ricorrere ad agguati distruttivi per poi farli pesare politicamente. Fa parte del messaggio anche il mancato coinvolgimento in quest’attentato del generale statunitense Miller, rimasto illeso al fianco dei due bersagli, pensiamo non certo per casualità, bensì per scelta così da poter ribadire al suo Paese una condizione essenziale per le trattative di pace: la fine dell’occupazione straniera.

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DOPO 17 ANNI DI GUERRA CONTINUA NULLA È CAMBIATO IN AFGHANISTAN

Gli occhi della guerra – 17/10/2018

OcchiGuerra 300x196Il 7 ottobre 2001 il presidente degli Stati Uniti d’America George W. Bush parlava alla nazione annunciando l’inizio dell’operazione Eunduring Freedom in Afghanistan contro i talebani. Bush informava il pubblico americano che “azioni mirate” venivano portate avanti per schiacciare le capacità militari di Al Qaeda e dei talebani, con l’aiuto delle truppe britanniche, canadesi, australiane, tedesche e francesi.

“Questa azione militare fa parte della nostra campagna contro il terrorismo, un altro fronte in una guerra che è già stato affrontato attraverso la diplomazia, l’intelligence, il congelamento delle risorse finanziarie e gli arresti di noti terroristi da parte di forze dell’ordine in 38 Paesi. Data la natura e la portata dei nostri nemici, vinceremo questo conflitto accumulando successi e affrontando una serie di sfide con determinazione, volontà e risolutezza”.

In questi 17 anni, il mondo è cambiato. Altre guerre sono scoppiate in Medio Oriente e in Nord Africa, mentre Cina e Russia mettono in discussione il ruolo di superpotenza mondiale degli Stati Uniti.

Ciò che non è mutuato in questi 17 lunghi anni è proprio l’Afghanistan, Paese nel quale le truppe americane sono tuttora impegnate  – circa 14mila soldati – nonostante un bilancio drammatico: 2.300 militari americani e circa 3500 alleati afgani morti in battaglia. Altri 1.100 soldati alleati sono stati uccisi, quasi la metà provenienti dal Regno Unito.

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AL VIA IN QATAR I NEGOZIATI TRA USA E TALEBANI AFGHANI

Analisi Difesa – 16/10/2018

Zalmay Khalilzad 300x174 copyÈ cominciato in Qatar il 13 ottobre il nuovo giro di negoziati di pace diretto tra la guerriglia talebana dell’Emirato dell’Afghanistan e gli Stati Uniti. Una delegazione del movimento islamista ha incontrato l’inviato americano Zalmay Khalilzad (nelle foto) per la prima volta, vedendo così esaudita una richiesta fatta da lungo tempo.

Le parti, ha riferito il portavoce talebano Zabihullah Mujahid, hanno discusso i termini di una “fine pacifica dell’invasione in Afghanistan” e “concordato che seguiranno altri incontri”.

L’incontro segna, secondo gli analisti, una sostanziale vittoria per il campo talebano, poichè Washington aveva sempre rifiutato colloqui diretti, preferendo affidarli al governo di Kabul.

Una decisione che aveva infilato le prospettive di dialogo in un vicolo cieco, dal quale è uscito il capo della diplomazia americana, Mike Pompeo, sdoganando il movimento talebano e di fatto riconoscendolo come interlocutore ufficiale. Un passo che rischia però di indebolire ulteriormente il governo afghano del presidente Ashraf Ghani.
La stessa scelta talebana di diramare un comunicato sull’incontro, indicando di aver parlato con l’inviato Usa, dimostra l’importanza attribuita ai colloqui diretti con gli USA in termini di riconoscimento e legittimazione politica.

(con fonte AGI/AFP)

 

AFGHANISTAN OLTRE LE ELEZIONI

Blog  – E. Campofreda, 15/10/2018. 

afghani 300x199 copyHa viaggiato per una dozzina di giorni attraverso Afghanistan, Pakistan, Emirati Arabi, Arabia Saudita e Qatar Zalmay Khalizad, l’uomo che il presidente americano Trump ha nominato da una quarantina di giorni suo inviato speciale per l’Afghanistan. Ora, a Doha, ha avuto il primo incontro coi Talebani, che dall’estate scorsa hanno incontrato una delegazione statunitense.

Le due sponde discorrono attorno a possibili accordi di pace, quel piano che il presidente afghano Ghani fa suo da mesi rivendendolo nelle elezioni in scadenza del prossimo 20 ottobre. In alcuni distretti si sta già votando, in altri è impossibile farlo o comunque è pericoloso.

Venerdì a Takhar (120 km est da Kunduz) la zona circostante a un seggio è stata oggetto d’un attentato che ha ucciso 14 persone e ferito oltre trenta. È il quarto della serie, stragi compiute non dai talebani colloquianti, ma da coloro che dissentono dalla linea tenuta a Quetta, parlano di Califfato e duettano col Daesh firmandosi Isis afghano.

I turbanti ortodossi, nonostante i ripetuti inviti governativi a entrare nel governo e in Parlamento, boicottano la consultazione elettorale, però non attuano la linea aggressiva tenuta altrove. La linea del controllo del territorio che in tante occasioni li ha spinti ad attaccare l’esercito nazionale, fuori e dentro le caserme, tanto per mostrarne inefficienza e palesi limiti organizzativi ed esecutivi.

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ANKARA SI PREPARA ALLE ELEZIONI COMUNALI: ARRESTI DI MASSA DI OPPOSITORI. ERDOGAN MINACCIA LA DESTITUZIONE DI SINDACI

Nick Brauns JungeweltUikionlus – 11 ottobre 2018

Akp Turkey Elections 0d405 300x200 copyIn Turchia è partita una nuova ondata di arresti di politici curdi e della sinistra, di attivisti e giornalisti. Lunedì notte unità anti-terrorismo hanno assaltato 183 abitazioni di politici dell’opposizione e giornalisti nelle province di Diyarbakir, Van, Sirnak, Urfa, Batman, Mardin, Mersin, Adana e Istanbul. Secondo quanto riferito dal Ministro degli Interni Süleyman Soylu, 151 persone sarebbero messi al bando per essere arrestati. Finora sono stati arrestati circa 100 dei banditi, tra cui numerosi iscritti e funzionari del Partito Democratico dei Popoli (HDP) di sinistra e della sua organizzazione sorella attiva a livello di politica comunale, Partito Democratico delle Regioni (DBP), dell’associazione di donne TJA, della confederazione delle organizzazioni curde della società civile Congresso Democratico della Società (DTK), nonché giornalisti dell’agenzia stampa Mesopotamia.

L’ “ondata di pulizie” sarebbe riconducibile alla “denuncia anonima di una singola persona« che si sentirebbe »disturbata« dalle attività politiche e giornalistiche degli arresti, ha riferito l’agenzia stampa curda Firat con riferimento a indicazioni di provenienza istituzionale. Le persone da arrestare sono accusate di collegamenti con il Partito dei Lavoratori del Kurdistan PKK. La scorsa settimana in un attacco della guerriglia nella provincia di Batman sono stati uccisi otto soldati e il Presidente Recep Tayyip Erdogan sabato in un discorso trasmesso in televisione aveva detto che “almeno 800 terroristi pagheranno per questo”.

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RISOLUZIONE FINALE DELLA 1° CONFERENZA INTERNAZIONALE DELLE DONNE “REVOLUTION IN THE MAKING”

Network Women Weaving the Future – Francoforte 10 ottobre 2018

20181010 frankfurt kadinlar frankfurt ta devrimi oerme bicimlerini ele aldi 3cb968pre18b88d image 300x152La 1° Conferenza Internazionale delle Donne “Revolution in the Making” che si è svolta a Francoforte lo scorso fine settimana, è stata in effetti un deciso nuovo passo in avanti nella costruzione di una rete di donne.

Vedere oltre 500 donne di ogni età, provenienti da tutte le latitudini del mondo, non è una cosa comune e in effetti la conferenza ha mostrato che se l’idea è forte, la partecipazione è garantita.

Il Movimento delle Donne Curde va lodato e encomiato non solo per l’enorme sforzo organizzativo che ha fatto per garantire il successo della conferenza, ma anche e soprattutto per aver fornito gli strumenti (forniti dalla jineology) e i materiali di lavoro che hanno unito centinaia di donne dando loro speranza e motivandole.

La risoluzione finale della Conferenza lo riflette e in effetti comprende la plurivisione che è emersa nei due giorni di sedute e discussioni.

Il messaggio è chiaro: non ci prenderemo ciò che è nostro: il nostro potere e la nostra libertà. E “lo faremo nonostante l’estrema brutalità che il patriarcato ci costringe a affrontare”.

L’impegno non lascia dubbi su cosa ci possiamo aspettare nei prossimi mesi: “Alla fine di questa conferenza dichiariamo che continueremo la nostra lotta insieme per la libertà di ciascuna e di tutte noi. Noi non permetteremo che venga fatto del male ad alcuna donna. Vinceremo la nostra lotta contro il patriarcato. Creeremo le nuove istituzioni di una società nuova e libera. Dichiariamo che una rivoluzione è in costruzione, la recente crisi del capitalismo è un risultato delle nostre lotte e l’ora – il presente – ci da l’opportunità storica di trasformare questo secolo, il 21° secolo, un secolo delle donne e dei popoli”.

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CONFERENZA DELLE DONNE: “REVOLUTION IN THE MAKING”

UIKIONLUS – 9 ottobre 2018

frnakf 599x275Donne da ogni parte del mondo non stanno solo condividendo le proprie esperienze, ma anche tentando di creare una rete. Più di 500 donne hanno partecipato alla prima giornata della Conferenza Internazionale delle Donne a Francoforte.

La conferenza è stata aperta da una emozionante cerimonia che ha riunito anziane donne curde in abiti tradizionali e donne da ogni parte del mondo, tutto per sottolineare l’importanza della lotta femminile e la necessità ancora più importante di rendere comune questa lotta, attraverso una rete che sia in grado di agire e rispondere in maniera unita in ogni momento.

Il primo dibattito è stato dedicato alla crisi del patriarcato e alla sua lotta sistematica contro le donne. Moderata da Debbie Bookchin, dell’Istituto per l’Ecologia Sociale degli USA, la sessione è stata affrontata da Miriam Miranda, di OFRANEH – Honduras, che ha sottolineato come mai prima nella storia le donne siano state soggette a uno sfruttamento così profondo e stratificato come nel capitalismo. Ha sostenuto che, insieme con lo stato-nazione, il capitalismo costituisce la forma più istituzionalizzata del patriarcato.

Claudia Korol di “Pañuelos en Rebeldía”, dall’Argentina, ha sostenuto che, essendo entrato nel Ventunesimo secolo con una crisi strutturale, il capitalismo sta [ora] provando ad emergere da essa concentrando i propri attacchi contro le sue antitesi. Si sta quindi sperimentando una guerra sistematica contro le donne. Le crisi, tuttavia, ha sostenuto Korol, contengono sempre anche le opportunità per grandi risvegli.

Nazan Ustundag, infine, ha parlato di sessismo e della sua connessione con la “trinità” del capitalismo, cioè [appunto] sessismo, nazionalismo e dogmatismo religioso. Benché queste colonne non possano essere separate, ha sostenuto, il sessismo è la base di tutte le forme di potere.

Il pomeriggio è stato dedicato a nove workshop relativi a vari problemi, dall’ascesa dei regimi fascisti e il loro impatto sulle donne, all’ecologia, alle donne e i media alternativi.

Le donne condividono esperienze e stabiliscono nuove connessioni.

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LA DEBOLE DEMOCRAZIA: AFGHANISTAN ALLE URNE, NON APRE UN SEGGIO SU TRE

Lorenzo Cremonesi – corriere.it – 9 ottobre 2018

24.0.1072613563 kxVF U3040547353509AP 1224x916Corriere Web Sezioni 593x443 300x224 copyCon migliaia di morti e feriti negli ultimi mesi per le violenze crescenti in tutto il Paese, con intere regioni fuori dal controllo dell’autorità di Kabul, con i continui attentati da parte di Isis e talebani contro gli operatori internazionali e le forze di sicurezza locali, le prossime elezioni parlamentari afghane del 20 ottobre rischiano di diventare l’ennesima prova del fallimento dei tentativi di normalizzazione dopo l’invasione americana sostenuta dall’Onu seguita agli attentati dell’11 settembre 2001. Se ne parla pochissimo nei Paesi Nato che hanno tutt’ora i contingenti in teatro (anche l’Italia tra Herat e Kabul mantiene 500 soldati). L’Afghanistan si dimostra lo specchio tragico della nostra impotenza collettiva.

Sono trascorsi ben 17 anni dall’entrata dei marines a Kabul e lo sfascio del regime del Mullah Omar alleato ad Al Qaeda. È una delle operazioni più lunghe della storia militare moderno-contemporanea. Dopo la fase combattuta dei primi mesi, avrebbe dovuto trasformarsi in una grande missione umanitaria per pacificare e ricostruire. E in effetti così fu, almeno inizialmente. Le donne tornarono a scuola, si aprirono strade, canali per l’irrigazione, ospedali: tra il 2005 e il 2006 specie le zone urbane videro uno sviluppo economico e sociale senza precedenti. Ma da almeno un decennio i talebani hanno ripreso a combattere.

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L’ALBERGO AFGANO CHE SI RIFIUTA DI CHIUDERE LE PORTE

Di Andrew Quilty – Nytimes.com – 18 Settembre 2018

Traduzione a cura di Cristina Cangemi, Giulia Giunta, Alessia Palmiero, Ester Peruzzi, Dalila Scaglione e Sara Somaini.

00boshhotel slide 8X2C superJumbo 1024x683Le finestre a bovindo della sala da pranzo dell’hotel Bost davano sul fiume Helmand. Per l’immensità del fiume, la corrente, trasportata per centinaia di chilometri dall’Hindu Kush, sussurrava. L’aria ronzava di moschiti. Al di là del fiume, nella periferia di Lashkar Gah, capitale della provincia afghana di Helmand, dei rilevatori rossi formavano un arco nel cielo notturno.

Era la primavera del 2016 e i Talebani stavano quasi per invadere Lashkar Gah come quando erano stati cacciati nel 2001. Ero volato via da Kabul per la terza volta in tre mesi per cercare di mostrare, attraverso le fotografie, le ripercussioni della cattiva gestione della missione militare internazionale e le conseguenze del suo ritiro prematuro, mentre il cappio si stringeva lentamente intorno alla capitale di Helmand.

Ogni volta prendevo una stanza all’hotel Bost. Nonostante la facciata in rovina e i servizi improvvisati, con il fiume su un lato, una strada chiusa al traffico sull’altro e un giardino di crisantemi rosa e viola, l’albergo manteneva una tranquillità che sfidava la crisi che si svolgeva a soli pochi chilometri di distanza. Di notte, quella distanza era tale da far sembrare i combattimenti innocui, mentre i proiettili sfrecciavano tristemente nell’oscurità.

Sin dai primi giorni dell’invasione dell’Afghanistan guidata dagli americani, Helmand, nel sud Pashtun del paese, è stata il luogo e il simbolo del completo fallimento degli obiettivi internazionali militari e di sviluppo. Oggi, la produzione di droga e la corruzione dilagano; l’emancipazione delle donne, l’amministrazione e la sicurezza sono logore. Il supporto ai Talebani, i cui rigidi valori tribali e culturali sono, in certa misura, compatibili con le comunità del sud rurale, scorre nei villaggi di Helmand come l’acqua che nutre i raccolti, di cui il più grande e importante è l’oppio. Forse ciò che meglio descrive Helmand ai non-afghani di questa generazione di guerra è che lì sono morti combattendo più soldati stranieri che in qualsiasi altra provincia. Per tutto questo spargimento di sangue, forse fino al 90% del territorio di Helmand (gran parte del quale è deserto) è oggi sotto il controllo talebano. È impossibile averne l’assoluta certezza, e questo da solo la dice lunga.

Lashkar Gah ha subito diversi attacchi isolati ma ovunque è stata difesa dal governo in modo debole. Anche l’hotel Bost è sopravvissuto, nonostante il continuo rischio di attacchi e, oggi, di un’occupazione inferiore al 10%. L’hotel Bost, che prende il nome dall’antica città di Bost, una rovina abbandonata a poche miglia a sud della città moderna, è stato il primo di una dozzina di strutture costruite dagli americani e l’asse attorno al quale Lashkar Gah è diventata la nuova capitale di Helmand negli anni ‘50. Ma dopo una prima esistenza idilliaca, il Bost ha resistito non solo a decenni di guerra, ma anche all’occupazione di gruppi che hanno guidato a turno i conflitti. Ha ospitato i leader delle guerre di Helmand e tutti i loro compagni e cronisti. Se avesse un libro degli ospiti, quello dell’hotel Bost si leggerebbe come un glossario dei quattro decenni di guerra di Helmand.

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IL CISDA ESPRIME SOLIDARIETÀ AL COSPE

cospe logoIl Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane desidera esprimervi piena solidarietà contro le accuse che vi sono state mosse sotto il segno di una continua criminalizzazione della società civile e delle Associazioni che operano per la solidarietà internazionale.

Vi siamo vicine e vi salutiamo con stima e affetto.

L’associazione ha lanciato un comunicato stampa, che pubblichiamo qui di seguito.

La Lega Toscana all’arrembaggio dell’Aquarius. Nella foga di cercare nemici, sbaglia mira e affonda!

Un’interrogazione, quello di di Jacopo Alberti rappresentante della Lega in Regione Toscana, basata su notizie false e frammentarie. Che nasce con il solo intento di criminalizzare, ancora una volta, la solidarietà e le realtà che lavorano in questo ambito nel nostro paese. Qui di seguito la nostra risposta! Molte gli attestati di solidarietà che ci stanno arrivando.

Abbiamo appreso nei giorni scorsi la notizia dell’interrogazione al Consiglio Regionale della Toscana del consigliere della Lega Jacopo Alberti, rispetto ai fondi che la Regione Toscana ha erogato alla nostra ONG. Come è noto i fondi regionali sono erogati con avviso pubblico, così come i risultati e il resoconto dettagliato delle spese effettuati sui progetti sono di pubblico dominio. Non staremo quindi qui ad elencare i progetti presentati e regolarmente aggiudicati, così come i numerosi risultati raggiunti con trasparenza e molto lavoro qualificato e molto altro volontario e appassionato alle cause in cui crediamo.

Stupisce invece che il Consigliere Alberti prima e oggi alcune testate abbiano basato un’interrogazione e degli articoli su notizie false e sillogismi che farebbero rabbrividire il povero Aristotele. COSPE rivendica con orgoglio il fatto di aver sostenuto la nascita di Sos Mediterranée Italia sebbene non abbia mai contribuito finanziariamente alle attività ma solo con il lavoro volontario di attivisti della nostra ONG. Sos Mediterranée è l’organizzazione europea che dal febbraio 2016 gestisce le operazioni di salvataggio di migranti nel Mediterraneo – in coordinamento con la Marina Militare Italiana e il MRRC (Maritime Research and Rescue Centre) – con la nave Aquarius ed ha salvato 27.746 persone nel Mediterraneo.

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