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Autore: Anna Santarello

Afghanistan, bombardata una scuola. Testimoni accusano: “Strage di civili e bambini”

Fanpage.it, di Davide Falcioni, 3 aprile 2018

afghanistan unrest airstrike 300x225L’attacco è stato condotto dall’aviazione militare afghana: tra le vittime ci sarebbero molti bambini che stavano ritirando dei premi per meriti scolastici. Kabul però smentisce: “Abbiamo ucciso solo talebani”.

Decine di civili, molti dei quali bambini, sono stati uccisi in seguito a un attacco aereo condotto dall’aviazione militare afghana su una scuola religiosa nella provincia di Kunduz, a Dasht-et-Archi. Nel raid sono morte non meno di settanta persone: tra le vittime accertate anche alcuni capi talebani sui quali da mesi era stata aperta una vera e propria caccia all’uomo, circostanza confermata anche da Mohammad Radmanish, portavoce del ministero della Difesa, che al Al Jazeera ha rivendicato l’attacco aereo spiegando che era diretto a colpire i “massimi comandanti talebani”. “Il raid – ha spiegato il politico – ha ucciso più di trenta insorti, tra i quali nove figure apicali. Nel centro di addestramento bombardato non vi erano civili”.

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Compleanno amaro per Taibeh, con l’ansia di essere espulsa in Afghanistan

Corriere della sera Blog, Le persone e la dignità, di Riccardo Noury, 2 aprile 2018

norvegia abbasi 640x480Oggi Taibeh Abbasi compie 19 anni.

Nata in Iran da genitori afgani, nel 2012 ha cercato rifugio in Norvegia con la madre e i due fratelli.

Da allora ha frequentato la scuola con grande passione, diventando la beniamina del liceo Thora Storm di Trondheim. Ha coltivato, in questi sei anni, un grande sogno: diventare dottoressa.

Ma al posto di quel sogno si sta materializzando un incubo: il governo norvegese vuole rimandarla in Afghanistan – paese che Taibeh neanche conosce – sostenendo si tratti di un “paese sicuro”.

Un’affermazione del tutto infondata, a giudicare dagli attentati pressoché quotidiani nella capitale Kabul e altrove e dalla circostanza che negli ultimi due anni sono morti 20.000 civili.

Il coraggio di Taibeh, la solidarietà dei suoi compagni di classe, poi della scuola, poi di migliaia di cittadini norvegesi e non, hanno fatto luce su un fenomeno turpe che coinvolge molti paesi europei: il rimpatrio forzato di migliaia di afgani.

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Finita la resistenza dei curdi di Afrin, venduti da un occidente miope e vigliacco.

Rightis Reporter, di Franco Londei, 18 marzo 2018

afrin curdi fugaL’annuncio della conquista del centro di Afrin arriva da Sayf Abubakr, comandante della divisione al-Hamza, una delle maggiori milizie islamiche al soldo di Erdogan.

Solo fino a poco più di tre mesi fa la stampa mondiale era piena di articoli in cui si lodavano i valorosi combattenti curdi siriani e li si elevavano (giustamente) al ruolo di eroi, di salvatori del popolo siriano (non solo curdo) dai macellai dello Stato Islamico. Le cronache ci raccontavano di come, città dopo città, i curdi avanzano nel territorio di Daesh e lo liberavano dal crudele e sanguinario giogo islamico fino ad arrivare a Raqqa. Poi a sostituire Daesh venne Erdogan e calò il silenzio.

Erdogan, lo stesso che per anni ha fatto affari con lo Stato Islamico di Abu Bakr al-Baghdadi comprandogli il petrolio siriano e iracheno in cambio di armi, denaro e di un passaggio sicuro per i suoi terroristi, lo stesso Erdogan che pochi mesi prima si era inventato di sana pianta un golpe solo per trasformare la Turchia da un Paese laico in un califfato del quale lui sarebbe stato l’indiscusso califfo. Un Daesh con riconoscimento internazionale.

Poteva Erdogan sopportare che i curdi venissero considerati degli eroi? Poteva permettere che dopo il Kurdistan iracheno nascesse anche un Kurdistan siriano? Certo che no. E allora il nuovo califfo, il sostituto naturale di Abu Bakr al-Baghdadi, si inventa che i curdi siriani sono terroristi che minacciano la Turchia e addirittura il popolo siriano, quello stesso popolo che proprio i curdi hanno difeso a carissimo prezzo. E cosa si fa con i terroristi se non attaccarli?

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“La più grande balla del secolo”

salto.bz, Intervista di Sarah Franzosini. 2 aprile 2018

malalai joya rtr imgCosì definisce la cosiddetta guerra al terrorismo degli Usa in Afghanistan l’attivista ed ex parlamentare Malalai Joya. “L’istruzione è la chiave dell’emancipazione”.

“Stiamo piantando il seme del progresso in un Paese devastato da guerra e sangue, probabilmente noi non ne vedremo i frutti ma mi auguro che lo faranno le prossime generazioni”, è ottimista, malgrado tutto, Malalai Joya, l’attivista afghana espulsa dal Parlamento per aver accusato di crimini di guerra, in un’intervista, i colleghi seduti in assemblea. Era il 2003, Malalai aveva 25 anni. Da allora vive nella semi-clandestinità, sotto scorta a Kabul. Minacciata di morte, è scampata a molti attentati. Abbiamo intervistato l’ex parlamentare a Bolzano dove qualche giorno fa ha fatto tappa per partecipare a un convegno pubblico organizzato dall’Associazione popoli minacciati in collaborazione con il Centro per la Pace, dopo essere stata ricevuta in Comune dal sindaco Caramaschi e aver incontrato gli studenti del liceo Carducci e Pascoli per raccontare le conseguenze dell’occupazione da parte degli Stati Uniti e della Nato e della condizione ancora estremamente arretrata delle donne in Afghanistan.

salto.bz: Malalai Joya, il coraggio con cui ha tenuto testa ai “Signori della guerra” l’ha resa un esempio per molti, ma quanto le pesa sulle spalle questa responsabilità dopo tanti anni di impegno indefesso?
Malalai Joya: Devo dire che negli anni la mia determinazione è cresciuta molto. Credo molto nella solidarietà delle persone e nella democrazia come forza imprescindibile da contrapporre alla esecrabile condotta dei guerrafondai e questo mi sprona e rende ancora così forte questa responsabilità che sento per continuare a lottare insieme ai tanti attivisti (uomini e donne) afghani. Lo dico sempre: una nostra vittoria è una vittoria di tutti, dell’umanità.

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L’8 Marzo di Malalai in Germania a fianco delle donne Curde

Tratto da facebook di Malalai

Traduzione di Cristina Cangemi, Giulia Giunta, Ester Peruzzi, Dalila Scaglione e Sara Somaini

malalaiVorrei estendere i miei più sinceri ringraziamenti all’International Women Space per avermi invitato a partecipare a questa dimostrazione nella Giornata internazionale della donna e a portarvi il messaggio degli afghani sofferenti e oppressi, soprattutto le donne.

Vengo da un paese dilaniato e ferito dalla guerra chiamato Afghanistan, un paese dove gli uomini e le donne non hanno alcuna emancipazione e continuano a subire il fascismo di diversi tipi di fondamentalismo e l’occupazione da parte degli Stati Uniti e della NATO. Un paese dove le bombe, gli attacchi suicidi, gli attacchi di droni, le esecuzioni pubbliche, gli stupri di gruppo, il rapimento, la tossicodipendenza e il traffico di droga, la corruzione e un migliaio di altre tragedie minacciano la vita della popolazione ogni secondo.

A più di sedici anni dalla cosiddetta “liberazione delle donne afghane” da parte degli Stati Uniti e della NATO e dopo aver speso più di 100 miliardi di dollari, sfortunatamente il nostro paese occupa ancora la prima posizione nella lista dei paesi dilaniati dalla guerra, produttori di droga, corrotti, analfabeti, infelici e segnati dalla guerra. Il genocidio perpetrato nel nostro paese non è inferiore alla brutalità dell’era talebana.
Tuttora le principali vittime sono le donne afghane. La condizione delle donne in Afghanistan è tanto catastrofica quanto lo era durante il regime ignorante e misogino dei Talebani.
Forse vi è arrivata la scioccante notizia dell’uccisione della ventisettenne Farkhunda che è stata brutalmente picchiata a morte da un gruppo di criminali ignoranti e il suo corpo è stato bruciato in pubblico a solo un paio di chilometri dal palazzo presidenziale. Ciò ha dimostrato che le grandi affermazioni del governo statunitense e di quello occidentale, dei media e dei loro fantocci afghani sui diritti delle donne nel paese sono solo grandi bugie per fini propagandistici. Sfortunatamente assistiamo a uccisioni, stupri, lapidazioni a morte, tagli di orecchie e nasi, pestaggi pubblici di donne sia da parte dei talebani, signori della guerra locali e da parte dell’ISIS, flagellazione, perseguimento, tossicodipendenza, matrimoni forzati, spose bambine, attacchi con acidi a ragazze, violenza domestica, aggressioni a studentesse o avvelenamenti e altri crimini medievali contro le nostre donne avvengono ogni giorno.

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Nessun Rifugio in Afghanistan

da hrfw.org – 19 Marzo 2018

Il Governo afghano cerca di assumere il controllo dei Rifugi per le donne… di nuovo

201803asia afghanistan protest violence women farkhunda 1Membri delle organizzazioni della società civile intonano slogan durante una protesta per condannare l’uccisione della ventisettenne Farkhunda, avvenuta giovedì 24 marzo 2015. La donna è stata picchiata con dei bastoni e bruciata da un gruppo di uomini nel centro di Kabul, in pieno giorno.

© 2018 Reuters

Traduzione: Cristina Cangemi, Giulia Giunta, Ester Peruzzi, Dalila Scaglione, Sara Somaini.

Nel corso della loro vita, più di otto donne e ragazze afghane su dieci subiscono violenza domestica e altre forme di violenza. Prima del 2001 non avevano alcun posto in cui andare. Oggi ci sono alcuni porti sicuri: la piccola, ma disperatamente importante rete di rifugi per le donne del paese.

Ma questi rifugi ora sono sotto attacco del governo afghano e non è la prima volta. Il mese scorso, il Ministry of Women’s Affairs (MoWA) ha annunciato che avrebbe attuato diversi piani per ottenere il controllo dei fondi per i centri di accoglienza forniti da donatori stranieri e che avrebbe chiesto agli operatori dei rifugi di cercare i finanziamenti attraverso il ministero. Potrebbe sembrare un’iniziativa ragionevole: una caratteristica del governo del presidente Ashraf Ghani è stata spingere per un maggiore controllo del governo sui fondi dei donatori in nome della lotta alla corruzione.
Tuttavia, abbiamo già visto accadere cose simili.

Nel 2011, il MoWa aveva anche fatto pressioni per ottenere il controllo dei rifugi e si era comportato esattamente come ora, riferendosi a “problemi” nei centri di accoglienza e lasciando intendere, falsamente, che i rifugi siano dei bordelli. Ma queste bugie sono state diffuse per anni dagli oppositori dei diritti delle donne che credono che quest’ultime non debbano avere un rifugio sicuro dai mariti, non importa quanto violenti essi siano, e che un padre o un fratello debbano avere totale controllo sulla vita, o morte, di una donna.

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A Pordenone e Udine Malalai Joya, attivista afghana

Friulionline – 20 marzo 2018

malalai joyaPORDENONE. Malalai Joya, l’attivista afgana salita agli onori delle cronache nel 2003, quando, come delegata dell’assemblea del popolo, pronunciò un discorso con il quale osò apertamente sfidare i signori della guerra, sarà a Pordenone domani, mercoledì 21 marzo e a Udine giovedì 22 marzo, due date che sono la prestigiosa coda del festival Dedica ad Atiq Rahimi appena concluso.

A Pordenone Malalaj Joya, ospite dell’associazione Thesis, arriva anche grazie al sostegno della Bcc Pordenonese, che ha scelto di supportare questo evento in linea con l’impegno sociale e solidaristico che la contraddistingue. “Il rumore della speranza” è il titolo dell’incontro in programma alle 20.45 nell’auditorium della Regione (ingresso libero fino a esaurimento dei posti), dove Malalai Joya sarà intervistata dal giornalista Giuliano Battiston e dove riceverà un riconoscimento che le sarà tributato dalla presidente della Commissione per le Pari opportunità del Friuli Venezia Giulia, Annamaria Poggioli. Giovedì mattina Malalai Joya incontrerà inoltre 350 studenti nell’auditorium del liceo Grigoletti.

Sempre giovedì, a Udine, alle 20.45, nel Teatro San Giorgio, la Joya sarà al centro della conversazione “Finché avrò voce”, organizzata nell’ambito di Calendidonna in collaborazione fra Thesis e Vicino/Lontano e condotta dalla giornalista Marta Serafini.

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Decine di ragazze mancano da Afrin

ReteKurdistan -31 Marzo 2018

kadinlar 700x325Secondo quanto riferito da una madre, che nella Efrîn occupata è alla ricerca della sua figlia 14enne, dozzine di ragazze sono in prigionia turca. Evidentemente le giovani donne stanno subendo lo stesso destino delle donne di Şengal. Lo Stato turco e le sue milizie jihadiste a Efrîn commettono crimini di guerra contro donne e ragazze. Una madre che è alla ricerca della sua figlia 14enne, ha rivelato le atrocità: „Quello che è stato fatto a Şengal, si sta ripetendo qui. Tutto il mondo deve sapere che qui vengono commesse infamie.“

Gli attacchi di occupazione dello Stato turco e di annesse milizie IS/Al-Qaeda contro il cantone di Efrîn in Siria del nord sono in corso già da oltre due mesi. Con l’intenzione di creare una regione libera da curdi, gli attacchi genocidi proseguono in tutta la loro durezza anche dopo l’occupazione.

Con ogni giorno gli occupanti a Efrîn commettono nuovi crini contro l’umanità. Gli attaccanti turchi e le loro bande che saccheggiano le case degli abitanti di Efrîn, le bruciano, cercano di cancellare il ricordo del popolo curdo e giustiziano persone in mezzo alla strada, abusano anche delle donne. Così come Stato Islamico ha fatto in precedenza rapendo le donne di Şengal per stuprarle sistematicamente, le donne e le ragazze di Efrîn ora subiscono lo stesso martirio.

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