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Autore: Anna Santarello

LA LIBERTÀ DELLE DONNE A ŞENGAL È LA LIBERTÀ DELL’UMANITÀ

Da uiki – 31 luglio 2018

Yezidi 599x275In occasione dell’ormai quarto anniversario ricordiamo con grande rispetto le vittime del genocidio e del femminicidio delle ezide del 3.8.2014 nella regione di Şengal da parte del cosiddetto Stato Islamico e dei suoi alleati e tuttora in corso.

Ricordiamo le donne e i bambini sequestrati, di cui ancora non c’è alcuna traccia e allo stesso tempo salutiamo l’eroica resistenza delle Unità di Difesa delle Donne YJŞ. Ribadiamo ancora una volta che non dimenticheremo mai le donne e i bambini sequestrati. Ci impegneremo per la loro libertà. Perché la libertà delle donne e dei bambini a Şengal è la libertà dell’umanità.

Non è ancora stato possibile indagare l’intera dimensione di questo genocidio e femminicidio, entrato nella storia delle ezide e degli ezidi come il cosiddetto “74° Ferman”, quindi il 74° genocidio. Anche il numero concreto delle e dei sequestrati e di donne, bambini e ragazze vendute nei mercati di schiave e schiavi che non vivono ancora in libertà, non è ancora determinato.

Ma ormai una cosa è chiara: l’auto-organizzazione degli ezidi e delle ezide, in particolare delle donne, è una necessità vitale e la garanzia per la loro possibile libertà, come si può vedere dai lavori di costruzione degli ultimi quattro anni.

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SVEZIA, UN’ATTIVISTA HA BLOCCATO UN AEREO SWEDAVIA PER IMPEDIRE LA DEPORTAZIONE DI UN AFGHANO

TPI NEWS – 24 luglio 2018

ragazza svedese fghano copy copyElin Ersson, giovane studentessa svedese, ha fermato un volo in partenza da da Göteborg e diretto a Istanbul avviando una diretta Facebook per salvare dall’espulsione un rifugiato afghano
na giovane attivista svedese di nome Elin Ersson è riuscita a impedire la deportazione di un uomo di 52 anni in Afghanistan con un’azione coraggiosa e trasmessa in diretta Facebook.

La ragazza, impegnata negli studi per diventare assistente sociale, lunedì 23 luglio, era a bordo di un volo della compagnia Swedavia Airlines diretto a Istanbul da Göteborg quando ha annunciato che non avrebbe fatto partire l’aereo se l’uomo di origini afghane fosse rimasto a bordo.

Tra i passeggeri, infatti, c’era anche l’uomo che doveva essere deportato in Afghanistan dal servizio di immigrazione svedese. Elin Ersson non voleva accettare quella crudeltà.

 “In Afghanistan c’è la guerra e quest’uomo deve andare incontro alla morte?”.

Così la giovane Elin si è alzata dal proprio posto e ha iniziato un live streaming su Facebook nel quale ha annunciato le sue intenzioni. Secondo la ragazza è perfettamente legale rifiutarsi di sedersi su un aereo per fermare un’espulsione.

In breve tempo il live è stato seguito da un numero crescente di persone.

Il personale di bordo le ha intima di sedersi o di lasciare l’aereo, ma Elin si è rifiuta ed esorta anche gli altri passeggeri ad alzarsi in piedi.

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KABUL: DAGLI HIPPIES AI TALEBANI, LA STORIA È ANDATA A MARCIA INDIETRO.

Corriere della Sera – Dataroom, di Andrea Nicastro – 24 luglio 2018

GettyImages 3247128 ktSD U3000715735298bXH 4188x2847Corriere Web NazionaleA cavallo del 1970, l’Afghanistan era una meta turistica per tanti europei. Arrivavano in Land Rover o con i pullmini Volkswagen sulla via per l’Oriente.

Molti cercavano la spiritualità indiana, ma a volte si accontentavano della marijuana afghana. Si scrivevano guide turistiche, cataloghi sui tesori d’arte di Kabul. C’erano alberghi, ostelli, guest house e i viaggiatori raccontavano della straordinaria ospitalità ricevuta. Gli alberghetti di Chicken Street a Kabul, non avevano le sbarre alle finestre o i metal detector anti attentato come oggi, ma avrebbero dovuto proteggere meglio i parapetti dei terrazzi.

Senza aria condizionata, alla ricerca di frescura o di stelle, decine di europei si drogavano sui terrazzi e in preda alle allucinazioni cadevano di sotto. Il piccolo cimitero cristiano della città, prima che venisse profanato dai talebani, era pieno di lapidi di europei. Due i nomi degli italiani che si intravvedono ancora: Ottavio nel 1968 e Giovanni nel 1972.

Nell’epoca d’oro del turismo in automobile, 90mila stranieri riuscirono a percorrere i 6mila chilometri che separano Trieste da Kabul. Il pericolo allora era di rimanere senza benzina, non di venire sgozzati. Nella capitale afghana era donna il 40% dei medici, il 70% degli insegnanti e il 15% dei deputati. Nella guida Fodor, best seller del 1969, si legge: «L’Afghanistan è a soli otto giorni di macchina da Parigi, grazie alle nuove strade trans-continentali turche e persiane». E poi: «in Afghanistan la macchina della modernizzazione si è messa in moto e niente potrà fermarla».
La storia a marcia indietro
È passato quasi mezzo secolo e oggi le informazioni più utili a un aspirante turista in Afghanistan compaiono del sito della Farnesina viaggiaresicuri.it: «Si sconsigliano vivamente viaggi a qualsiasi titolo in Afghanistan in considerazione della gravità della sicurezza interna al Paese, dell’elevato rischio di sequestri e attentati a danno di stranieri in tutto il territorio nazionale». La guida Fodor si è sbagliata di grosso.

Guerra e islamismo
La rincorsa del futuro si è bloccata ai check point talebani. In questa marcia indietro della storia sono stati coinvolti tutti i Paesi lungo il tragitto. Perché ci sono state le guerre, ma c’entra anche l’islamismo come risposta ai fallimenti delle modernizzazioni che scimmiottavano l’Occidente

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NUOVA DICHIARAZIONE CONTRO L’ISOLAMENTO IMPOSTO A ÖCALAN

Uikionlus – 27 luglio 2018

ocalan 7 599x275 copyÈ stato nuovamente negato agli avvocati dell’ufficio legale Asrın il diritto di visitare il proprio cliente per la 774esima volta. L’ufficio ha rilasciato una dichiarazione per evidenziare il fatto che non siano stati in grado di visitare il proprio cliente, il leader del popolo curdo Abdullah Öcalan, tenuto nel carcere di alta sicurezza tipo F di İmralı dal 1999. Gli avvocati non hanno potuto visitarlo dal 27 luglio 2011.

Anche altri prigionieri vengono trattati come Öcalan: Veysi Aktas, Hamili Yıldırım e Ömer Hayri Konar, trasferiti ad Imralı nel marzo 2015. Gli avvocati hanno confermato che ogni richiesta di far visita ai propri clienti è stata negata.

La ragione per i rifiuti del permesso di visita è sempre la stessa: o la barca che porta all’isola non è funzionante, o il tempo è brutto. Dopo la dichiarazione di stato d’emergenza del 20 luglio 2016 si sono aggiunte altre ragioni legate alla “sicurezza nazionale”.

L’ufficio legale Asrın ha esposto più volte come il trattamento riservato a Öcalan sia illegale e vada contro ogni legge internazionale e la convenzione per i diritti umani.

AFGHANISTAN. USA E TALEBANI SI INCONTRANO A DOHA PER UNA “RITIRATA ONOREVOLE”.

Notizie Geopolitiche – di Enrico Oliari – 28 luglio 2018

afghanistan talebani 534Tagliato fuori ancora una volta il governo di Kabul.

Non ci riuscirono i sovietici a piegare l’Afghanistan, con una guerra che dal 1979 al 1989 è costata da una parte 44mila morti, 80mila dall’atra (Mujaheddin) e quasi 2 milioni di civili uccisi.

Non ci sono riusciti oggi gli Usa e gli alleati Nato, che in quel paese avevano mandato soldi ai Mujaheddin per resistere ai russi e che poi ci sono andati a seguito dell’attentato alle Torri Gemelle, per “portare pace e democrazia” e perché “le donne sono costrette a portare il burqa”, come raccontavano i media occidentali nel 2001.

Fatto sta che l’Afghanistan si è dimostrato un pantano anche per gli statunitensi, i britannici, i tedeschi e gli italiani, una guerra costata soldi e vite umane ma che non ha raggiunto neppure lontanamente gli obiettivi designati. Ne’ quelli ufficiali che tanto piacciono all’occidentale medio, come democrazia e pace per tutti (a patto però che restino un gradino sotto), ne’ quelli non ufficiali, come il trasformare il paese in una zona di influenza Usa in uno scacchiere che vede lo zio Sam avere basi dal Marocco al Kyrgizistan, con le eccezioni di Libia (guerra), Siria (guerra), Iraq (guerra), Iran (se ne sta parlando) e appunto Afghanistan (guerra).

Dal 2001 ad oggi l’unica cosa concreta che la Nato ha ottenuto è il controllo effettivo di una parte della capitale, in un paese di 34 milioni di abitanti e di 652.864 chilometri quadrati, una minuscola area spesso oggetto di attacchi terroristici; il presidente Ashraf Ghani viene chiamato come il suo predecessore, il fantoccio degli americani Hamid Karzai, “il sindaco di Kabul”, mentre nel paese non passa giorno senza che non vi siano attentati terroristici, ora ad opera dei talebani, ora per i miliziani dell’Isis, i quali stanno cercando di affermarsi nel paese per poi estendere la propria azione nei paesi limitrofi dell’Asia centrale (emirato del Khorasan).

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LIBRO – UN’UTOPIA CONCRETA – LOWER CLASS MAGAZINE

Uikionlus.com – 22 luglio 2018

full utopiaLe montagne del Kurdistan e la rivoluzione in Rojava: un diario di viaggio.

Prefazione di Anja Flach
Edizione italiana a cura di Rete Kurdistan

«La rivoluzione in Kurdistan è importante per tutto il mondo perché mostra un’alternativa al capitalismo. Il suo significato è universale. Le curde e i curdi lottano, ma non è una lotta solo curda. È la nostra comune lotta per la pace e la democrazia».

Nel nord della Siria, nel mezzo di una delle guerre più crudeli dei nostri tempi, centinaia di migliaia di persone stanno conquistando, insieme a istituzioni basate sulla democrazia consigliare e la parità tra uomo e donna, meccanismi di convivenza pacifica tra tutte le etnie e gli orientamenti religiosi del Medio Oriente.

Nella primavera del 2017 alcuni redattori di «Lower Class Magazine» hanno viaggiato dalla Germania al Kurdistan e, dopo un soggiorno nella zona montuosa sul confine turco-irakeno, sono entrati nelle pianure del Rojava per mettersi a disposizione della rivoluzione in corso e, soprattutto, per imparare da questa esperienza straordinaria. Così, vivendo sulle montagne insieme alla guerriglia, sperimentando in prima persona il funzionamento del confederalismo democratico nella Siria del Nord, costruendo case e pascolando pecore, indagando sulla provenienza delle armi europee usate contro la popolazione civile e combattendo a Raqqa contro lo Stato Islamico, ha preso corpo questo libro: un diario di viaggio che entra nel vivo dei profondi cambiamenti in corso e che mostra in presa diretta come la Rivoluzione del Rojava stia salutando l’avvento di un’utopia concreta.

LOWER CLASS MAGAZINE – In rete dal 2013, Lowerclassmag.com è un punto di riferimento per la controinformazione europea, in modo particolare per quanto riguarda l’analisi degli avvenimenti in corso – che si tratti di Germania, Colombia, Turchia, Ucraina o Siria – seguiti sempre grazie alla presenza di corrispondenti sul campo e alla rigorosa verifica delle fonti.

 

LE DONNE AFGANE SONO STATE TRADITE DA CHI DOVEVA LIBERARLE

Internazionale Rafia ZakariaDawn –  Pakistan – 20 luglio 2018

144683 md 300x200Le leggi ci sono. L’Afghanistan è un paese firmatario della Convenzione per l’eliminazione della violenza contro le donne. L’articolo 22 della costituzione afgana stabilisce l’uguaglianza tra uomini e donne, la parità di doveri e di trattamento davanti alla legge. Una legge nazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne è stata approvata nel 2009

Quest’anno il codice penale del 2018 ha incluso un intero capitolo dedicato all’eliminazione della violenza contro le donne. Ha proibito l’uso delle donne nei casi di badal, quando cioè le famiglie contrapposte da una faida si scambiano le mogli per risolvere una controversia.

Il codice ha eliminato inoltre il provvedimento risalente al 1976 in base al quale gli uomini che uccidono le mogli o le donne o le sorelle con delitti “d’onore” possono essere condannati a non più di due anni di carcere. In base alla nuova legge, questi reati devonro essere puniti come tutti gli altri omicidi.

Il cambiamento tuttavia non si è verificato. Secondo un rapporto pubblicato dalla Missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan (Unama), le donne afgane hanno ancora un ridottissimo accesso alla giustizia, spesso non riescono a essere risarcite e i “reati d’onore”, anche se denunciati, raramente sono puniti. Il rapporto dimostra in particolare che meccanismi come la “mediazione” e la pressione a non sporgere una denuncia ufficiale trattano crimini come l’aggressione sessuale, la violenza domestica e il tentato (o compiuto) omicidio alla stregua di “questioni di famiglia”.

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LA TURCHIA SI LIBERA DELL’EMERGENZA, NON DELL’INGERENZA

Enrico Campofreda dal suo Blog – 17 luglio 2018

Akp Turkey Elections 0d405 300x200Il presidenzialismo assolutista studiato, cercato, ottenuto da Recep Erdoğan con l’ostinazione e il trasformismo con cui ha scioccato il mondo, mette ai suoi piedi tutti i settori del Paese. In questi giorni in cui si prepara un decreto di uscita dall’emergenza post golpe (rinnovata per sette volte nel corso di due anni), ne giungono altri riguardanti gangli economico-finanziari, istituzioni militari e culturali, tutti posti sotto strettissima ‘osservazione’.

Vengono addirittura sciolti veri pilastri del laicismo culturale kemalista come l’Opera e i Balletti di Stato, il Teatro di Stato; veranno sostituiti da nuove entità le cui nomine di vertice spettano alla presidenza, non di particolari enti, ovviamente della Repubblica turca. Lo stesso Consiglio Superiore per la vigilanza, che aveva competenze ispettive su istituzioni pubbliche e private, eccezion fatta che per gli ambiti militari e giudiziari, subirà trasformazioni. I controlli s’allargheranno alle stesse istituzioni militari, al di là del rango fino alle alte gerarchie.

 Scuole delle Forze armate, la Fondazione dell’apparato della sicurezza, le industrie che si occupano della difesa saranno oggetto delle verifiche del nuovo Consiglio. Il ministero delle Finanze avrà occhio e mani su Banca Centrale, Ziraat Bank e Halkbank, così come una serie di strutture (Agenzia di Supervisione e Regolamento Bancario e simili) verranno gestite dal ministro competente.

Un tempo i ministeri coinvolti erano più d’uno. Un controllo ferreo più che dello Stato, del governo e soprattutto del sistema presidenzialista che può collocare uomini di propria totale fiducia nei ruoli chiave. Il settore dell’educazione, terreno in cui il gülenismo del movimento Hizmet aveva creato una rete fittissima di presenze e relazioni fra i suoi adepti, dopo lo stravolgimento operato con migliaia di arresti e decine di migliaia di rimozioni e dimissioni forzate, è in piena ristrutturazione. Le università vedranno collocati ai vertici rettori selezionatissimi, non tanto sul fronte delle competenze, quanto su quello delle obbedienze. Sarà l’occhio del presidente a scegliere i dirigenti degli atenei, per una certezza di omologazione al libero pensiero della nazione turca di modello erdoğaniano.

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A KABUL LA RESISTENZA SI FA ARTE: COSÌ ATTORI E WRITERS SI RIAPPROPRIANO DEGLI SPAZI PUBBLICI.

L’Esperesso – 18 luglio 2018, di Giuliano Battiston

imageUn viaggio nella capitale afgana tra teatri occupati, tele in cemento e spazi restaurati. A cui registi, poeti e altri artisti, decisi a combattere contro ingiustizie e pregiudizi, ridanno vita.

Non occorre studiare arte, per apprezzare la bellezza di un dipinto… Studentessa di psicologia, 25 anni, occhiali da sole e spolverino colorato, Fatima Zahidi passeggia con le amiche tra le sale luminose del padiglione della Regina. Siamo in uno dei luoghi più suggestivi di Kabul, nella parte alta dei giardini di Babur, fatti costruire dal fondatore della dinastia Moghul all’inizio del sedicesimo secolo. «Conosco la nostra tradizione poetica, ho studiato i poeti Rumi e Firdousi, ma non credevo che avessimo dei pittori così bravi. È incredibile!», dice entusiasta Fatima mentre le amiche scattano selfie.

Alle loro spalle, le riproduzioni dei capolavori dell’arte pittorica islamica, quella timuride del sedicesimo secolo, quella safavide del successivo. Settantadue riproduzioni di miniature raccolte dallo studioso Michael Barry nei musei e nelle collezioni private di tutto il mondo, dal Canada all’Europa, dagli Stati Uniti alla Turchia, dall’India all’Egitto e restituite in una mostra all’attenzione degli afghani.

Promossa dall’American Institute of Afghanistan Studies con il comune di Kabul e l’ambasciata statunitense, l’esposizione a Bagh-e-Babur, che è stata visibile fino alla fine di giugno, rievoca un periodo glorioso: quando Herat, capitale dell’impero timuride, era la Firenze dell’arte islamica, mentre dal forte di Bala Hissar di Kabul ancora riecheggiavano le parole del futuro imperatore dell’India, Babur: «Questa cittadella è insieme montagna, mare, città e deserto.

Bere vino all’interno di queste mura è una delle cose più belle che mi sia mai capitata». Una vera e propria età dell’oro.

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SULTAN E HALIMA, COSTRETTI A FUGGIRE DAL GIRO DI VITE DEL VIMINALE.

Il Manifesto – 18 luglio 2018, di Francesco Marchi

downloadIl biglietto era già pronto. Solo andata per due persone, destinazione Norvegia. Quando il 5 luglio scorso sono stati convocati in questura a Belluno dove gli hanno notificato l’ordine di espulsione nel Paese scandinavo, per Sultan, 35 anni, e sua moglie Halima, 23, si è improvvisamente infranto il sogno di poter vivere liberi in Italia ed è ricominciato l’incubo di una vita da profughi.

Sarà un caso, ma la notifica della loro imminente espulsione è arrivata lo stesso giorno in cui il ministro degli Interni Salvini ha inviato la circolare in cui si chiede ai prefetti di stringere tempi e maglie per il riconoscimento delle protezioni internazionali. «Da quel momento non sono più riuscito a dormire e Halima non fa che piangere», racconta Sultan. È allora che i due giovani afghani hanno deciso di ricominciare a fuggire. Anche dall’Italia.

In Afghanistan i talebani hanno ucciso la prima moglie di Sultan minacciando di uccidere anche lui. Così dopo aver sposato Halima, Sultan ha deciso di scappare. Prima in Russia, poi da lì in Norvegia dove la coppia si è vista respingere la richiesta di asilo. Decisione che li ha spinti a venire in Italia dove, a Santo Stefano (Belluno), Sultan e Halima hanno trovato un lavoro e sono riusciti a integrarsi. «Tornare in Norvegia significherebbe essere espulsi verso la Russia e da lì in Afghanistan», racconta.

Come vivevate a Santo Stefano?
Molto bene. Per noi è stata come una seconda famiglia, anche grazie al sindaco che è stato gentile e disponibile. Non abbiamo avuto problemi e abbiamo iniziato a lavorare. Io in un supermercato con un contratto regolare e mia moglie presso la cooperativa Cadore che ci ospitava. Stavo anche frequentando una scuola di italiano e pensavamo di avere trovato finalmente un posto sicuro nel quale ricostruirci una vita.

 

Tutto bene fino al 5 luglio.
Esatto. Siamo andati in questura accompagnati dai responsabili della cooperativa Cadore e lì ci hanno comunicato che il provvedimento di espulsione a carico mio e di mia moglie era pronto. Biglietto di sola andata per la Norvegia per domani.

Qual è stata la vostra reazione?
Non ho più dormito, e mia moglie da allora ha avuto momenti di sconforto profondo. Non vogliamo assolutamente tornare in Norvegia, è stata un’esperienza che non ci dimenticheremo mai. Siamo stati nel paese per circa 18 mesi, rimbalzati da un centro all’altro. All’inizio eravamo rinchiusi in un centro che era un ex carcere completamente isolati dalla comunità, il paese più vicino si trovava a 11 chilometri. La cosa peggiore è stato il rapporto con le autorità. Dopo aver fatto la domanda d’asilo non abbiamo mai incontrato gli enti preposti a valutare la nostra situazione. Tutti i colloqui sono avvenuti in maniera sbrigativa per telefono o via skype, così non siamo mai stati veramente ascoltati. Non potevamo uscire dai centri nei quali eravamo rinchiusi e abbiamo sofferto moltissimo.

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