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Autore: Anna Santarello

Afghanistan: attentati quotidiani, insicurezza diffusa.

Dal Blog di Enrico Campofreda, 24 gennaio 2018

attentatoNell’attacco avviato stamane a Jalalabad presso la sede di una delle multinazionali delle Ong “Save the Children” i talebani locali fanno sapere di non entrarci nulla. L’hanno comunicato a Tolo tv, che si occupava dell’ennesimo attentato in terra afghana. Certo, la località e l’area circostante (le aree tribali note come Fata) rappresentano una roccaforte storica dei guerriglieri islamici, e se l’assalto non viene dalle proprie milizie la concorrenza dell’Isis, s’è fatta incalzante. In casa.

Rappresenta un conflitto nel conflitto, consolidato ormai da oltre un anno, per contendersi il primato della contrapposizione al governo di Kabul. In questo presente e in un futuro che appaiono pressoché congelati. L’assalto agli uffici dell’Ong conta per ora due vittime, l’emittente afghana inizialmente ha citato 12 feriti fra il personale della struttura, ma il numero, come spesso accade, può salire. Le forze della sicurezza hanno avuto la meglio su tre assalitori che sono stati uccisi.

La rivendicazione talebana è invece giunta per l’hotel Intercontinental, assalito da un commando sabato scorso. “Siamo stati noi” ha dichiarato un portavoce talib parlando degli uomini penetrati nella super vigilata struttura alberghiera sorta su un’altura che s’erge sulla piana della capitale. In quell’occasione il commando vestiva divise dell’esercito e ha forzato il blocco di controllo.

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L’Arabia Saudita scende in campo per finanziare il Tapi

Energia Oltre, 23 gennaio 2018

Tapi gasdottoLavori per la sezione turkmena del Tapi sono stati avviati nel dicembre 2015 e dovrebbero completarsi quest’anno mentre la cerimonia di posa della prima pietra della sezione afghana è prevista per la seconda metà di febbraio.

Il gasdotto Turkmenistan-Afghanistan-Pakistan-India, meglio conosciuto come Tapi rappresenta uno dei corridoi energetici più importanti per l’integrazione delle infrastrutture di trasporto combustibile in tutta l’Asia centrale e meridionale. La sua realizzazione rafforzerebbe, infatti, non solo la sicurezza energetica degli Stati fornitori (cioè il Turkmenistan), ma anche quella degli Stati acquirenti (India e Pakistan in primis). E risulterebbe fondamentale, anche per la potenziale stabilizzazione dell’Afghanistan e della sua economia. Nonostante l’importanza che riveste la sua costruzione, tuttavia, il progetto pare “soffrire” di alcune carenze legate alla sicurezza nell’attraversamento del territorio afghano ma soprattutto ai vincoli finanziari dell’opera che stanno convincendo sempre di più il Turkmenistan ad accelerare l’apertura delle frontiere del consorzio che sta realizzando il gasdotto (il Tapi Pipeline Company Limited con capofila la società statale Turkmengaz), alle società straniere.

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La Turchia avanza sui curdi di Afrin e le grandi potenze osservano.

Il Foglio, 23 gennaio 2018, di Adriano Sofri

la turchia avanza sui curdi di afrin e le grandi potenze osservanoCosì la guerra al confine infiamma quella fra esercito turco e curdi del Pkk.

Fra i nomi che gli aggressori danno alle loro operazioni guerresche quello che la Turchia di Erdogan ha dato all’offensiva contro l’enclave curdo-siriana di Afrin resterà memorabile per impudenza e ovvietà: “Ramo d’olivo”. L’hanno porto, il ramoscello, bombardamenti di caccia e artiglieria e avanzata di carri ammassati da tempo al confine. Notevole è anche la dichiarazione di Erdogan: “Non siamo soli: Allah è con noi”. Anche a non voler ricordare la traduzione tedesca – “Gott mit uns” – bisogna pur ricordare che le popolazioni coinvolte dentro e attorno a quel territorio sono nella stragrande maggioranza anch’esse musulmane. In teoria la Turchia è davvero isolata: la Damasco di Bashar al Assad chiama l’offensiva turca terrorista; il grande protettore russo la deplora (ma ritira i suoi osservatori e le sue truppe per dare via libera ai turchi in terra e più ancora nel cielo); gli americani, partner di Ankara (come noi) nella Nato, stanno coi curdi siriani del Rojava che hanno liberato Raqqa, ma per ora fischiettano distrattamente.

La Francia ha chiamato alla convocazione d’urgenza del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per fermare l’avanzata su Afrin: fatto compiuto che come mai altri era stato annunciato minacciato e ostentatamente preparato da mesi, e via via più stentoreamente. La sicurezza e l’urgenza guadagnerebbero a essere evocate prima che i fatti divenissero compiuti. Afrin è al centro di un piccolo distretto nel governatorato di Aleppo, però strategicamente decisivo per l’utopia di una striscia curda che dal Rojava di Qamishli arrivi al Mediterraneo. Dopo quattro giorni i civili ammazzati sono già numerosi, e i militari anche: da parte curda si rivendica di aver ucciso anche “un gran numero” di militari assalitori. Le “Unità di protezione popolare” (Ypg) e “di difesa delle donne” (Ypj) del Pyd curdo si battono certo strenuamente, facendo appello a una nuova Kobane, consapevoli che per la Turchia schiacciare il cantone di Afrin è il primo passo verso la cancellazione del loro autogoverno nel Rojava, ma lo squilibrio delle forze militari è colossale.

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Afghanistan, dipendente Onu rapita con la figlia: stava portando la bimba a scuola

Il Messaggero, 22 gennaio 2018, di Federica Macagnone

3499961 1421 kabul.jpg.pagespeed.ce.aRNFMh IReUna dipendente Onu afghana è stata rapita a Kabul insieme alla figlia che stava accompagnando a scuola prima di andare al lavoro. È quanto riporta il sito web dell’emittente televisiva ToloNews, citando diverse fonti. Il rapimento è avvenuto alle 6 del mattino nella zona di Khair Khana, quartiere settentrionale di Kabul.

Citando fonti della polizia l’agenzia di stampa Pajhwok aggiunge che l’autista della donna, che pure è scomparso, potrebbe aver avuto un qualche ruolo nel sequestro, anche perché il veicolo è stato abbandonato nel luogo dell’incidente. In particolare si è appreso che la persona rapita lavorava per la filiale afghana del Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione. Il ministero dell’Interno afghano ha confermato la notizia riferendo che una terza persona, forse l’autista del veicolo, è stata uccisa nell’operazione del commando avvenuta in un quartiere settentrionale della capitale. Un giornalista della Bbc a Kabul ha saputo, tuttavia, che la persona deceduta potrebbe essere un parente della donna rapita.

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Tevdem: L’esercito turco mira ai civili in Afrin

uikionlus, 22 gennaio 2018

0 3 599x275La Turchia è stata estremamente irritata dai successi del Rojava nello sconfiggere lo Stato Islamico dell’Iraq e della Siria (ISIS) e nel realizzare un nuovo sistema basato sulla democrazia diretta, l’uguaglianza di genere, la cooperazione interetnica, il laicismo e la protezione ambientale. Lo stato turco è ben consapevole che la promozione di questo progetto democratico che può servire come modello per il resto della regione è equivalente al fallimento dell’autoritarismo che esso rappresenta. Ecco perché lo stato turco ha mobilitato sin dall’inizio tutte le proprie risorse per annientare l’Amministrazione Autonoma Democratica del Rojava. Non riuscendo a evitare lo sviluppo del Rojava, tuttavia, il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, il 20 gennaio ha annunciato l’inizio di una guerra contro Afrin; una città che ha accolto la maggior parte dei rifugiati sfollati da Idlib, con un conseguente aumento della popolazione da 500’000 persone nel 2011 a 1’200’000 nel 2018.

Poco dopo la dichiarazione di Erdogan, sabato alle 16:00 (ora locale) 72 aerei da caccia turchi hanno attaccato il Cantone di Afrin colpendo almeno 100 obiettivi incluse aree residenziali come il centro città di Afrin, il campo profughi di Robar e alcune istituzioni civili. Durante quest’ondata di attacchi, almeno 13 civili sono rimasti feriti, 1 combattente delle YPG (Unità di Difesa del Popolo) e 2 combattenti delle YPJ (Unità di Difesa delle Donne) nonché 6 civili sono rimasti uccisi.

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Afghanistan, i talebani alla (ri)conquista del territorio.

AD AnalisiDifesa, 22 gennaio 2018, di Gianandrea Gaiani
da Il Mattino del 21gennaio

afghanistan hotel attackL’attacco suicida all’hotel Intercontinental a Kabul ha riproposto uno dei più consolidati clichè del terrorismo talebano, soprattutto quello legato alla Rete Haqqani con base nel Waziristan pakistano che in più occasioni negli ultimi anni ha preso di mira a Kabul e in altre città nell’est afghano hotel e “guest house” che ospitano stranieri, per lo più personale di organizzazioni internazionali.

Anche sul piano tattico l’assalto di sembra aver seguito uno schema ben noto, innanzitutto colpendo un hotel già bersagliato da atti terroristici e poi impiegando un primo kamikaze fattosi esplodere all’entrata consentendo ad almeno altri 4 miliziani di entrare nell’edificio sparando sugli ospiti e prendendo ostaggi.

L’albergo era stato attaccato nello stesso modo il 28 giugno 2011 e la matrice, anche questa volta, sembra essere quella della rete talebana Haqqani (che il 31 maggio dell’anno scorso nella capitale afghana uccise con un camion bomba oltre 150 persone ferendone oltre 400) anche se non si può escludere la mano dei “rivali”, sul fronte del jihad, dello Stato Islamico, sempre più spesso protagonista di attacchi a Kabul nel tentativo di guadagnare visibilità ed estendere la sua area di influenza a ovest della provincia orientale di Nangarhar in cui i suoi miliziani sono particolarmente attivi.

La Rete Haqqani è una delle due grandi organizzazioni talebane afghane, insieme alla “Shura di Quetta” i cui miliziani operano più a sud nelle province di Helmand, Kandahar e nell’ovest, dove sono ancora presenti circa 900 militari italiani che nel corso dell’anno dovrebbero ridursi a 700, con compiti di supporto e addestramento rivolti alle truppe del 207° corpo afghano.

E quanto le forze di Kabul abbiano bisogno in questo settore dei consiglieri militari e degli elicotteri italiani lo dimostrano i continui scontri che si registrano soprattutto nella provincia calda di Farah, caratterizzata da un’elevata presenza talebana e un’alta concentrazione di coltivazione di oppio, dove giovedì gli insorti hanno ucciso in due incursioni 8 membri delle forze di sicurezza afghane.

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Fermare la guerra della Turchia contro i curdi

uikionlus, 21 gennaio 2018

afrin1 1 599x275Attacchi aerei della Turchia colpiscono Afrin, una città curda nel nord della Siria, uccidendo e ferendo molti civili.
Non solo curdi, anche cristiani, arabi e tutte le altre entità in Afrin sono sotto un pesante attacco della Turchia.
L’aggressione turca contro i popoli di Afrin è un crimine contro l’umanità; non diverso dai crimini commessi dall’ISIS.
Iniziare un attacco militare in una regione che non ha ha attaccato è un crimine di guerra.

Jet turchi hanno preso di mira 100 obiettivi in aree civili a Afrin e sono rimasti uccisi almeno 6 civili e 1 combattente delle YPG (Unità di Difesa del Popolo) e 2 delle YPJ (Unità di difesa delle donne) sono caduti martiri negli attacchi turchi di sabato su Afrin. Come risultato dell’attacco sono rimasti feriti anche diversi civili.

L’esercito turco invasore ha condotto attacchi aerei su Afrin con l’approvazione della Russia intorno alle 16:00 di sabato pomeriggio. Gli attacchi da parte di 72 jet da combattimento hanno colpito il centro di Afrin, i distretti di Cindirêsê, Reco, Shera, Shêrawa e Mabeta e il campo profughi Rubar. Il campo profughi di Rubar nel distretto di Sherawa di Afrin è abitato da oltre 20.000 rifugiati dalla Siria. L’esercito turco invasore, dopo un fallito tentativo di attaccare via terra, cercano di intimorire la popolazione di Afrin e espellerla verso aree tenute dall’ESL e dalla Turchia.

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Turchia, nuova offensiva contro le milizie curde in Siria. Erdogan: “Schiacceremo chiunque si oppone”. Il timore degli Usa.

Il Fatto Quotidiano, 21 gennaio 2018

turchia675Denominata “Ramo d’olivo”, ha preso il via la missione dell’esercito di Ankara: i bombardamenti si concentrano su Afrin, la città nel nord-ovest della Siria controllata dal 2012 dagli uomini delle Ypg, le milizie legate al partito curdo Pyd e sostenute dagli Usa. Colloqui tra Russia e Stati Uniti, che hanno trovato nei curdi un alleato nella lotta al terrorismo islamico.

La Turchia ha lanciato un’offensiva terrestre e aerea contro la milizia curda Unità di Protezione Popolare (Ypg) nel nord della Siria, in un’operazione guardata con timore da Washington, alleata ai curdi nella lotta all’Isis. Denominata “Ramo d’olivo“, la missione è stata annunciata dall’esercito di Ankara, che ha detto sarà condotta “nel rispetto dell’integrità territoriale siriana”. L’obiettivo della Turchia è colpire quella che vede come l’incarnazione siriana degli autonomisti curdi del Pkk, ma “anche l’Isis“, stando alle parole che arrivano dal presidente Recep Tayyp Erdogan. Una decisione che ha sollevato polemiche, dal momento che obiettivi legati ai jihadisti in quell’area non ce ne sono.

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Violenza, matrimoni forzati di minori, abusi: quello che le donne afghane subiscono

Cospe, gennaio 2018

Afghanistan70 300x225Riportiamo l’estratto di un articolo comparso il giorno 26 dicembre 2017 sul giornale online Newsweek scritto da Shafiqa Noori, direttrice generale della ONG Humanitarian Assistance for the Women and Children of Afghanistan” (HAWCA) che dà assistenza a donne e bambini in Afghanistan. HAWCA è partner di COSPE Onlus nella campagna “Women for change”,  nata nell’ambito del progetto AHRAMAfghanistan Human Rights Action and Mobilisation”, che lavora sull’empowerment delle donne in Afghanistan a livello politico e sociale, e del progetto “Vite preziose” che  sostiene legalmente e psicologicamente donne e bambine vittime di violenza  nei centri di Hawca a Kabul e Herat.

Sahar aveva solamente 10 anni quando è stata data in sposa a un uomo più anziano. Suo padre ha accettato di darla in matrimonio secondo quella che, nella cultura afghana, è chiamata “badal” (vendetta), in modo da poter avere una seconda moglie. Una volta sposata, Sahar, è stata obbligata ad abbandonare la scuola, non le era permesso di mangiare e veniva picchiata.

Lina ha una storia simile, ma con radici più antiche. All’età di 10 anni, lo zio l’ha promessa in matrimonio a suo cugino. Dopo 30 anni di abusi, è riuscita a scappare, ma secondo la legge afghana, deve aspettare altri tre anni per divorziare dal marito.

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Afghanistan, primi barlumi di giustizia nel cuore dell’impunità

IlCaffégeopolitico Luttine Ilenia Buioni 8/1/2018

kabulIl Procuratore della Corte penale internazionale ha richiesto, lo scorso novembre, l’autorizzazione ad aprire un’indagine sui crimini di guerra e contro l’umanità commessi in Afghanistan dal 2003. Ci si interroga intanto sulle priorità e aspettative della giustizia internazionale e della politica interna del Paese. Dopo le esitazioni dello scorso anno, il Governo di Kabul sarà adesso disponibile a collaborare con i giudici de L’Aia?

IL PERCORSO EVOLUTIVO DELLA GIUSTIZIA PENALE INTERNAZIONALE

Una pace durevole si fonda sull’affermazione della verità: vale a dire sull’analisi dei fatti, sull’attribuzione delle responsabilità e sulla punizione dei colpevoli. La citazione è tratta da un discorso pronunciato nel 2000 dal magistrato svizzero Carla Del Ponte, Procuratore del Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia (ICTY) dal 1999 al 2007. La fine degli anni Novanta ha marcato una piena evoluzione della giustizia penale internazionale: il diritto dei vincitori di giudicare i vinti era un’idea oramai anacronistica, così come retrograda appariva anche la creazione di nuovi tribunali ad hoc, espressione di una giustizia ex post facto in evidente contrasto con il principio di irretroattività della legge penale.

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