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Autore: Anna Santarello

Afrin deve seguire l’eroico esempio di Kobane!

dal sito di Hambastagi, 30 Gennaio 2018

Traduzione di Ester Peruzzi, Dalila Scaglione e Sara Somaini.

afrin kobani womenIl 20 gennaio 2018, il governo fascista turco ha continuato a perpetrare crimini annunciando ufficialmente che ha intenzione di attaccare Afrin per sconfiggere i “terroristi del PKK” e l’ISIS. Il governo criminale e dispotico sta cercando di deviare l’opinione pubblica nel paese e all’estero portando a far credere che l’ISIS sia di nuovo in quest’area, nonostante sia noto che questa brutale organizzazione abbia abbandonato completamente la Siria, in particolar modo la città di Afrin e dintorni.

Cosa più importante, secondo fonti attendibili, il governo di Erdogan è stato uno dei più grandi sostenitori dell’ISIS e l’esercito turco ha combattuto al fianco dello Stato Islamico durante gli attacchi a Kobane. I legami duraturi tra la Turchia e l’assassino Gulbuddin, conosciuto come “il macellaio di Kabul”, dimostrano, perlomeno, che questo governo dispotico supporta le forze più estremiste. Inoltre, il governo sanguinario di Erdogan ha fornito armi e denaro agli ex combattenti dell’ISIS sotto l’Esercito Siriano Libero, infierendo sulla popolazione della zona, insieme alle forze armate turche. Il governo Ikhwan, che ha causato una radicata ostilità verso il popolo curdo, gli impedisce di vivere in pace e tranquillità, privandoli di libertà e giustizia ed è questo il motivo per cui continua a cospirare contro di loro spargendo violenza e terrore.

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Ostacoli giuridici impediscono alle donne di ottenere giustizia

dal sito Facebook di Hawca – 24 Febbraio 2018

Traduzione di Cristina Cangemi e Giulia Giunta

hawca logo 2015Questo progetto sosterrà i diritti delle donne evidenziando le lacune esistenti nelle leggi afghane e aiuterà le donne vittime di violenza a ottenere giustizia. Il principale obiettivo di questo progetto è di raccogliere informazioni su quattro diversi casi di violenza che sono stati riportati dai media, i cui colpevoli sono liberi e non hanno subito alcuna condanna. Dopo poche settimane questi casi sono stati dimenticati dal governo e non è mai stata fatta giustizia per le donne vittime della violenza.

Questo progetto è finanziato dall’Open Society Foundations in Afghanistan, un’organizzazione che sostiene i diritti delle donne e la giustizia nel mondo difendendo l’uguaglianza delle minoranze e delle donne, favorendo l’istituzione di riforme giuridiche nazionali per garantire la libertà di informazione, promuovendo condanne alternative e proteggendo i diritti degli imputati. Il progetto ha avuto inizio l’1 gennaio 2018 e terminerà a dicembre 2018.

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Kabul offre la pace ai talebani senza precondizioni. O quasi.

Giuliano Battiston, IlManifesto – 1 Marzo 2018

C 2 articolo 3125801 upiImageppUn lungo discorso in tre lingue: prima inglese, poi dari, infine pashto. Così ieri il presidente afghano Ashraf Ghani ha reso pubblica la più clamorosa offerta di pace mai fatta ai Talebani, il principale gruppo antigovernativo del Paese.

Il discorso si è tenuto nella capitale afghana nell’ambito del Kabul Process II, iniziativa sostenuta dalla comunità internazionale per favorire il negoziato. Una delle tante dal 2001, quando fu rovesciato l’Emirato islamico d’Afghanistan. Finora, le conferenze hanno prodotto poco o nulla di concreto.

Ma l’apertura di ieri di Ghani segna una discontinuità importante. Il presidente afghano, che fin qui aveva alternato tiepide aperture e dure condanne dei Talebani, più di così non poteva spingersi e qualcuno già lo accusa di essersi spinto troppo in là: offre ai barbuti il riconoscimento come partito politico, l’implicita garanzia dell’immunità, la possibilità di rivedere consensualmente la Costituzione, l’inclusione futura nelle istituzioni, il rilascio dei prigionieri, passaporti e visti per i leader e le loro famiglie, lo sforzo per eliminare le sanzioni internazionali che li riguardano, un ufficio politico a Kabul o in un altro Paese.

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8 MARZO: difendere AFRIN è difendere la rivoluzione delle donne

dal sito di UIKI – 28 Febbraio 2018

8marzo2018 599x275Noi, donne del Kurdistan, come ogni anno accogliamo con molto fervore questo 8 marzo, giorno di lotta e di resistenza. Il nostro obiettivo perpetuo è di vivere ogni giorno con lo spirito dell’8 marzo e la forza delle donne organizzate. Come donne del popolo curdo, che è uno dei più antichi popoli del medio Oriente, che ha pagato un prezzo pesante per la democrazia, accogliamo questo 8 marzo 2018 con molta determinazione per la libertà.

Prendiamo come base la libertà delle donne del Medio Oriente e del Kurdistan, la libertà dei popoli oppressi, la lotta per la democrazia poi l’uguaglianza creando l’auto organizzazione delle donne e costruendo – grazie a quelle che hanno vi sacrificato le loro vite – il Confederalismo Democratico.

Come Curde, Turche, Arabe, Assire, Turcomanne, Armene, Cecene, Persiane e donne di tutte le credenze del mondo, da Sakine Cansiz a Rosa Luksembourg, Arin Mirkan, Zilan, Awesta Xabur, Delal Amed e Barin Kobane è desiderando di essere degne delle donne martiri della libertà che assumeremo le nostre responsabilità storiche.

Dalle montagne del Kurdistan fino ad Afrin, dove ha luogo la resistenza del secolo, lottiamo e lotteremo contro il sistema patriarcale, il capitalismo, il feudalesimo, così come contro ogni forma di oppressione che venga dalla repubblica Turca o da Al Nosra, che usano la religione per effettuare degli attacchi genocidi.

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Afghanistan protezione dei civili nei conflitti armati rapporto annuale 2017

Unama  – 15 Febbraio 2018

Traduzione a cura di Cristina Cangemi, Dalila Scaglione, Ester Peruzzi, Sara Somaini, Giulia Giunta

for the story and fb pages lower res 1024x593AFGHANISTAN: 10.000 VITTIME CIVILI NEL 2017 – RAPPORTO ONU SUGLI ATTACCHI SUICIDI E GLI ORDIGNI ESPLOSIVI IMPROVVISATI CHE HANNO PROVOCATO UN ELEVATO NUMERO DI MORTI E FERITI

KABUL – Oltre 10.000 civili hanno perso la vita o hanno riportato ferite nel 2017, secondo l’ultimo rapporto annuale ONU che riporta l’impatto dei conflitti armati sulla popolazione civile in Afghanistan.
Un totale di 10.453 vittime civili – di cui 3,438 morti e 7,015 feriti – è stato documentato nel Rapporto Annuale 2017 pubblicato oggi dalla Missione delle Nazioni Unite di Assistenza in Afghanistan, United Nations Assistance Mission in Afghanistan (UNAMA) e dall’Ufficio ONU per i Diritti Umani. Sebbene questo numero sia sceso del 9% rispetto al 2016, il rapporto evidenzia l’elevato numero di vittime provocate dagli attentati suicidi e da altri attacchi a causa di ordigni esplosivi improvvisati – IED, improvised explosive device.
“Le agghiaccianti statistiche di questo rapporto forniscono dati affidabili sull’impatto della guerra, ma i numeri da soli non possono rendere l’idea della terribile sofferenza inflitta alla gente comune, specialmente alle donne e ai bambini” afferma Tadamichi Yamamoto, Rappresentante speciale del Segretario Generale dell’ONU in Afghanistan.
Yamamoto, che è anche a capo di UNAMA, ha espresso profonda preoccupazione per il crescente danno ai civili a causa di attacchi suicidi. “Sono inorridito in modo particolare dal continuo uso indiscriminato e illecito di IED come le bombe suicide e i dispositivi esplosivi a pressione nelle aree abitate da civili. È vergognoso “, dice.
La seconda causa principale di vittime civili nel 2017 è stata il combattimento a terra tra gruppi antigovernativi e forze filogovernative, anche se c’è stato un calo del 19% rispetto ai livelli record registrati nel 2016.

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Il Tribunale Permanente dei Popoli (TPP) a Parigi, 15-16 marzo 2018: Sessione sulla Turchia e sul popolo curdo

dal sito di UIKI – 23 Febbraio 2018

Sessione sulle presunte violazioni del diritto internazionale e del diritto internazionale umanitario commesse dalla Repubblica turca e dai suoi funzionari nei confronti del popolo curdo e delle loro organizzazioni.

Parigi, 15-16 marzo 2018

tribunalepopoli 693x325L’International Association of Democratic Lawyers (IADL), l’European Association of Lawyers for Democracy and World Human Rights (ELDH), MAF-DAD, l’Association for Democracy and International Law, il Kurdish Institute di Brussels hanno investito il Tribunale Permanente dei Popoli della richiesta di esaminare e valutare se e in che termini la Repubblica Turca abbia commesso violazioni del diritto internazionale e del diritto internazionale umanitario a danno del popolo curdo.

Il Tribunale ha formalmente accettato la richiesta il 14 dicembre 2017, dando il via alla fase istruttoria. La Sessione pubblica si terrà a Parigi il 15 e il 16 marzo 2018 (Bourse du Travail, Salle Eugène Henaff, 29 boulevard du Temple).

Per maggiori informazioni visita il sitoweb delle organizzazioni richiedenti.

Il Tribunale Permanente dei Popoli (TPP)

È possibile partecipare tramite la registrazione della vostra presenza al Tribunale.

La sezione avrà le traduzioni in inglese, francese, italiano, turco e curdo.

Perché gli ufficiali kurdi consentono alle milizie di Assad di entrare ad Afrin?

The Region – 20 febbraio 2018*

1296772d4Assad e le forze curde hanno negoziato un accordo che consentirà ai fedelissimi di Assad di entrare ad Afrin e combattere contro le forze militari della Turchia, e gruppi FSA alleati. Mentre la Russia ha cercato di ostacolare un tale accordo, è stato comunque completato.
Perché?

Isolamento

Il 20 gennaio, le forze armate turche e gruppi ribelli affiliati che operavano sotto la bandiera dell’esercito libero siriano hanno iniziato ad attaccare l’enclave curda di Afrin, un’area relativamente pacifica nel nord-ovest della Siria. Prima dell’attacco, Afrin era sotto la protezione delle forze russe, che si ritirarono quando la Turchia e il turco appoggiavano le forze della FSA. Funzionari curdi credono che un accordo tra Turchia e Russia abbia dato il via libera all’attacco.

Per il popolo di Afrin, la domanda non era SE la Turchia avrebbe attaccato l’enclave nella Siria nord-occidentale, ma solo una questione di QUANDO.

L’amministrazione autonoma democratica di Afrin si era già impegnata in scontri spesso minori e intermittenti con le forze turche al confine per anni. E negli ultimi mesi, mentre Erdogan avvertiva di una potenziale “Operazione Euphrates Sword” che avrebbe l’obiettivo di espellere il gruppo del PYD curdo siriano da Afrin, i curdi siriani hanno iniziato a dare l’allarme.

Ankara afferma che le Unità di protezione delle donne (YPJ), le Unità di protezione dei popoli (YPG) e il Partito dell’Unione Democratica (PYD) sono tutte un’estensione siriana del Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK), che sta conducendo un’insurrezione in Turchia per decenni. Il PYD, che governa l’area kurda di maggioranza di Afrin, afferma di essere separato dall’organizzazione.

Erdogan quindi, nelle sue parole, lanciò il suo attacco ad Afrin per impedire che quello che lui chiama un “corridoio del terrore” si formasse lungo il confine tra Turchia e Siria. Le forze YPG, d’altra parte, hanno insistito sul fatto che mentre non hanno intenzione di attaccare la Turchia, difenderanno Afrin con tutto ciò che hanno. E, naturalmente, respingono ogni insinuazione che siano un gruppo terroristico, una rivendicazione riconosciuta solo dal governo turco.

Da settimane, le autorità di Afrin chiedono protezione dal secondo esercito della NATO.

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Afghanistan, nuovi attentati per la supremazia jihadista.

Dal Blog di Enrico Campofreda, 24 febbraio 2018

operaiI taliban nelle province di Helmand e Farah, l’Isis afghano a Kabul. Dopo neppure un mese riprende la sfida a distanza fra i due gruppi che si contendono la supremazia jihadista nel Paese. E dunque un commando talib ha attaccato stamane una base militare a Humvee e successivamente ha fatto esplodere un’autobomba presso il fortino dell’Intelligence locale a Lashkar Gah, una delle città fortemente insidiate dal contropotere territoriale talebano.

Altro agguato dei turbanti a Bala Boluk, ed è il più sanguinoso. Solo qui si contano diciotto morti, tutti militari di guardia al check point preso di mira dalla guerriglia. In totale le vittime accertate della mattinata s’aggirano sulle doppia dozzina, comprese le tre o quattro vittime civili registrate nella capitale. Lì nei pressi della zona verde, area diplomatica centrale e teoricamente controllatissima, un attentatore suicida s’è fatto esplodere coinvolgendo alcuni passanti. Era stato notato dai militari di vedetta per l’insolito abbigliamento: portava al collo una cravatta che lo stesso personale diplomatico sul territorio omette. All’intimare delle guardie di farsi riconoscere, l’uomo azionava l’ordigno che indossava sotto la giacca. Deflagrazione e sangue a fiotti. Secondo un copione consolidatissimo si registrano anche diversi feriti, due in condizioni critiche.

L’attacco a Kabul, rivendicato dall’Isis, pur non riuscendo a colpire direttamente il quartier generale della Nato e l’ambasciata statunitense, sembrerebbe diretto simbolicamente proprio a essi, visto che nel corso del mese di fuoco (28 dicembre 2017-27 gennaio 2018) l’amministrazione Trump aveva annunciato di attuare l’incremento di militari statunitensi, sebbene il numero resti circoscritto alle 3.000 unità proposte. Il governo locale ha lanciato solo laconici comunicati sui nuovi luttuosi eventi che vedono le forze di sicurezza incapaci non solo di prevenirli, ma spesso di gestire l’emergenza sulla linea di fuoco.

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