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Autore: Anna Santarello

GIUSTIZIA PACE E AMBIENTE CON I MIGRANTI.

LogoCbalducci copy copy copyEvento organizzato dall’Associazione Centro di Accoglienza e Promozione Culturale “Ernesto Balducci” ONLUS

Zugliano – Centro “Ernesto Balducci” Sala mons. Luigi Petris e tendone con maxi schermo

21 Settembre 2018:

ore 9 – 12,30 GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA PACE INDETTA DALL’ONU

22 Settembre 2018:

Ore 9.00-12.30 I miei diritti. Le mie responsabilità Sessione dedicata agli studenti delle scuole medie. Laboratorio in preparazione della Marcia PerugiAssisi
Ore 15.30-19.00 La follia della guerra, la giustizia per la dignità di tutta l’umanità, la cura della casa comune

Partecipazione e interventi di Samea Walid Associazione RAWA, Afghanistan.

 

 

AFGHANISTAN, CONSERVARE UNA GUERRA INFINITA

Blog – E. Campofreda 17/8/2018

giovani jihadisti 300x200 copyLa vicenda narrata da alcuni ricercatori afghani sul caso dell’unico gruppo del Daesh afghano collocato nell’area centro-settentrionale del Paese, e formato come in altri casi da talebani dissidenti, è sintomatica di quello scontro indiretto e ormai anche diretto, fra miliziani che fino al 2015 erano un tutt’uno. Una sorte di competizione per il titolo di “resistente” all’Occidente che da mesi fa strage di civili.

Nel distretto Darzab, 150 km sud-ovest da Mazar-e Sharif, un tal comandante Hekmat aveva distaccato i suoi guerriglieri dalle indicazioni della centrale talebana. I suoi uomini (e ragazzi, vista la giovane età di molti reclutati) usavano la sigla dello Stato Islamico della provincia del Khorasan, sebbene si trattasse di un’auto dichiarazione, probabilmente non concordata con la componente più corposa dell’ISKP, collocata nella provincia di Nangarhar. Dicono gli osservatori che i miliziani di Hekmat fossero prevalentemente d’etnìa uzbeka e tajika, con un numero ristretto di pashtun.

Il gruppo, restando nella zona, si distingueva soprattutto per scorribande e rapimenti a scopo d’estorsione, fino a quando il leader è stato ucciso da un attacco coi droni statunitensi. Sostituito da Mawlawi Habib Rahman, proveniente dalla zona di Balkh, l’operatività dei jihadisti non veniva contrastata da nessuna struttura governativa. Il capo della polizia risultava rifugiato in una base dell’esercito di per sé, comunque, inattiva.

Nel busillis di “chi controlla cosa”, che comunque esclude a priori reparti e amministratori del presidente Ghani ben rintanati altrove, un governatore-ombra della confinante provincia di Faryab, quasi omonimo del neo leader jihadista: Mawlawi Abdul Rahman, avvertiva il nucleo dissidente che se non avesse deposto le armi ci sarebbero state pesanti conseguenze.

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IN AFGHANISTAN PUTIN APRE AI NEGOZIATI CON I TALEBANI

Lettera43 – B. Ciolli – 2/9/2018

Ghani Putin 300x199 copyI talebani hanno detto sì al nemico per il quale furono creati. Gli estremisti islamici che fanno il bello e il brutto tempo in Afghanistan sono attesi per la prima volta a Mosca, nella conferenza per i negoziati di pace che Vladimir Putin vuol lanciare ora che quelli sulla Siria, sempre coordinati dal Cremlino, sono alle battute finali. La prima data fissata per cercare di sbrogliare il groviglio afgano, dopo anni di inutili colloqui in Pakistan, era il 4 settembre e i talebani, invitati per la prima volta da un presidente russo, non si sono fatti pregare.

E così Mosca aveva avuto «riscontri positivi da ambo le parti». Almeno fino a quando al governo di Kabul non è arrivata voce che al tavolo si sarebbero seduti anche gli eredi dei mujaheddin, addestrati dagli Usa proprio per contrastare gli invasori russi dell’Afghanistan.

IL PROBLEMA DELLO STATUS DEI TALEBANI
Al presidente Ashraf Ghani pare che non sia andata giù la procedura della diplomazia russa di porre sullo stesso piano entrambi gli interlocutori. I talebani in particolare sarebbero stati contattati, senza che prima venisse informato – e desse l’autorizzazione alla loro presenza– il governo afgano, che punterebbe a questo punto ad affiancare la Russia nel ruolo di coordinatore delle trattative.

Per raggiungere una quadra, la data della conferenza è stata posticipata: colloqui tra i ministeri degli Esteri russo e afghano sono in corso per scongiurare che Ghani tenga fede alla minaccia di disertare l’iniziativa diplomatica, come faranno in ogni caso gli Stati Uniti. Assenti anche alla precedente tavola rotonda sull’Afghanistan – senza i talebani – organizzata da Putin a Mosca nell’aprile del 2017.

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AFGHANISTAN, CONTINUA L’ASSALTO DEI TALEBANI A GHAZNI. «SI RISCHIA IL DISASTRO UMANITARIO»

Marta Serafini – Corriere della sera – 12 agosto 2018

Afgha Corriere Web Sezioni 593x443Nonostante le rassicurazioni del governo, non si fermano gli scontri nella città a ovest di Kabul attaccata giovedì notte. Dozzine di morti. Emergency: «Civili in trappola»

Continuano per il terzo giorno consecutivo i combattimenti a Ghanzi nell’Afghanistan orientale, dove i talebani stanno ancora cercando di prendere il controllo della città. Nelle scorse ore il governo di Kabul aveva smentito le notizie che parlavano di una vittoria dei talebani sulla zona contesa. Ma il vicecapo del consiglio provinciale Amanullah Kamrani della città che ha 280 mila abitanti ha dato all’Afp un quadro diverso. «Solo il quartier generale della polizia e gli uffici governativi sono sotto controllo. Il resto è nelle mani dei talebani», ha dichiarato Kamrani.

La situazione è grave, mancano cibo e acqua. «Ci sono dozzine di morti e feriti. La gente viene curata in casa o in clinica. Siamo sull’orlo del disastro umanitario», ha continuato Kamrani. Anche lo staff della ong italiana Emergency conferma il quadro. «La città è senza rete telefonica e senza elettricità. Per i civili ci sono pochissime vie di fuga».

Ieri all’ospedale di Kabul di Emergency sono arrivati 20 feriti ma si teme che la maggior parte sia bloccata senza poter ricevere aiuto. «Emergency ha un Posto di primo soccorso in città, che negli ultimi anni ha ricevuto un numero sempre crescente di feriti, ma a oggi non siamo ancora riusciti a parlare con i nostri colleghi», ha spiegato Dejan Panic, coordinatore del programma di Emergency nel Paese.

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GHANI, IL PARTITO TALEBANO E IL SOGNO DI PACIFICAZIONE

Dal blog di Enrico Campofreda – 5 luglio 2018

img 2860 768x432 copyNella macro politica di Kabul il tema che tiene banco anche più di sicurezza e Tapi (il gasdotto transnazionale) è l’apertura politica ai talebani, divenuta la vera ossessione del presidente Ghani. Se la prima questione mette a nudo l’incapacità governativa di controllare alcunché, e la seconda l’ennesimo mega progetto da cui la popolazione trarrà benefici nulli, l’ipotesi del dialogo coi miliziani coranici è l’incompiuta difficile da compiere.

E neppure tanto nuova. Rifà il verso a quanto già si era tentato otto e sette anni addietro, quando la Cia di mister Panetta e l’allora presidente Karzai proposero ai talebani tavoli d’incontro, separati e unitari, da cui ci si aspettava un’uscita dalla palude in cui erano finite la muscolare Enduring Freedom e l’ambivalente Isaf mission.
Già all’epoca le posizioni della galassia talebana erano diversificate, ma accanto agli irriducibili della rete di Haqqani, l’Alto Consiglio della Pace, creato per l’occasione, colloquiando coi turbanti doveva prendere atto di alcune loro richieste irrinunciabili: ritiro delle truppe d’occupazione, revisione della Costituzione considerata insufficientemente islamica, cancellazione dalla lista nera del terrorismo mondiale, rilascio di prigionieri in mano ad americani e governo afghano. La posta talebana era alta, altissima, come la personale considerazione di non pensarsi partito elettorale.

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CLINICA RAWA PER LE DONNE E I BAMBINI DI WOLOS DARA

Rawa, luglio 2018

foto 4 300x225 copyÈ da moltissimo tempo che RAWA fornisce cure a donne e bambini in Afghanistan e in Pakistan, dove svariate famiglie sono diventate rifugiati durante tre decenni di guerra. RAWA aveva due ospedali ben forniti in due delle città pakistane con più rifugiati, Quetta e Rawalpindi. Il Malalai Hospital venne costruito nella città di Quetta nel 1986 e serviva 400 pazienti al giorno. Venne chiuso dopo 10 anni a causa della mancanza di risorse finanziarie. Nel 2001, grazie alle donazioni dei sostenitori dell’Organizzazione di tutto il mondo, il Malalai Hospital è stato riaperto nella città di Rawalpindi e continua a fornire cure a circa 250 rifugiati afghani al giorno. RAWA gestiva anche una clinica a Peshawar per i rifugiati afghani. Tutte le strutture sanitarie di questi enti erano prive di costi e si diceva fossero alcuni tra i migliori centri sanitari nell’area in cui operavano.

Le attività sanitarie di RAWA non si limitavano a fornire medicine e consulti medici, le persone venivano educate riguardo alle cure di base, all’igiene e alla pulizia (che è la chiave per prevenire molte malattie) e il trattamento di malattie semplici ma letali che ogni anno uccidono migliaia di persone in Afghanistan.

Descrizione del contesto e analisi dei problemi

Il Wolos Dara (“la valle delle persone”) è una piccola comunità situata nel distretto di Shewa, 28 chilometri a nord di Jalalabad (capitale della provincia di Nangarhar). Vi sono cinque villaggi principali e la comunità di Wolos Dara si trova nel villaggio di Qalatik.

Wolos Dara ha iniziato a svilupparsi nel 2005 grazie alle persone del posto. Un consiglio tribale chiamato “Il Consiglio Tribale di Dare Noor e Shewa” è stato organizzato dai locali quando erano rifugiati in Pakistan. Il consiglio è formato da vittime dei quattro decenni di guerra e comprende persone che hanno perso la famiglia e la casa durante la guerra, incluse le vedove. Il consiglio lavorava principalmente nei campi dei rifugiati in Pakistan per il benessere dei profughi. Quando queste famiglie ritornarono in Afghanistan, dovettero far fronte a problemi simili a quelli avevano come rifugiati in Pakistan, quindi il lavoro del consiglio continuò. Poi, insieme alle famiglie che vivevano in quell’area, il consiglio fece sviluppare questo paese.

Quest’area è occupata prevalentemente dalla gente di etnia Pashaee, una minoranza profondamente trascurata e discriminata. Gli sfollati interni provenienti dalle province vicine come quella di Kunar, sfuggiti agli scontri quotidiani tra i Talebani e le forze del governo afghano, hanno anche creato delle abitazioni di fortuna a Wolos Dara. Millecinquecento famiglie hanno ufficialmente marcato la propria terra in questo paese ma ogni giorno, molte più famiglie affluiscono qui e si stabiliscono nelle zone circostanti.

 

Wolos Dara e le aree circostanti sono tra le più isolate e povere della provincia. In primavera e in estate molti lavorano nelle fornaci per mattoni (lavoro che svolgevano quando vivevano come rifugiati in Pakistan). Alcune famiglie si dedicano al commercio o possiedono piccoli negozi nella città di Jalalabad. Altri hanno piccoli appezzamenti di terreni agricoli o allevano bestiame. Alcune donne tessono tappeti per guadagnare un po’ di denaro, ma la maggior parte di loro è formata da casalinghe sposatesi in età adolescenziale.

La situazione sanitaria a Wolos Dara non è diversa da quella delle altre parti isolate dell’Afghanistan, che è disastrosa. Secondo un rapporto di Medici Senza Frontiere (MSF), che ha incontrato settecento pazienti in quattro province, il 44% degli intervistati è stato costretto a vendere i propri averi o a chiedere in prestito del denaro per avere assistenza sanitaria durante una recente malattia. Due persone su tre che, nell’indagine di MSF, hanno descritto la propria famiglia come “povera a estremamente povera” (vivono con un dollaro americano al giorno o meno) hanno pagato una media di 40 dollari per ricevere cure mediche durante una recente malattia. Una su quattro ha speso più di 114 dollari.

L’Afghanistan ha uno dei tassi di mortalità materna più alti al mondo e il tasso di mortalità infantile è il terzo più alto al mondo (Organizzazione mondiale della sanità – OMS, World Health Organization – WHO). Circa un bambino su dieci morirà prima di raggiungere i cinque anni, e ci sono quasi 396 morti ogni 100.000 nascite – ben al di sopra della media mondiale del 2015 di 216 morti (Banca Mondiale – The World Bank).

Nonostante i miliardi di dollari di aiuti, il settore sanitario ha visto cambiamenti insignificanti nell’ultimo decennio e mezzo. Gli aiuti sono stati divorati dalla mafia e dai signori della guerra presenti dentro e fuori il corrotto governo afgano. Un calcolo approssimativo della spesa per il settore sanitario rivela che il governo paga a malapena il 6% del costo per le cure. Anche se il 21% proviene dagli aiuti internazionali, i pazienti pagano il restante 73%.

In Afghanistan, circa la metà dei prodotti farmaceutici d’importazione viene contrabbandata e non è soggetta al controllo della qualità. La corruzione alla dogana ha aperto il paese ai farmaci contraffatti e di qualità inferiore, dove medicinali con etichettatura falsificata entrano continuamente nelle scorte dei farmaci, rendendo virtualmente impossibile per i profani distinguere i prodotti buoni da quelli cattivi.

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REGISTRATO A METÀ DELL’ANNO IL PIÙ ELEVATO NUMERO DI MORTI CIVILI A CAUSA DEL CONFLITTO – ULTIMI AGGIORNAMENTI UNAMA

UNAMA – 15 luglio 2018,  trad. di Sara Sormaini

unama-150x150.jpgKABUL – Le ultime cifre pubblicate oggi dalla Missione di Assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan (UNAMA) continuano a registrare un elevato numero di perdite inflitte alla popolazione civile afghana dalle parti belligeranti. Dai risultati emerge che, nel periodo compreso tra l’1 gennaio e il 30 giugno 2018, sono stati uccisi più civili nei primi sei mesi di quest’anno – 1692 morti – rispetto a qualsiasi altro periodo analogo degli ultimi dieci anni da quando questi dati vengono registrati.

UNAMA rinnova l’appello rivolto alle fazioni coinvolte nel conflitto ad aumentare gli sforzi finalizzati a proteggere la popolazione civile e le incoraggia a impegnarsi per raggiungere una soluzione pacifica.
Gli ultimi aggiornamenti UNAMA registrano 5.122 vittime civili (di cui 1.692 morti e 3.430 feriti) – un calo complessivo del 3% rispetto allo scorso anno – con un aumento dell’1% dei morti civili, il numero più alto registrato nello stesso periodo, da quando UNAMA ha iniziato una documentazione sistematica dei morti civili nel 2009. Il numero dei civili feriti è diminuito del 5%.
Il numero delle vittime tra i civili rimane a livelli record nonostante l’inedito armistizio unilaterale del Governo e dei Talebani durato tre giorni, dal 15 al 17 giugno 2018. Oltre alle vittime causate dai due attacchi suicidi rivendicati dal Daesh/Stato islamico della Provincia del Khorasan – Islamic State-Khorasan (ISKP) avvenuti a Nangarhar durante l’armistizio, UNAMA non ha documentato quasi nessun’altra vittima tra i civili durante l’interruzione dei combattimenti.
“Il breve armistizio ha dimostrato che gli scontri possono essere interrotti e che i civili afghani non devono più sopportare il peso della guerra”, afferma Tadamichi Yamamoto, Rappresentante Speciale per l’Afghanistan del Segretario Generale delle Nazioni Unite. “Dobbiamo insistere affinché le fazioni coinvolte colgano l’opportunità di trovare una soluzione pacifica – questo è il modo migliore in cui possono proteggere tutti i civili”, sostiene Yamamoto, che è anche il responsabile di UNAMA.

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L’AUTONOMIA DEMOCRATICA RISPETTO ALLO STATO NAZIONE È UNA NUOVA FORMA DI INTERNAZIONALISMO

Duran Kalkan – Uikii – 12 agosto 2018

autonomia democraticaCome possiamo intendere l’autonomia democratica o il confederalismo democratico? È un sistema specifico a livello regionale e quindi in grado di rivolgersi solo alla popolazione curda?

Posso spiegare l’autonomia democratica delineando il quadro storico che segue: il precedente concetto di società non-statale è diventato noto più tardi come società civile e significava conquiste democratiche. Certe aree della società hanno ottenuto determinati diritti economici e democratici attraverso una forma di auto-organizzazione. Tempo fa i sindacati erano molto forti, per esempio in Europa occidentale. All’interno del loro sistema riuscivano a garantire un certo standard di vita per i loro iscritti.

Autonomia democratica in effetti significa rafforzare strutture di questo tipo ed estenderle a varie aree. Significa trasformare strutture democratiche in un’organizzazione non-statale della società. Il sistema (in Europa occidentale) era basato più sulla lotta di classe. I lavoratori con i loro sindacati e partiti cercano di acquisire e consolidare i loro diritti attraverso scioperi e accordi salariali. L’autonomia democratica significa che questo si estende a tutti i segmenti della società. Non solo i lavoratori e le loro organizzazioni sindacali, ma i giovani, le donne, tutte le aree della società possono organizzarsi in modo simile, pianificare le loro vite economiche e democratiche e metterlo in atto nella loro vita quotidiana.

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“VOGLIO POTENZIARE IL RUOLO DELLE DONNE AFGHANE”: UN’AVVOCATA IN UNA MISSIONE SOLITARIA

Da Rawa – 21 febbraio 2018

rawa 768x461 copyZainab Fayez, unica donna nell’ufficio del procuratore generale di Kandahar, vuole una maggiore uguaglianza nel sistema giudiziario afghano

Zainab Fayez, unica donna con la funzione di pubblico ministero nella provincia meridionale afghana di Kandahar, nell’ultimo anno ha risolto 50 casi di abusi contro le donne e ha aiutato ad arrestare 21 uomini, compresi funzionari di polizia, accusati di violenza contro le donne. Ma lei spera di vedere altre donne seguirla nella professione legale.

“Il mio obiettivo è vedere aumentare il potere delle donne afghane nella prossima generazione”, ha detto la 28enne, che ha lavorato nell’Avvocatura generale di Kandahar negli ultimi due anni. “A Kandahar è molto difficile per una donna lavorare in un ufficio, perchè è un ambiente occupato prevalentemente da uomini e le donne che lavorano sono tabù.

“Nel sistema giudiziario dell’Afghanistan la partecipazione delle donne è necessaria e dobbiamo lavorare duramente per mettere le basi per la prossima generazione di donne. Sono pronta a qualsiasi sacrificio per questa causa. ”
Diplomata alla facoltà di Sharia dell’università di Kabul, Fayez è fiera del suo lavoro per l’eliminazione della violenza contro le donne, nonostante le difficoltà che incontra.

Le Nazioni Unite hanno affermato che il sistema giudiziario dell’Afghanistan non riesce a fornire un aiuto adeguato alle donne vittime di violenza.
Orzala Ashraf Nemat, tra le principali attiviste per i diritti delle donne che ha lavorato direttamente su casi di violenza contro le donne tra il 1999-2007 in Afghanistan e nei campi profughi in Pakistan, ha detto che gli atteggiamenti devono cambiare. Ha affermato che ad esempio esiste “l’idea che la mediazione sia una scelta anti-femminile, ma questa rappresenta anche una soluzione duratura e a lungo termine alla violenza domestica” e che “dovremmo sbarazzarci di idee come quella che le vittime di stupro devono sposare i loro stupratori”.

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TURCHIA, “TERRORISMO” ACCADEMICO E INFORMATIVO

Enrico Campofreda – incertomondo.libreriamo.it – 28 luglio 2018

turchia 150x150L’atto di buona volontà con cui il presidentissimo turco Erdoğan fa cessare un’emergenza sicurezza durata due anni a seguito del tentativo di golpe del luglio 2016, e costata l’epurazione a 120.000 cittadini impiegati in servizi statali, non riporta aria di libertà né sul Bosforo, né nell’Anatolia profonda e ancor meno nelle zone orientali del Paese. Anzi. Ora i governatori delle 81 province in cui la nazione è divisa possono diventare i controllori-censori dei propri cittadini, limitandone i movimenti interni ed esteri, quest’ultimi con la sospensione di validità del passaporto.

La ferrea ispezione sulla vita pubblica consente a questi fedeli rappresentanti della nazione, su cui Erdoğan e il suo partito hanno per via costituzional-elettorale messo potentemente le mani, di farsi questurini amministrativi. Infatti, mentre l’emergenza prolungata consecutivamente in sette occasioni, vede un’archiviazione, scattano misure altrettanto pesanti di coercizione e dissuasione: dall’impossibilità di ritrovarsi in pubblici incontri e manifestazioni senza il consenso dei suddetti governatori, col rischio per i trasgressori d’un fermo poliziesco che va dai 2 ai 12 giorni e non necessita di motivazione.

Quindi, nei casi estremi, di trovarsi incastrati con accuse di ‘terrorismo’, imputazione con cui la galera diventa certezza, com’è accaduto addirittura a deputati eletti in Parlamento. Fra i 18.000 dipendenti pubblici finora definitivamente licenziati, oltre la metà vestiva la divisa, altri ricoprivano ruoli amministrativi e parecchi erano insegnanti.

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