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Autore: Anna Santarello

L’amministrazione Autonoma chiede una inziativa contro gli attacchi della Turchia contro i civili nel nord-est della Siria

UIKI Onlus, 24 novembre 2023  anaes 800x445

L’Amministrazione Autonoma della Siria settentrionale e orientale chiede un intervento immediato contro gli attacchi della Turchia contro la popolazione civile nel nord della Siria, che violano il diritto internazionale.

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Comunicato del KJK in occasione del 25 novembre

Rete Jin, 25 novembre 2023  KJK 25novembre

La Comunità delle donne del Kurdistan (KJK) ha rilasciato una dichiarazione in occasione del 25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Nella dichiarazione l’organizzazione ombrello delle donne curde ha analizzato gli sviluppi internazionali e la situazione nelle quattro parti del Kurdistan.

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Condanna di ogni forma di violenza contro le donne iraniane e afghane e sostegno alle loro lotte. Ordine del giorno Comune di Fano

donne_e_talebani_copy_copy.jpg“Spesso ci chiudiamo nei nostri piccoli mondi, invece, anche in questo momento, il mondo intero ci dimostra che questo non è più possibile, la nostra vecchia Europa ho bisogno delle menti migliori che arrivano da ogni luogo del mondo e certamente le donne iraniane e le donne afghane sono un esempio da prendere in considerazione in ogni momento e se ne vanno in strada sapendo di poter morire cinque o sei per protestare, devono avere tutto il nostro sostegno”

Comune di Fano: Ordine del giorno presentato dalle Consigliere delle Donne Elette Cecchetelli, Tarsi, Luzi, Giacomini. Il 18 ottobre 2023 l’Ordine del giorno è stato approvato all’unanimità.

In allegato l’Estratto del Verbale del Consiglio Comunale di Fano 

Dalla parte delle donne afghane. E non solo il 25 novembre

Altreconomia, 24 novembre 2023 

Il Coordinamento italiano a soAE 23 novembre 23stegno delle donne afghane (Cisda), Large Movements e Altreconomia hanno inviato la petizione pubblica “Stand Up With Afghan Women” all’attenzione delle istituzioni italiane ed europee. Obiettivo: ottenere un intervento concreto a favore delle forze democratiche afghane e a tutela dei diritti.

In occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne del 25 novembre il Coordinamento italiano a sostegno delle donne afghane (Cisda), Large Movements  e Altreconomia, insieme alle organizzazioni afghane Revolutionary association of the women of afghanistan (Rawa) e Hambastagi (Partito della solidarietà) hanno deciso di inviare all’attenzione delle istituzioni italiane, europee e internazionali la petizione “Stand Up With Afghan Women”. Il testo -che ha raccolto le adesioni di oltre 4.300 cittadini italiani e non solo- era stato lanciato un anno dopo il drammatico ritiro del 15 agosto 2021 delle truppe occidentali dall’Afghanistan, seguito all’Accordo di Doha tra Stati Uniti e Talebani, ed è una prima tappa della campagna di mobilitazione che vede coinvolte sugli stessi obiettivi 92 organizzazioni italiane ed europee insieme alle due realtà afghane.

Oltre ai singoli cittadini e alle organizzazioni della società civile, anche diverse istituzioni hanno manifestato direttamente il proprio sostegno alla campagna e alla petizione attraverso l’approvazione di mozioni ad hoc. Tra queste, la commissione Pari opportunità del Comune di Imola, i Comuni di Modena, L’Aquila e Fano; mentre altri enti come la Regione Toscana, la Provincia di Siena e il Comune di Cesena, hanno espresso la loro solidarietà in diverse forme.

Quattro le richieste contenute nella petizione che, alla luce degli ultimi sviluppi politici e non solo, risultano ancora più urgenti.

La prima riguarda il non riconoscimento del governo dei Talebani. “Malgrado le rassicurazioni formali da parte dei governi e delle istituzioni internazionali -affermano le realtà promotrici dell’iniziativa- assistiamo a un riconoscimento strisciante del governo di fatto che si traduce in supporto finanziario, attraverso rapporti bilaterali e contratti economici”.

Ad oggi, infatti, a Kabul sono presenti le rappresentanze diplomatiche di ben 15 Paesi (tra cui Cina, India, Russia, Pakistan, Qatar, Arabia Saudita e Turchia) mentre gli Stati Uniti sono attivi in Afghanistan attraverso l’Usaid, l’agenzia federale per lo sviluppo, che ha investito 825,9 milioni di dollari solo nel 2023. A questi fondi si aggiungono quelli messi a disposizione dall’Unione europea (60 milioni nel novembre 2023 oltre ai 94 già stanziati nel corso dell’anno) per l’assistenza umanitaria. Infine, le Nazioni Unite hanno lanciato una richiesta agli Stati membri per 4,62 miliardi di dollari per prestare assistenza a circa 23,7 milioni di afghani all’interno del Paese (un simile appello per il 2022 era stato finanziato solo per il 52%, con 321 milioni di dollari ricevuti a fronte dei 623 milioni richiesti)

“Si tratta di cifre ingenti benché insufficienti di fronte alla gravità della catastrofe umanitaria -sottolineano i promotori della petizione-. Ma la corruzione a tutti i livelli, carattere distintivo dell’epoca di occupazione Nato, si è perpetuata anche nell’era talebana. Alla popolazione arrivano ancora una volta le briciole, mentre la mancata costruzione di infrastrutture essenziali durante i 20 anni di occupazione occidentale vanifica ogni soccorso. Oltre a intascare la gran parte degli aiuti, il governo talebano investe le risorse nel potenziamento del proprio apparato repressivo, ai danni della popolazione che dovrebbe assistere”.

La seconda richiesta della petizione riguarda l’autodeterminazione del popolo afghano. La cancellazione dello Stato di diritto, la negazione di ogni forma di partecipazione democratica, la violazione sistematica dei diritti umani, l’apartheid di genere ai danni delle donne e delle ragazze “rendono estremamente rischiosa ogni attività sociale e politica da parte dell’opposizione civile all’interno del Paese”. Una situazione a cui si aggiunge l’ingerenza negli affari interni da parte di potenze regionali e globali che sostengono le diverse fazioni fondamentaliste (all’interno o all’esterno della galassia talebana) per perseguire i propri scopi. A fronte di questa situazione, che allontana la possibilità per le organizzazioni democratiche di giocare un ruolo attraverso la politica, i promotori della petizione chiedono che gli Stati che sostengono milizie talebane o altri gruppi terroristici vengano sottoposti a sanzioni.

Da qui deriva la terza richiesta: il riconoscimento politico delle forze afghane progressiste. “Rawa e Hambastagi, che sostengono i diritti e le donne quali parte attiva della società, devono essere riconosciute interlocutori politici dall’Unione europea e dai governi -si legge nel comunicato-. Le organizzazioni non armate continuano a operare in clandestinità e il fatto che vengano sistematicamente ignorate dalle istituzioni internazionali le rende più vulnerabili”. Si tratta di quelle realtà attorno alle quali gravita -pur tra mille difficoltà- una rete di attivisti per i diritti umani composta da organizzazioni prevalentemente femminili che operano in tutte le province afghane sviluppando progetti di resistenza civile: dalle scuole segrete al sostegno umanitario e sanitario”.

L’ultima, ma non meno importante richiesta riguarda il monitoraggio del rispetto dei diritti umani e l’istituzione di un organismo di inchiesta indipendente promosso dalle autorità europee in collaborazione con le agenzie delle Nazioni Unite, con la partecipazione di attiviste e attivisti per i diritti umani afghani e internazionali. “Vanno accertate le responsabilità in materia di violazione dei diritti umani e crimini contro l’umanità perché ogni violazione venga portata all’attenzione della Corte penale internazionale. In particolare, va perseguito con determinazione il reato di apartheid di genere”. Tra le violazioni dei diritti umani denunciate figurano anche l’espulsione forzata dei rifugiati afghani dal Pakistan, in atto da diverse settimane, e le inammissibili procedure da parte dei Paesi europei che impediscono con metodi violenti o burocratici l’accesso al diritto d’asilo a milioni di profughi.

“Dopo la consegna delle firme ai destinatari della petizione -concludono le realtà- la campagna resta attiva: un’inversione di tendenza in direzione dell’affermazione dei diritti universali, e delle donne in special modo, esige un impegno congiunto, solidale e duraturo. Per questo continueremo a coinvolgere la società civile, le forze sociali e politiche, e ad esercitare ogni pressione, richiamando con forza le istituzioni al loro ruolo di garanti dei diritti”.

Stand Up With Afghan Women. Invio Petizione

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 COMUNICATO, 23 novembre 2023

In occasione delle celebrazioni per la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, il 25 novembre 2023, il Coordinamento Italiano a Sostegno delle Donne Afghane (CISDA), Large Movements  Aps e AltrEconomia, insieme alle associazioni afghane Revolutionary Association of the Women of Afghanistan (RAWA) e Hambastagi (Partito della Solidarietà) inviano all’attenzione delle istituzioni italiane, europee e internazionali la petizione “Stand Up With Afghan Women”.

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AUMENTA LA VIOLENZA CONTRO LE DONNE AFGHANE ONLINE

Radio Bullets, 20 novembre 2023 

I social mediaimages_copy_copy_copy_copy_copy_copy_copy_copy_copy_copy_copy.jpg hanno fornito una piattaforma cruciale per le donne afghane dopo la presa del potere da parte dei talebani, ma una nuova indagine condotta da Afghan Witness rivela come coloro che osano parlare apertamente si trovano ad affrontare un fiume di abusi online. Gli impatti sono devastanti per la partecipazione politica delle donne, sia online che offline.

Dalla presa del potere in Afghanistan da parte dei talebani nell’agosto 2021, le donne afghane hanno dovuto affrontare gravi restrizioni ai loro diritti, dall’accesso all’istruzione e al lavoro alla libertà di movimento e di abbigliamento. Con le proteste di strada spesso represse, le piattaforme di social media come X, Istagram e Facebook, sono emerse come spazi sempre più vitali in cui le donne afghane possono esprimere le proprie opinioni, creare comunità e fare campagna per i propri diritti. Fondamentalmente, queste piattaforme hanno consentito ad attivisti e membri della società civile di comunicare le cause a un pubblico internazionale. 

Ma questi spazi digitali non sono esenti da rischi: l’aumento della difesa online delle donne, è accompagnato da un aumento di abusi e molestie online che stanno incidendo sulla partecipazione online delle donne e, peggio ancora, sulle loro vite. Questo è solo uno dei risultati di una recente indagine condotta da Afghan Witness (AW) sull’incitamento all’odio di genere online nei confronti delle donne afghane politicamente impegnate. 

Basandosi sulle competenze acquisite da ricerche simili in Myanmar, il team di AW ha raccolto e analizzato oltre 78.000 post scritti in Farsi/Dari e Pashto che avevano come target donne afghane politicamente impegnate tra il 1° giugno 2021 e il 31 dicembre 2021 e nello stesso periodo del 2022.  

Il team ha inoltre condotto interviste con donne afghane per ottenere una visione più approfondita della natura degli abusi online che subiscono e dell’impatto che sta avendo sulle loro vite. I risultati del rapporto rivelano come l’abuso online stia avendo un “effetto agghiacciante” sulla partecipazione online delle donne e abbia un impatto sulle donne “a livello personale, sociale e professionale”.

Il triplo di post offensivi 

L’indagine rivela un aumento sconcertante dell’odio online contro queste donne, citando un aumento del 217% – o il triplo – dei post contenenti termini di incitamento all’odio e abusi di genere e i nomi di importanti donne afghane nel periodo giugno-dicembre del 2021 e lo stesso periodo nel 2022. 

L’abuso è stato anche prevalentemente sessualizzato: gli investigatori hanno scoperto che oltre il 60% dei post nel 2022 conteneva termini sessualizzati usati per prendere di mira le donne afghane, con un aumento dell’11,09% in tali termini dal 2021 al 2022. Le donne afghane hanno rivelato agli investigatori come ricevano messaggi diretti inclusi contenuti pornografici, foto sessualmente esplicite e minacce di violenza sessuale, stupro e morte. 

Gli investigatori hanno notato come le donne siano spesso prese di mira con narrazioni di prostituzione e promiscuità, nonché accusate di essere “agenti dell’Occidente” o di inventare scuse per ottenere asilo all’estero. Gli abusi online “creano false narrazioni e mentalità” sulle donne politicamente impegnate, ha detto un’intervistata, aggiungendo: “Se sei una donna attiva e hai una presenza sui social media, sei vista come una prostituta”. 

Oltre agli abusi sessuali e di genere, l’indagine ha rivelato come le donne afghane politicamente impegnate siano state prese di mira con abusi religiosi, politici ed etnici. Gli investigatori hanno spesso riscontrato insulti etnici tra i commenti offensivi, nonché false affermazioni ed esempi di disinformazione di genere, diffusi con l’intento di umiliare, screditare e indebolire le donne. 

Sebbene gli investigatori abbiano identificato esempi di autori di reati provenienti da una vasta gamma di affiliazioni politiche, gruppi etnici e background, hanno scoperto che dietro i post offensivi c’erano spesso talebani e utenti filo-talebani dei social media di basso rango. Dopo il completamento del rapporto, AW ha scoperto anche esempi più recenti di ciò, come quando Tamana Paryani , attivista per i diritti delle donne afghane in esilio  – ora residente in Germania – è stata presa di mira con abusi online da account di social media apparentemente filo-talebani dopo aver organizzato uno sciopero della fame. chiedendo il riconoscimento dell’apartheid di genere in Afghanistan.  

Eventi offline che portano ad abusi online 

Un’analisi qualitativa approfondita dei dati ha portato gli investigatori a notare che i picchi di abusi corrispondono a diversi sviluppi politici ed eventi del mondo reale. L’analisi indica che prima e durante la presa del potere da parte dei talebani, i picchi nell’incitamento all’odio di genere hanno coinciso con i grandi progressi che i talebani stavano facendo nel paese, mentre i picchi durante la seconda metà del 2021 e del 2022 erano solitamente collegati alle restrizioni del gruppo sull’abbigliamento delle donne, sull’accesso ai vestiti e ai vestiti. Spazi pubblici e diritti educativi. Quando le donne afghane sono scese in strada per protestare per i loro diritti, gli investigatori hanno rilevato un aumento degli abusi online, di cui spesso le manifestanti e le attiviste sono gli obiettivi principali.

Questa associazione tra online e offline è vera anche per quanto riguarda l’impatto degli abusi online. Gli intervistati hanno affermato di sentire che i loro mondi online e offline sono intrecciati, e alcuni hanno detto ad AW di aver evitato le interazioni nella vita reale perché temevano che la loro sicurezza fisica fosse a rischio. Un intervistato ha detto agli investigatori: “Penso che l’odio che mostrano sui social media non differisca da quello che provano nella vita reale, e se ti affrontassero, mostrerebbero lo stesso odio”.

È stato riscontrato anche che l’abuso online ha un impatto sulle relazioni familiari delle donne, compreso il rafforzamento dell’autorità dei membri maschi della famiglia sul comportamento e sull’abbigliamento delle donne, con la preoccupazione che l’abuso online possa portare alla “violenza interfamiliare”. 

Questo abuso sta avendo un impatto devastante sulla salute mentale delle donne: le intervistate hanno affermato di aver provato paura, ansia, stress e bassa autostima dopo aver subito abusi online, con una donna che descrive tali messaggi come “psicologicamente traumatici”. Le donne hanno raccontato agli investigatori come si minimizzavano o si autocensuravano sui social media per ridurre il rischio di reazioni negative e commenti negativi. Per alcune donne, questo ha avuto conseguenze sulla loro vita professionale: ad esempio, una giornalista ha raccontato ad AW di aver dovuto chiudere alcuni dei suoi account sui social media e di aver smesso di leggere i commenti, con il risultato di avere un minore accesso alle fonti e alle informazioni online rispetto ai suoi colleghi maschi. 

Di chi è la colpa? 

Individuare la causa esatta dell’aumento dell’incitamento all’odio di genere contro le donne afghane è difficile, anche se probabilmente c’è una combinazione di fattori in gioco. Da quando sono tornati al potere, i talebani hanno gravemente ridotto i diritti e le libertà delle donne, probabilmente contribuendo a una cultura di impunità quando si tratta di violenza di genere, sia online che offline. Tuttavia, l’indagine rileva anche che anche prima della presa del potere da parte dei Talebani, gli autori di abusi online agivano impunemente poiché il precedente governo non disponeva di istituzioni e procedure per contrastare gli abusi online e la violenza contro le donne – in alcuni casi, le donne venivano addirittura ridicolizzate per aver denunciato alla polizia . 

Altri invece puntano il dito contro le società di social media. L’acquisizione di Twitter da parte di Elon Musk nel 2022 è stata controversa: Musk ha promesso di trasformare X (ex Twitter) in uno spazio sicuro dove le persone avrebbero potuto parlare liberamente, ma secondo l’indagine di AW, questa promozione della “libertà di parola”, ha significato che alcuni utenti sono diventati più inclini a diffondere discorsi di odio di genere e abusi contro le donne. I ricercatori che hanno esaminato altre forme di incitamento all’odio, come l’antisemitismo, sono giunti a risultati simili. L’indagine di AW rileva che, tuttavia, anche la scarsa moderazione potrebbe essere la causa: gli articoli  dei media  hanno dettagliato come la piattaforma si appoggi fortemente all’automazione per moderare i contenuti, con un’enfasi sulla “libertà di parola, non sulla libertà di portata”. Ciò significa che la piattaforma potrebbe non rimuovere i post che violano le politiche dell’azienda, ma semplicemente renderli più difficili da trovare. 

Verso il futuro

Per affrontare questo aumento degli abusi online, gli investigatori hanno organizzato un focus group con le donne intervistate per la ricerca. Un documento di raccomandazioni pubblicato insieme all’indagine offre diverse raccomandazioni per affrontare gli abusi online e l’incitamento all’odio di genere. Queste raccomandazioni includono ulteriori ricerche sulla violenza di genere online, una maggiore educazione e consapevolezza per rafforzare la sicurezza digitale delle donne e la creazione di una rete o alleanza in modo che le donne abbiano uno spazio sicuro per parlare delle loro esperienze di abuso online e possano collaborare a iniziative per promuovere un ambiente online più sano. 

Il documento evidenzia anche la necessità che le piattaforme di social media adottino maggiori misure per proteggere le donne online, sottolineando tuttavia che le piattaforme devono essere più reattive nell’affrontare l’incitamento all’odio e la più ampia cultura dell’impunità, nonché nel disattivare gli account abusivi. Il documento di raccomandazioni sottolinea inoltre la necessità che le piattaforme espandano le capacità quando si tratta di affrontare i punti ciechi linguistici, in modo che l’incitamento all’odio nelle lingue e nei dialetti regionali possa essere monitorato e affrontato in modo più efficiente. 

I risultati di AW segnalano la necessità di affrontare la violenza online contro le donne afghane. Senza cambiamenti, tali abusi rischiano di diventare un ostacolo ancora più grande alla partecipazione politica delle donne afghane e al loro impegno nella vita pubblica. Come rivelano le interviste condotte con le donne afghane, gli abusi che subiscono online hanno conseguenze offline: tale retorica aiuta a incoraggiare e normalizzare atteggiamenti violenti nei confronti delle donne, sia dietro uno schermo, sia nella vita reale. 

Pakistan-Afghanistan: l’ennesima tragedia umanitaria

ilcaffègeopolitico.net  DESIREE DI MARCO16 novembre 2023

In 3 sorsi – Sono quasi due milioni gli afghani che stanno vivendo sulla propria pelle espulsioni di massa dal Pakistan. Il 4 ottobre il Governo di Islamabad ha infatti dato un ultimatum a tutti gli afghani privi di documenti, invitandoli a lasciare il Paese entro il 31 ottobre, pena il carcere o la deportazione. 

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1. LE RELAZIONI TRA KABUL E ISLAMABAD

Per decenni il Pakistan è stata la metà per gli afghani in fuga dalla guerra. Il Pakistan accoglie circa 1,3 milioni di rifugiati, di cui il 99% sono afghani secondo l’ultimo report di UNCHR. Nel Paese a partire dagli anni Settanta è entrato 1 milione di afghani e i rapporti con le Autorità pakistane non sono mai stati del tutto semplici. Dal 2021, però, discriminazioni e violenze nei confronti degli afghani si sono intensificate e ora esacerbano le tese relazioni tra i due Paesi.  

Islamabad incolpa Kabul per una serie di attacchi terroristici al confine. L’ultimo, un attentato suicida nel distretto di Bajaur alla fine di luglio  che ha ucciso più di 54 persone, è stato rivendicato dallo Stato Islamico della Provincia di Khorasan (ISIS-K). La minaccia improvvisa di espulsione dei rifugiati afghani è arrivata dopo questo ultimo attacco, che però è stato imputato a Kabul. Le autorità pakistane hanno dichiarato che cittadini afghani sono stati coinvolti in 14 dei 24 attentati suicidi di quest’anno. Kabul respinge le accuse.

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2. LA NOTIFICA SUL BENESSERE PUBBLICO

Islamabad ha dato il via a demolizioni di case dove gli afghani vivevano con le loro famiglie. A Karachi, gli afghani che vivono da generazioni in un campo profughi, hanno denunciato settimane di arresti arbitrari ed estorsioni. Islamabad si giustifica sostenendo che l’espulsione di massa proteggerà il benessere pubblico e renderà il Paese più sicuro. Ma è molto più probabile che a guidare la mossa siano motivazioni di politica interna, come appunto il logoramento delle relazioni con l’Afghanistan.

In una notifica del Ministero degli Interni del 30 ottobre, il Governo pakistano ha ricordato il Piano di rimpatrio degli stranieri illegali, approvato il 21 settembre per il “rimpatrio di tutti gli stranieri illegali/non registrati”. Secondo l’emittente statale Radio Pakistan, è la prima volta nella storia del Paese che il Ministero degli Interni “ha dato istruzioni a tutte le province per espellere gli stranieri illegali in base alla legge sugli stranieri”.

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3. LE RIPERCUSSIONI PER IL GOVERNO TALEBANO

I funzionari delle Nazioni Unite avvertono che la deportazione di cittadini stranieri “privi di documenti” da parte del Pakistan rischia di innescare una catastrofe umanitaria.  L’Afghanistan guidato dai talebani non è pronto ad accogliere masse di rimpatriati, che vivranno in pieno la crisi umanitaria provocata dal terremoto: 15 milioni di persone sono in grave stato di insicurezza alimentare. Inoltre, Kabul deve far fronte a tagli sugli aiuti umanitari e a un minor numero di organizzazioni e associazioni che riescono ad operare in un contesto così difficile. Le autorità dal lato afghano del confine sono state sopraffatte dall’esodo di persone che vedono l’Afghanistan per la prima volta nella loro vita.

Nei pressi della frontiera a muovere le persone è la disperazione. Si dorme all’aperto con accesso limitato al cibo, acqua e medicinali. Il Governo ha istituito un’Alta Commissione per affrontare l’emergenza e ha dichiarato che saranno allestiti due campi profughi temporanei nell’area vicino al valico di frontiera di Torkham.

Il Ministero afghano dei Rifugiati ha dichiarato che intende registrare i rimpatriati e poi ospitarli in campi temporanei. L’amministrazione talebana ha promesso anche di trovare un lavoro a chi è sulla vita del ritorno. Secondo la Banca Mondiale, però, il tasso di disoccupazione si alzerà notevolmente alla fine del 2023 passando dal 13,1% nel 2021 al 20% .

“Siamo molto preoccupati per il fatto che coloro che vengono deportati devono affrontare tutta una serie di violazioni dei diritti umani, tra cui la tortura, l’arresto e la detenzione arbitrari, la grave discriminazione e la mancanza di accesso ai bisogni economici e sociali di base”, ha dichiarato Ravina Shamdasani, portavoce dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani.

Come spesso accade sono le donne le più colpite. A loro, oltre a tutto, viene anche vietata qualsiasi presenza pubblica nella società – dal posto di lavoro alle scuole. Si auspica una mobilitazione internazionale a sostegno di chi – contro la propria volontà – è costretto a tornare in una casa che, forse, non ha mai sentito tale.

Le Nazioni Unite confermano: i talebani vincono la guerra all’oppio

l’antidiplomatico 8 novembre 2023

“La produzione di papavero da oppio in Afghanistan è crollata da quando le autorità di fatto hanno imposto un divieto sulla droga lo scorso anno, rivelano nuovi dati dell’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (UNODC)”. Così sul sito ufficiale dell’Onu

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La guerra dell’oppio dei talebani

“Secondo il documento Afghanistan Opium Survey 2023, diffuso domenica dall’agenzia, la produzione di oppio è diminuita di circa il 95%, passando da 6.200 tonnellate nel 2022 a 333 tonnellate nel 2023; a ciò corrisponde una diminuzione della superficie coltivata [a papaveri], da 233.000 ettari a soli 10.800 ettari nello stesso periodo”.

“Si prevede che la contrazione quasi totale dell’economia degli oppiacei avrà conseguenze di vasta portata, come affermato dal documento UNODC, che sottolinea l’urgente necessità di un sostegno alternativo allo sviluppo per le comunità rurali, in modo da costruire un futuro senza oppio per il popolo afghano”.

“Tutto ciò rappresenta una reale opportunità per raggiungere risultati a lungo termine contro il mercato illecito dell’oppio e i danni che provoca sia a livello locale che globale”, ha affermato Ghada Waly, direttore esecutivo dell’UNODC.

“Allo stesso tempo, ci sono conseguenze e rischi importanti che devono essere affrontati perché il risultato sia del tutto positivo e sostenibile in via definitiva, soprattutto per il popolo afghano”, ha aggiunto.

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