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Autore: Anna Santarello

Malalai Joya: devo far conoscere la verità sull’Afghanistan e risvegliare la coscienza della gente

di Liane Arter – Anna Polo, Pressenza.com – 3 Maggio 2018

Quest’articolo è disponibile anche in: Inglese, Spagnolo

xmalalaiMalalai Joya è una politica, attivista e scrittrice afgana. Eletta come membro del Parlamento, il 17 dicembre 2003 ha denunciato nell’assemblea della Loya Jirga la presenza in parlamento di persone da lei definite “signori e criminali di guerra”; da allora ha subito attentati e minacce di morte, tanto che deve vivere in clandestinità e sotto scorta.

Nel maggio 2007 è stata sospesa dal suo ruolo di membro del parlamento per averlo definito uno zoo. La sua sospensione, a cui ha fatto appello successivamente, ha generato forti proteste a livello internazionale, tra le quali una dichiarazione firmata da scrittori e intellettuali quali Naomi Klein e Noam Chomsky e da parlamentari canadesi, tedeschi, inglesi, italiani e spagnoli.

Nel marzo e nell’aprile di quest’anno ha tenuto numerosi incontri in Germania e in Italia, dove è stata invitata dal festival Dedica e dal Cisda (Coordinamento Italiano di Sostegno alle Donne Afghane). Abbiamo potuto incontrarla a Milano pochi giorni prima del suo ritorno in Afghanistan.

Durante l’incontro al CAM Garibaldi di Milano, hai parlato spesso della necessità di smascherare la falsa democrazia portata dagli Stati Uniti in Afghanistan. Puoi spiegare meglio questo punto?

Questa democrazia è falsa perché gli afgani non hanno voce in capitolo sul modo in cui viene implementata, visto che ci è stata imposta. La “democrazia” degli americani non è stata solo un’invasione, ma anche una guerra di propaganda. Nessuna nazione può liberarne un’altra – dev’esserci l’auto-determinazione. Inoltre in questa falsa democrazia l’estremismo e gli estremisti sono ancora presenti, visto che il governo è controllato dai signori della guerra, che sono in pratica delle fotocopie dei Talebani. Controllano il paese limitando la libertà e indicendo elezioni fraudolente per dare l’impressione che questa sia una democrazia. L’Occidente ci crede, riconosce i capi dei signori della guerra, interagisce con loro e arriva a invitarli alle Nazioni Unite.

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Kabul, uccidere l’informazione

di Enrico Campofreda, Incertomondoncertomondo – 4 Maggio 2018

kabul 1Nei giorni scorsi l’attentato-trappola di Kabul (due esplosioni nello stesso luogo a distanza di venti minuti) ha privato l’opinione pubblica di nove cine e foto reporter, cronisti coraggiosi che con parole e immagini fissavano la crudelissima realtà d’un popolo da quarant’anni senza pace. Fra le vittime il veterano e artistico Shah Marai, che lavorava per France Presse, dove aveva iniziato come autista accompagnatore di fotografi e giornalisti già in epoca talebana, ed è diventato fotografo egli stesso durante l’occupazione statunitense dell’Enduring Freedom.

Un fotografo straordinario! Fissava scene capaci di raccontare non solo i drammi del conflitto, sapeva cogliere quegli attimi vitali che cercavano spazio in tanto orrore. Con lui piangiamo Ghazi Rasooli, Ali Rajabi, Mohammed Tokhi, Saleem Talash, Ali Saleemi. E ancora Mahram Durani, Abdullah Hananzai e Sabawoon Kakar. Quest’ultimo con un recente scatto a una madre che s’era presentata a una prova per l’ammissione universitaria col suo piccino ed era accovacciata dietro a una sedia a rispondere al test, aveva raggiunto notorietà sul web. Questo genere di cronisti sono pregiatissimi. Ci mostrano un ambiente ostile che mette a repentaglio la loro vita.

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HDP: Invito per missioni d’osservazione delle elezioni in Turchia

dal sito di UIKI – 2 Maggio 2018

hdp 599x275Le elezioni presidenziali e parlamentari in Turchia si terranno il 24 giugno 2018 in uno stato di emergenza e in un clima estremo di paura. Il presidente Erdoğan e i suoi alleati ultranazionalisti (Partito del Movimento Nazionalista – MHP) hanno deciso di tenere le elezioni 15 mesi prima del normale periodo elettorale (novembre 2019) tra crescente instabilità politica e problemi economici. Il risultato delle elezioni presidenziali non determinerà soltanto chi governerà il paese per 5 anni ma potrebbe distruggere irreversibilmente la sua vita democratica e il suo futuro politico.

Negli ultimi anni, specialmente dopo il tentativo di colpo di stato del luglio 2016, il partito al governo AKP ha devastato progressivamente le già deboli istituzioni democratiche del Paese andando verso un governo estremamente autoritario. Non ci sono separazioni di poteri o sistema giudiziario indipendente in Turchia. Il presidente Erdoğan è anche riuscito ad ottenere il controllo completo dei media. Inoltre, la coalizione AKP-MHP ha recentemente approvato una riforma con un emendamento della legge elettorale, legalizzando varie irregolarità e frodi nelle elezioni (vedere l’Appendice per dettagli).

Il presidente Erdoğan ha usato il colpo di stato come pretesto e opportunità per sopprimere tutti i settori della società che criticavano la sua politica e la sua campagna elettorale. Membri del Parlamento, sindaci curdi eletti, accademici, studenti, giornalisti, rappresentanti di ONG e sindacati, e molti altri, sono stati arrestati. Questa continua repressione ha colpito soprattutto il Partito Democratico dei Popoli HDP e la sua maggiore componente, il Partito Democratico delle Regioni, di cui migliaia di amministratori e iscritti sono stati incarcerati negli ultimi due anni. Nonostante queste pesanti circostanze, circa metà della popolazione turca ha osato mettersi contro il presidente Erdoğan dicendo “No” al referendum del 16 aprile 2017. Erdoğan ha vinto il referendum con un piccolo margine, e questo “successo” è stato possibile grazie a eclatanti violazioni della legge elettorale, estreme pressioni sull’opposizione, e irregolarità e frodi molto diffuse, documentate dalle missioni di osservazione elettorale dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio Europeo (PACE) e dell’Organizzazione di Sicurezza e Cooperazione in Europa (OSCE). Con i recenti emendamenti della legge elettorale, l’AKP ha legalizzato le pratiche discusse durante il referendum, come contare come voti validi voti espressi su schede non chiuse. Nessuno si aspetta elezioni libere e giuste nello stato d’emergenza.

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Afghanistan, emergenza siccità: 2 milioni a rischio malnutrizione

Corriere Nazionale – 25/4/2018

siccita afghanistan unicef 300x209In Afghanistan è emergenza siccità dopo che l’inverno estremamente asciutto ha colpito 22 province e minaccia ora di avere un impatto negativo sulla vita di un milione di persone, mentre altre due milioni potrebbero sentirne gli effetti nei prossimi mesi.

“L’impatto della siccità in Afghanistan non potrebbe verificarsi in un momento peggiore, poiché i casi di malnutrizione acuta grave – malnutrizione stagionale – aumentano in media ogni anno di circa il 25% nei mesi estivi. Circa 1,6 milioni di bambini e 443.000 donne in gravidanza e allattamento soffrono di malnutrizione in tutto l’Afghanistan” spiega l’UNICEF.

L’insicurezza alimentare e il ridotto accesso all’acqua potabile stanno cominciando a far sentire i loro effetti nelle 10 province afghane più colpite, dove il 20-30% delle fonti d’acqua sarebbe arido. L’impatto sui bambini potrebbe essere devastante, dato che in queste aree esistono già alti tassi di malnutrizione. Senza cibo nutriente adeguato e acqua sicura da bere, così come per le condizioni igienico-sanitarie, la salute della popolazione non potrà che peggiorare.

“La priorità è prevenire il deterioramento della situazione, rispondendo ai bisogni dei bambini e delle famiglie nelle zone più colpite”, ha dichiarato Adele Khodr, rappresentante UNICEF in Afghanistan. “I bambini di tutto il Paese si trovano già ad affrontare numerose sfide e ora devono far fronte a quest’ultima minaccia per la loro vita”, ha aggiunto Khodr.

“Prevenire la malnutrizione è già una priorità in Afghanistan. Dobbiamo fare in modo che le famiglie abbiano accesso al cibo nutriente, all’acqua potabile e ai servizi sanitari di cui hanno bisogno. L’impatto della malnutrizione può durare per tutta la vita, e per questo è fondamentale identificare e trattare ora i casi a rischio”, ha aggiunto Khodr.

Il governo della Repubblica islamica dell’Afghanistan ha istituito una task force di emergenza siccità per coordinare e allineare la risposta in tutti i settori, tra cui istruzione, nutrizione, acqua, servizi igienico-sanitari, sicurezza alimentare e agricoltura.

L’UNICEF e i partner del cluster nutrizione stimano che sia necessaria un’assistenza nutrizionale d’emergenza per 92.000 bambini e 8.500 donne in gravidanza e allattamento. Le stime dell’UNICEF mostrano inoltre che, tra luglio e dicembre 2018, circa 121.000 bambini gravemente malnutriti di età inferiore a cinque anni e 33.000 donne in gravidanza e allattamento potrebbero aver bisogno di servizi nutrizionali salvavita.

Il gruppo di lavoro guidato dall’UNICEF che si occupa di acqua e servizi igienico-sanitari (WASH) ha indicato che circa 875.000 persone potrebbero aver bisogno di assistenza nei prossimi 3-6 mesi. L’UNICEF e i partner stanno intensificando le loro attività per rispondere all’emergenza nutrizionale e alle esigenze per il WASH.

Si stima che 100 famiglie del distretto di Bala Murghab, a Badghis, siano state costrette a trasferirsi ad Herat per trovare un lavoro alternativo a causa del fallimento delle coltivazioni e per accedere all’acqua potabile. La situazione è ulteriormente complicata, a causa dell’escalation del conflitto che spesso si verifica in questo periodo dell’anno, che porta a un aumento degli sfollamenti e a una riduzione dell’accesso per gli operatori umanitari.

 Tra le province colpite, Bagdhish, Bamyan, Daykundi, Ghor, Helmand, Kandahar, Jawzjan, Nangarhar, Nimroz, Nuristan, Takhar e Uruzgan presentano priorità critiche per quanto concerne la nutrizione, l’acqua e l’assistenza igienico-sanitaria.

 In tredici province, su un totale di 34, si sono verificate meno del 30% delle precipitazioni medie annue nel periodo ottobre 2017 – fine febbraio 2018.

 

Stragi afghane, i timori sulla via della seta

Blog di E. Campofreda – 24/4/2018

Taliban in posa 300x225Le elezioni politiche afghane previste per il prossimo 20 ottobre, contro cui si scaglia la nuova ondata di terrore del Daesh asiatico, hanno in quest’ultimo un acerrimo nemico, ma anche altri osservatori. Innanzitutto i taliban che su tale terreno non sembrano impegnati ad assediare il presidente Ghani. Perché con lui hanno aperta una schizofrenica e defatigante altalena di trattative cui seguono periodicamente anche azioni armate, rivolte prevalentemente su obiettivi militari e simbolicamente politici.

Certo, talvolta ci scappano tante vittime civili, ma ovviamente non è questo che preoccupa i talib. Costoro nei mesi scorsi, e probabilmente continueranno, hanno ingaggiato con lo Stato Islamico del Khorasan (una delle sigle sotto cui i miliziani dissidenti si sono riuniti) un confronto all’ultimo morto per vari motivi.

Primo: controllare un numero crescente di province e con esse le popolazioni che le abitano. Secondo: dimostrare la propria efficienza militare, che però non risulta così forte da assumere il controllo dell’intero Paese come nel 1996. Terzo: non perdere la supremazia nel ruolo di resistenza primaria all’occupazione occidentale e ai suoi governi fantoccio. Però gli stessi turbanti ortodossi manifestano due tendenze verso la nazione che più d’ogni altro li foraggia, il Pakistan, e verso certi suoi settori, l’Inter-Services Intelligence.

I talib afghani hanno buoni rapporti col governo di Islamabad, quelli d’origine pakistana li hanno pessimi sino a giungere allo scontro aperto con gli apparati della repressione, soprattutto l’esercito. Vari governi, dai tempi del generale islamista Zia Ul-Haq, passando per Masharraf e Sharif, utilizzano gli “studenti coranici” in armi come forza eversiva per la propria penetrazione in Afghanistan all’interno di un mai celato disegno egemonico nella regione. Ma il caos afghano, incentivato nell’ultimo anno da altri eventi mediorientali come l’evaporazione del progetto del Califfato sui territori iracheno e siriano, aumenta l’attenzione sull’insicurezza di quel Paese per altri soggetti impegnati in loco. Si tratta delle aziende interessate al sottosuolo, il terzo polo d’attrazione del Paese dell’Hindu Kush dopo basi militari e business dell’oppio.

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Afghanistan, ordinaria morte esplosiva

Blog E. Campofreda – 22/4/2018

kabul balastt 300x225Le urla strazianti dei familiari delle ultime 48 vittime della comunità hazara di Kabul si levano davanti a un centro elettorale sito in un edificio adibito a scuola di Dasht-e Barchi, area occidentale della capitale. È una zona già squarciata da bombe e dolore, davanti alla moschea nel mese di febbraio erano stati allineati ventisei cadaveri. Oggi, in una domenica di sole, i marciapiedi prospicenti l’ufficio, dove ci si registrava per le elezioni programmate in autunno, sono nuovamente un lago di sangue.

Le immagini diffuse dal luogo dell’attentato mostrano fototessere e scarpe, forse gli unici segni con cui risalire all’identità di alcune vittime dilaniate dall’esplosione provocata da un kamikaze. È lo Stato Islamico, come in altre recenti occasioni a rivendicare l’agguato, lanciato innanzitutto contro i kabulioti, per intimorirli, piegarli, prostrarli. Lanciato contro l’etnìa hazara di fede sciita, dunque secondo i dettami del fanatismo wahhabita di cui si nutre il Daesh, nel piccolo come grande Medio Oriente, contro infedeli da sterminare. Un attacco che diffondendo morte e paura si scaglia anche sull’amministrazione Ghani, che cerca legittimazione e conferma dalle urne, mentre appare incapace di governare alcunché.

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Afghanistan, l’ombra dell’Isis sul voto: kamikaze a Kabul e Baghlan, 60 morti.

Il Fatto Quotidiano – 22 aprile 2018

attentatoLo Stato islamico ha rivendicato la responsabilità nell’attacco avvenuto in un quartiere sciita della capitale con un comunicato inviato all’agenzia di stampa Amaq. Una seconda esplosione è avvenuta in un centro elettorale di Pul-e-Khumri City, capoluogo della provincia settentrionale.

Un duplice attentato colpisce l’Afghanistan che si prepara alle elezioni del 20 ottobre. A Kabul un kamikaze si è fatto esplodere tra la folla riunita fuori da una scuola femminile adibita a centro per la registrazione degli elettori. Il portavoce del ministero degli Interni, Najib Danish, ha riferito che il kamikaze, a piedi, con indosso un giubbetto esplosivo, si è fatto saltare in aria fuori dall’istituto, situato in un distretto a maggioranza sciita nella zona ovest della città. Il ministro della Sanità, Wahid Majroh ha fatto sapere che l’esplosione ha ucciso almeno 57 persone e ne ha ferite 120. Lo Stato islamico ha rivendicato la responsabilità nell’attacco con un comunicato inviato all’agenzia di stampa Amaq.

L’assalto alimenta le crescenti preoccupazioni sulla sicurezza per il voto di ottobre, che è considerato un test in vista delle presidenziali del 2019. Molti cittadini si erano recati nell’istituto per ottenere i certificati nazionali di identificazione, necessari a iscriversi per votare. Le registrazioni degli elettori sono cominciate lo scorso 14 aprile sotto rigide misure di sicurezza: polizia ed esercito sono incaricati di pattugliare i centri elettorali.

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Ultimi incontri con Malalai Joya

foto Joya123 aprile 2018 – Torino ore 18,30
Làadan, Centro Culturale Sociale delle Donne, Sala Ronco, – Via Vanchiglia 3
Incontro con con Malalai Joya
Organizza Casa delle donne di Torino e CISDA
Coordina Anna Santarello
Traduce Isabella Bruschi

24 aprile 2018 – Firenze ore 17,30
Circolo Arci Isolotto, C.so Maccari 104
Afghanistan. Donne che r-esistono
Organizza Libere Tutte e Circolo Arci Isolotto
Con Malalai Joya partecipa Cristina Cella autrice di “Sotto un cielo di stoffa, Avvocate a Kabul”
Coordina Luisa Petrucci, Libere Tutte
Traduce Debora Picchi, Libere Tutte

24 aprile 2018 – Firenze ore 21,00
CDP Il Progresso, Via Vittorio Emanuele II, 135
Democrazia e pace. Incontro con Malalai Joya
Organizza Partito della Rifondazione Comunista Federazione di Firenze
Introduce Anna Picciolini, Libere Tutte
Traduce Debora Picchi
Partecipa Manuela Ciriello

28 aprile 2018- Osnago ore 18,30
Arci La, Lo; Co, Via Trieste 23
Una donna tra i signori della guerra
Arci La, Lo; Co.
Malalai Joya sarà accompagnata dal CISDA (Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane). Zafferano coltivato da 12 Donne di Herat, progetto promosso dal CISDA.

 

Turchia arrestato un altro deputato curdo dell’HDP Osman Baydemir

Notizie Geopoliche – 20 aprile 2018, di Shorsh Surme

Osman BaydemirIl parlamento turco ha ritirato l’immunità parlamentare a Osman Baydemir, un importante esponente politico del Partito Democratico di Popoli (Hdp) .
Baydemir è stato condannato da un tribunale turco con l’accusa di aver apostrofato tre ufficiali di polizia “fascisti” quando era ancora sindaco di Diyarbekir, capitale del Kurdistan della Turchia ( Nord Kurdistan). 
Il deputato è solo l’ultimo dell’insieme dei politici curdi verso cui il governo del sultano turco Recep Tayyp Erdogan continua a dare giri di vite, tanto che dal 2016 ha fatto arrestare una dozzina di parlamentari tra cui l’ex presidente dell’Hdp Selahattin Demirtas, nonché oltre 60 sindaci e migliaia di simpatizzanti del partito

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Joya: «In Afghanistan la pace Usa è la guerra»

Il Manifesto – 20 aprile 2018, intervista di Giuliana Sgrena

malalai joya bn Forze occupanti, taleban, signori della guerra, Isis: il popolo afghano combatte quattro nemici in un conflitto tenuto vivo dagli interessi occidentali, racconta al manifesto l’attivista Malalai Joya. «La violenza contro le donne aumenta: spose bambine, matrimoni forzati, stupri, acido in faccia alle ragazze, frustate, lapidazioni, perpetrati ogni giorno»
Malalai Joya è impegnata in un lungo tour in Europa per spiegare la situazione dell’Afghanistan. Numerose le tappe italiane. La incontriamo durante il suo appuntamento romano, organizzato dalla Comunità di San Paolo, dal Cisda (Comitato italiano di solidarietà con le donne afghane) e dalla Sosta (associazione di sostegno dei profughi afghani).

Sono passati più di sedici anni dall’inizio dell’intervento occidentale che doveva liberare il paese dai taleban, qual è la situazione?
Vengo da un paese ferito, dove la vita della popolazione è in pericolo a causa delle bombe, l’uso di droni, attacchi suicidi, pubbliche esecuzioni, rapimenti, stupri collettivi, tra_co di droga e tossicodipendenza.
La corruzione è spaventosa e le violazioni dei diritti umani minacciano la vita di ogni giorno. La cosiddetta «guerra al terrorismo» portata avanti per 17 anni dalla coalizione occidentale (Usa e Nato) è costata oltre 100 miliardi di dollari, ma il nostro paese è in testa alle classifiche per i disastri di guerra, produzione di droga, corruzione, analfabetismo e traumi causati dal conflitto. Il genocidio che continua in Afghanistan non è meno brutale di quello dei tempi dei taleban. L’occupazione ha solo peggiorato i nostri problemi. Prima la gente veniva a Kabul perché era più sicura per la presenza di ingenti forze militari, ma ora ci sono continui attacchi suicidi anche nelle cosiddette aree sicure, questo vuol dire che anche il governo è complice, altrimenti questo non sarebbe possibile. Inoltre milioni di afghani sono senza lavoro, secondo un recente rapporto dell’Undp più di 13 milioni di persone rischiano di morire di fame.

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