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Autore: Anna Santarello

Afghanistan, oppio senza precedenti

ATS/ludoC 21 maggio 2018 rsi.ch

oppio afghanistan

La coltivazione del papavero da oppio ha raggiunto nel 2017 un livello record in Afghanistan coprendo, secondo le stime, 328’000 ettari: +63% rispetto ai 201’000 ettari del 2016.

L’aumento, rileva un rapporto diffuso lunedì dall’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine, significa ” aver prodotto lo scorso anno una quantità di eroina senza precedenti”.

Dal raccolto del 2017, aggiunge lo studio “si possono produrre fra 550 e 900 tonnellate di eroina adatta all’esportazione (con una purezza fra il 50 ed il 70%).

L’ONU sostiene poi che la produzione record di oppio ha portato in Afghanistan ad una rapida espansione dell’economia illegale nel 2017. Avendo un valore fra 4,1 e 6,6 miliardi di dollari, le esportazioni illegali di oppio possono aver rappresentato fra il 20 ed il 32% del PIL, contro il 7% delle esportazioni legali.

Una situazione, sottolineano le Nazioni Unite, che pone problemi anche ai paesi di transito e destinazione della droga, e che alimenta l’instabilità, le attività dell’insorgenza e le risorse dei gruppi terroristici.

Afrin all’ombra delle elezioni

Uikionlus 20 maggio 2018

afrinNell’ambito della decisione di Erdoğan di anticipare le elezioni in Turchia, si è parlato di un’istruzione ai media a lui vicini. Non è noto molto in proposito, ma sappiamo che ai media è stato suggerito di non diffondere notizie su Afrin che potrebbero indisporre i curdi.

I media vicini a Erdoğan seguono questo ordine. Da allora nei media leggiamo solo come i „compassionevoli soldati turchi e gli appartenenti all’ESL pronti al sacrificio, assistono le persone ad Afrin“. Non leggiamo niente sull’occupazione, sulla distruzione operata da membri dell’ESL, sui passaggi per la modifica della demografia o le 150.000 persone fuggite da Afrin che ora sono costrette a vivere a Tall Rifaat. In questi media si sente solo dello Stato turco pronto a dare aiuti, del suo caro presidente e del governo dell’AKP che vuole rendere Afrin un luogo che merita di essere vissuto.

Tutto questo è parte della guerra psicologica. Anche se a volte diventa evidente, come per esempio nella traduzione sbagliata del reportage di Veyis Ateş nel medium vicino al governo Habertürk1, sappiamo che questi media hanno esperienza nella conduzione di guerre psicologiche e svolgono il loro lavoro in modo coscienzioso. Ma gli eventi ad Afrin non sono come vengono rappresentati dai media dall’AKP. Tutto al contrario ad Afrin succede esattamente quello che è successo anche a Jarablus e Al-Bab, solo in modo molto più professionale e complessivo.

La Turchia che prima della sua occupazione ad Afrin ha occupato la regione di Jarablus, Azez, Mare fino a Al-Bab insieme al cosiddetto ESL, non ha lasciato incolume un singolo villaggio curdo e ha scacciato tutti gli oppositori curdi, turkmeni, armeni e arabi. Ha portato in questa regione l’ESL da tutta la Siria, le sue famiglie, siriani fuggiti in Turchia e propri sostenitori. Forse non è riuscita a turchizzare questa regione ma evidente l’ha “erdoganizzata‘ e ‚Akpizzata‘. Questa regione ora è piena di sostenitori dell’AKP e di Erdoğan. I pochi curdi e altri oppositori sono costretti a rimanere in silenzio.

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Curdi: storia di Nurcan, donna e giornalista perseguitata in Turchia.

Osservatorio Diritti, di Laura Filios, 18 maggio 2018

difensori dei diritti umani nurcan baysalDonna, curda e giornalista: è Nurcan Baysal la vincitrice del premio per i difensori dei diritti umani a rischio dell’ong Front Line Defenders. L’attivista racconta a Osservatorio Diritti la propria storia, fatta di persecuzioni da parte del regime di Erdogan per le denunce degli attacchi contro i curdi in Siria e altre violazioni dei diritti umani.

Essere curdi, donne e giornalisti nella Turchia di Erdogan può essere molto rischioso. Come dimostra la storia di Nurcan Baysal, che sta pagando sulla propria pelle questa condizione. E che, con il suo lavoro infaticabile, si è meritata il premio “globale” del Front Line Defenders Award for Human Rights Defenders at Risk, un riconoscimento assegnato proprio oggi dall’ong irlandese Front Line Defenders a cinque attivisti, associazioni e movimenti, uno per ciascuna regione del mondo.

Gli altri premiati dall’organizzazione non governativa sono Soni Sori (India), Lucha movement (Repubblica Democratica del Congo), La Resistencia Pacífica de la Microregión de Ixquisis (Guatemala) e Hassan Bouras (Algeria). Il premio è consegnato da Kate Gilmore, vice Alto Commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite.

Donna, attivista curda e giornalista in Turchia
Nurcan Baysal è l’emblema di vari settori della società turca, tutti allo stesso modo vulnerabili. È una donna in un mondo patriarcale. È curda, un gruppo altamente marginalizzato e percepito come “nemico”. Non è politicamente schierata, un atteggiamento super partes difficile da mantenere in una regione come il Kurdistan, dove il clima è altamente politicizzato.

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Afghanistan, dove la violenza sui minori è una “tradizione”

Voci Globali di Tiziana Carmelitano – 18 maggio 2018

bacha buzi 1024x490Pensare che gli abusi sessuali sui bambini possano essere considerati parte integrante di un sistema sociale, è davvero difficile da credere. Eppure, in Afghanistan, la pratica del Bacha Bazi è stata per decenni giustificata in ragione di un’antica tradizione culturale, secondo cui “le donne servono per fare i figli, i ragazzi per il piacere”. Solo di recente, il Parlamento ha introdotto, nell’ambito del proprio ordinamento giuridico, una norma volta a vietare espressamente questa grave forma di sfruttamento sessuale minorile.

I Bacha Bazi, letteralmente “ragazzi per gioco”, sono bambini obbligati a esibirsi con abiti femminili in balli e canti erotici per il piacere dei ricchi signori della guerra. Al termine dell’esibizione – che di solito si svolge nel corso di feste private a cui partecipano solo uomini – vengono costretti a soddisfare i più bassi istinti sessuali dei propri “padroni” e dei loro amici. Non hanno alcuna possibilità di ribellarsi: un rifiuto equivale a stupri (anche di gruppo), pestaggi e nei casi più estremi la morte.

I Bacha Baz, ovvero gli autori degli abusi, scelgono, quali vittime sessuali, bambini di bell’aspetto tra i 9 e i 14 anni. Li rapiscono, li sottraggono alle loro famiglie d’origine dietro compenso economico oppure li prelevano dalla strada e dagli orfanotrofi con la promessa di un futuro migliore. E invece, questi innocenti si troveranno a vivere un inferno destinato a protrarsi per anni, almeno fino alla maggiore età, subendo ogni possibile maltrattamento in una condizione di completa schiavitù sessuale.

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Afghanistan: può la Cina portare stabilità a Kabul?

L’INDRO, DI CRISTIN CAPPELLETTI – 16 MAGGIO 2018

3169207 e1526485098396 702x459Negli ultimi anni la Cina ha aumentato il suo impegno in Afghanistan. A spiegarci i motivi di tale scelta Raffaele Pantucci, ricercatore e analista presso RUSI.

Il ‘Grande Gioco’ afgano che non ha fine. L’Afghanistan, la Tomba degli Imperi, continua ad essere una delle pedine preferite sul tavolo di un gioco che va avanti da più di 40 anni. Gli attori non cambiano mai, o quasi. Stati Uniti, Nato, Talebani e Governo afgano continuano senza sorprese a tessere le fila di una lotta di poteri ed equilibri le cui vittime predilette rimangono i civili.

Secondo un rapporto delle Nazioni Unite il 2017 è stato uno degli anni più sanguinosi per la popolazione afgana dall’invasione americana del 2001, invasione che ha messo ‘fine’ al regime dei Talebani. 10.000 i civili uccisi o feriti dai raid americani e dagli attentati terroristici che continuano a diffondere paura e morte in un Paese che non riesce a trovare pace.

Due terzi delle vittime sono state causate da forze anti-governative, con i Talebani responsabili del 42% delle morti civili, lo Stato Islamico del 10% e un altro 13% di vittime civili sarebbe da attribuirsi ad elementi anti-governativi non identificati. Anche la coalizione internazionale e le forze governative sono responsabili, secondo l’indagine ONU, del 6% delle vittime colpite nel 2017, con 295 persone uccise, 336 ferite, dati che fanno segnare una crescita del 7% rispetto all’anno precedente.

Nel 2013 la Presidenza Obama aveva promesso il ritiro dall’Afghanistan, ma una volta giunto alla Casa Bianca, il Presidente americano Donald Trump ha annunciato nell’agosto del 2017 l’impiego di ulteriori 3.900 truppe americane aggiuntive, nonostante secondo il Pentagono quelle presenti sul territorio fossero già 11.000. Una mossa che ha aumentato la percezione di insicurezza e di continua militarizzazione del Paese.

Ma se gli Stati Uniti e la Nato, l’organizzazione in comando delle operazioni in Afghanistan, continuano a vacillare sul da farsi, negli ultimi anni un nuovo attore è entrato sulla scena afgana: la Cina. Pechino, dal 2013, ha significativamente aumentato il suo impegno nel Paese, spinto da impellenti necessità.

Nonostante la diffusa politica di non interventismo cinese in questioni di politica estera, la Cina sembra preoccupata dalla continua situazione di instabilità che affligge il vicino Afghanistan. Negli ultimi anni la Cina ha compiuto significativi sforzi nel tentare di risolvere la crisi afghana.

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L’assedio di Farah e l’angoscia afghana

Dal Blog di Enrico Campofreda – 17 maggio 2018

pakistan talibanL’assalto talebano nella città afghana di Farah, sul confine occidentale verso l’Iran, è l’ennesima prova di forza territoriale che le milizie talib ortodosse compiono contro governi centrale e locale. Rientra nelle cosiddette “offensive di primavera” che i turbanti compiono annualmente sin dal periodo in cui la presenza militare dell’Enduring Freedom era copiosa e diffusa in quattro quadranti d’intervento. All’epoca Farah era presidiata proprio dalle truppe italiane.

Ora non più. L’attacco, partito a inizio settimana, ha visto la partecipazione di duemila assalitori che inizialmente hanno avuto la meglio sulle truppe dell’esercito afghano lì dislocate, il governatore ha per l’ennesima volta chiesto rinforzi a Kabul, ma invano. I talib hanno occupato i suoi uffici e solo a quel punto si sono mosse delle forze speciali aviotrasportate dalla capitale. L’azione non si può definire una sorpresa poiché da tempo la città rientra fra i luoghi sensibili per simili operazioni che fungono anche da propaganda politico-militare. In più da circa due anni è in corso una competizione a distanza fra i talebani di Akundzaza della Shura di Quetta e i dissidenti che hanno creato il network dell’Isis afghano, forti soprattutto del supporto del gruppo denominato Islamic State Khorasan Province.

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Perché tanti afgani partono dall’Afghanistan

LeNius 1- 5 maggio 2018, di Matteo Margheri

donne afgane in un mercatoContinua il nostro viaggio per approfondire i contesti di partenza dei migranti e le ragioni per cui molte persone partono da determinati paesi e regioni, così come ci avete chiesto voi sulla nostra pagina Facebook. Oggi approfondiamo il perché dell’esodo afgano. Qui trovate invece gli altri contributi a cui abbiamo lavorato fino ad oggi su Nigeria, Salvador e Siria.

Afghanistan: le basi per orientarsi
Dopo il ritiro dei sovietici nel 1989, il Paese è rimasto sotto il controllo dei talebani, la più influente forza politica di ispirazione islamica che ha imposto la shari’a. Nel 2001, dopo l’attentato dell’11 settembre, gli USA invadono l’Afghanistan sotto l’operazione Enduring Freedom con l’obiettivo di rovesciare il regime talebano, estirpare la presenza di Al-Qaeda dal Paese e catturare Osama Bin-Laden.

Dopo due anni di conflitto e la fuga dei talebani ai confini del Paese, nel 2003 si tengono le prime elezioni democratiche vinte da Hamid Karzai. Pur avendo ritrovato una certa stabilità, gli scontri non si arrestano: le forze talebane rimaste si riorganizzano nel sud-est del Paese, sui monti al confine col Pakistan, ed entrano in aperto conflitto col governo appena insediatosi e con gli americani che ancora occupano il Paese.

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AFCECO – Campagna di donatori per corrispondenza

Matching Donor Campaign LogoLa campagna dura dal 1 MAGGIO 2018 al 30 giugno 2018. Le donazioni cliccare qui
Siamo lieti di annunciare che uno dei nostri amati sponsor, si è offerto di fare un’altra campagna per donatori per corrispondenza ed è disposto a corrispondere fino a 25.000$!

Questa campagna è parte dell’impegno a raccogliere fondi per i nostri orfanotrofi. Come sapete, le sponsorizzazioni individuali sono la principale fonte di reddito dell’AFCECO e, sfortunatamente, i nostri finanziamenti di sponsorizzazione sono meno della metà dei finanziamenti previsti. Pertanto, le campagne per donatori per corrispondenza sono un ottimo modo per aumentare i fondi mancanti al fine di continuare a gestire i nostri orfanotrofi. E quale altro modo per aiutare potrebbe essere migliore che raddoppiare il tuo influsso?

Con questa campagna per donatori per corrispondenza, raccoglieremo circa la metà del deficit per il 2018. Vi preghiamo di darci una mano a raccogliere 25.000$, così potremo raddoppiare a 50.000!

[Traduzione a cura di Giulia Giunta]

La manifestazione di Hambastagi condanna le infauste giornate del 27 aprile 1978 e del 28 aprile 1992.

Dal sito di Hambastagi – 26 aprile 2018

Kabul – 26 aprile 2018: Durante una manifestazione di protesta, i membri e i sostenitori del partito Hambastagi hanno condannato le infauste giornate del 27 aprile 1978 e del 28 aprile 1992 e le loro sanguinose conseguenze. Si era deciso di condannare queste giornate con una manifestazione di protesta che si sarebbe dovuta svolgere in una delle aree di Kabul dilaniate dalla guerra come Asamee Avenue o Old City, ma a causa delle restrizioni governative, siamo stati costretti a tenere la manifestazione in un parco.

I dimostranti portavano dei cartelli con le foto delle devastazioni e delle vittime degli ultimi quattro decenni, soprattutto della giornata del 27 aprile 1978. Sui cartelli si leggeva: 27 e 18 aprile: due giornate nazionali di lutto! La nostra gente dovrebbe perseguire i criminali del 27 e 28 aprile! Senza perseguire i criminali del 27 aprile 1978 e del 28 aprile 1992, l’Afghanistan non potrà mai vedere pace e prosperità!

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Donne e bambini: le vittime e le voci della speranza in Afghanistan.

Malalai Joya ha incontrato alcune classi di studenti dell’IIS Maxwell di Milano, questo il contributo di Gianluca Cilla.

Milano, 25 aprile 2018
22 Aprile, 69 morti. 27 Gennaio, 103 morti. 21 Gennaio, 22 morti.

foto bambini lavoro 150x150Questi dati per noi sono solo numeri, ma per qualcuno erano genitori, fratelli e figli. Erano persone che non avevano nulla a che fare con la guerra, con le insurrezioni, povera gente che si è ritrovata vittima di un conflitto di cui ormai si è persino perso lo scopo. Gli attentati sono solo uno dei tanti flagelli che rende l’Afghanistan una terra così martoriata. Dai talebani all’Isis, questo è un paese che non conosce pace da ormai quasi due decadi, come d’altronde la sua popolazione. Una popolazione che è ormai decimata, scoraggiata, avvilita e tradita, ma che non si arrende. Composta di lavoratori e sognatori, di ragazzi e ragazze che guardano ad un futuro migliore per la propria nazione, come Malalai Joya.

Eletta il 17 dicembre 2003 come membro dell’Assemblea Costituente afghana, non è stata in silenzio e ha denunciato, durante assemblea della Loya Jirga, la presenza di “signori e criminali di guerra” all’interno del governo Afghano. Il prezzo pagato da Malalai è stato non indifferente: è stata immeditatamente espulsa e la notte stessa ha subito il primo di una lunga serie di attentati. Eletta nuovamente, nel maggio 2007 è stata sospesa dal suo ruolo di membro del parlamento per ragioni analoghe. L’accaduto non l’ha fermata e diverse personalità politiche e culturali internazionali si sono schierate al suo fianco. Nel 2010 ha anche scritto “Finché avrò voce. La mia lotta contro i signori della guerra e l’oppressione delle donne afgane”.

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