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Autore: Anna Santarello

TURCHIA. PROCESSO DERMIRTAS, SPARISCE IL COMPUTER DELL’AVVOCATO CON I DATI PER SMENTIRE LE FALSE ACCUSE

Notizie Geopolitiche – 5 dicembre 2017 – di Shorsh Surme

IMG 2190La Turchia di Erdogan non si smentisce e a p giorni dal processo ingiusto intentato nei confronti del presidente del Partito Democratico dei Popoli (Hdp) Selahattin Demirtas, è stato rubato il computer del suo avvocato difensore, dove teneva tutti i documenti che potevano scagionare il politico curdo dalle false accuse..
Infatti nella tarda serata di domenica ignori hanno fatto irruzione nell’ufficio dell’avvocato Mehmet Emin Aktar a Diyarbakir (Amed), la capitale del Kurdistan della Turchia (Kurdistan del Nord), prelevando il suo computer che conteneva informazioni relative al processo Demirtas.

Demirtas, co-presidente dell’Hdp, è chiamato a difendersi da pensanti accuse legate al terrorismo e di legami con il partito del Lavoratori del Kurdistan (Partiya Kerkarani Kurdistan, Pkk), del tutto infondate; il partito è stato votato dal popolo curdo ed anche da una buona parte dei turchi democratici, tanto che nel 2015 era riuscito a sbarrare la strada a Erdogan alle elezioni con la sua storica entrata in Parlamento, conquistando 59 seggi.

L’Hdp ha continuato a negare le accuse, usate del governo del “sultano” Recep Tayyip Erdogan per reprimere l’opposizione.
La Turchia è divisa tra coloro che sono fedeli a Erdogan e quelli che non lo sono, e questi ultimi vengono automaticamente etichettati come “terroristi”, “traditori” o “nemici” da un regime che è sempre più autoritario. Erdogan e il suo partito dimenticano che non c’è democrazia senza opposizione.

Ora vedremo cosa succederà il 7 dicembre prossimo, quando comincerà il processo con le false accuse.

 

L’Europa non dimentichi Demirtas, baluardo di democrazia nella Turchia di Erdogan

Huffpost – 5 dicembre 2017, Arturo Scotto

http o.aolcdn.com hss storage midas 7428d0462f9c81d4b59fa531650935bc 205920932 RTX2SH5UDemirtas. Sono finiti i giorni in cui tutte le cancellerie europee facevano a gara per incontrarlo, per conoscere una personalità democratica che stava provando a costruire un’alternativa reale al lungo inverno erdoganiano fattosi regime. Avvocato dei diritti umani, curdo, ambientalista e laico: il leader dell’Hdp oggi è in carcere e rischia di perdere definitivamente la libertà in un processo tutto politico che si svolge lungo la frontiera orientale dell’Europa.

Sono passati sedici mesi dal mio ultimo incontro con lui e la leadership del suo partito: eravamo a pochi giorni dal golpe di operetta che aveva rimesso in sella Erdogan, dando il via a una svolta autoritaria senza precedenti. 113000 arresti circa dal luglio 2016: magistrati, funzionari pubblici, giornalisti, sindacalisti, parlamentari. Demirtas nel colloquio blindato che avemmo – alloggiavamo in una Instanbul surreale, cupa e militarizzata con gli autocompattatori che sigillavano le caserme e la piazza Taksim assediata dai vessilli del regime – mi disse a chiare lettere: hanno tolto l’immunità parlamentare, tra poco tocca a noi. Pochi mesi e la cosa si verificò puntuale, con poche e timide prese di distanza da parte dell’Ue, senza però alcun atto concreto.

Sono 400 giorni che è in carcere e rischia 124 anni. L’Hdp è stato decimato, arrestati una ventina di deputati, un centinaio di sindaci e oltre 70000 militanti per presunto fiancheggiamento al Pkk. Tutti elogiano i curdi dopo la liberazione di Raqqa, ma nessuno si occupa della loro condizione in un paese alleato, membro strategico della Nato. Al contrario, abbiamo dato 7 miliardi a Erdogan, senza imporgli alcuna clausola democratica e umanitaria, per frenare i rifugiati siriani e tenerli lontani dall’Europa. Lontani dagli occhi, lontani dal cuore.

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Selay Ghaffar, portavoce del Partito Afgano della Solidarietà: “Il nostro obiettivo è liberare l’Afghanistan dalla violenza e dall’influenza straniera”

Pressenza, 6 dicembre 2017 – Liane Arter – Redazione Italia

shelay gaffar 720x540Selay Ghaffar è la portavoce del Partito Afgano della Solidarietà. Il 28 novembre scorso, alla presentazione del manuale per le donne oggetto di violenza (versione italiana: “EXIT – Uscite di sicurezza dalla violenza. NON SIAMO SOLE”) presso la Casa delle Donne di Milano, ha parlato della situazione attuale delle donne e delle ragazze afgane, del motivo per cui è passata dall’impegno nella società civile a quello in politica e dell’abitudine a usare le donne come trofei, più che coinvolgerle nel lavoro per la pace di cui l’Afghanistan ha un disperato bisogno. Abbiamo potuto parlare a tu per tu con Selay delle sue esperienze e del suo partito.

Puoi parlarci del tuo partito e dei suoi obiettivi?

Il Partito Afgano della Solidarietà è contro l’occupazione delle forze americane e della NATO. Consideriamo l’attuale governo un fantoccio manovrato dagli occupanti e anche un governo del terrore. Il nostro partito chiede di portare in tribunale i criminali di guerra che hanno compiuto atrocità contro il popolo afgano, dai sovietici, ai mujahideen, ai talebani, agli americani. Crediamo nell’uguaglianza tra i generi; una vera rivoluzione si potrà realizzare solo se uomini e donne avranno pari diritto a esprimersi e partecipare. Il nostro obiettivo è liberare l’Afghanistan dall’influenza straniera.

Che rapporti avete con i gruppi di attivisti italiani, compreso il CISDA?

Il Partito Afgano della Solidarietà crede nel potere dell’internazionalismo e della solidarietà Le forze progressiste possono lavorare insieme indipendentemente dalla loro ubicazione, com’è avvenuto con i gruppi italiani. Possono amplificare il nostro messaggio diffondendolo nel loro paese e fare pressione sul loro governo. Questo ha molta influenza in Afghanistan.

Che importanza ha la rete internazionale che avete creato nel mondo? È stato difficile costruirla?

Le forze progressiste possono lavorare insieme perché hanno la stessa ideologia. E’ questo l’importante ed è questo che ha permesso la formazione di una rete internazionale. Basandosi sulle cose che abbiamo in comune è stato facile costruirla.

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A terra 222 voli: la protesta dei piloti tedeschi contro il rientro dei profughi

La Repubblica – 5 dicembre 2017, di TONIA MASTROBUONI

In nove mesi sono stati cancellati 222 voli diretti in Afghanistan. I piloti si sono rifiutati di rendersi complici di un disumano rimpatrio in un Paese ‘sicuro’, a detta del governo tedesco.

134112161 d4ccc4a5 aace 4d69 b9b7 4ed76d1987c3BERLINO – Non convince neanche i piloti tedeschi la decisione della Germania di considerare l’Afghanistan un ‘paese sicuro’ per costringere i richiedenti asilo a tornare in patria. Ben 222 si sono rifiutati tra gennaio e settembre di quest’anno di pilotare aerei diretti nel Paese martoriato dai talebani per riportare a casa migranti afgani.

L’ipocrisia del governo tedesco sull’Afghanistan si evince consultando semplicemente il sito del ministero degli Esteri, dove ai tedeschi viene caldamente sconsigliato di viaggiare in certe aree del Paese a causa della forte presenza dei talebani e dei fondamentalisti dell’Isis. L’attuale avviso a non viaggiare nel Paese – dove a maggio c’è stato l’ultimo attentato all’ambasciata tedesca con morti e feriti – si può leggere qui.

La resistenza dei piloti è emersa dalla risposta del governo a un’interrogazione parlamentare della Linke. La stragrande maggioranza dei voli per Kabul cancellati doveva partire da Francoforte (140), e quasi un terzo (85) erano voli Lufthansa o della controllata Eurowings.

Da mesi i giornali tedeschi riportano anche notizie di un’ondata di solidarietà che starebbe spingendo moltissimi medici ad aiutare i profughi attestando loro l’impossibilità di viaggiare per malattie varie.

Dopo il biennio dei profughi 2015-2016, la Germania ha enormemente accelerato le procedure di esame per i richiedenti asilo. Nei primi sei mesi di quest’anno ne ha esaminate tante quanto tutta l’Unione europea insieme: 388.201. Il governo sta anche cercando di imprimere un’accelerazione ai rimpatri e ha bloccato i ricongiungimenti. Ma ormai i rifugiati fanno appello contro i respingimenti in un caso su due.

Rifondazione incontra la portavoce di Hambastagi, (Partito della Solidarietà), che si batte per la pace e la giustizia in Afghanistan.

3 dicembre 2017 – di Giovanna Cardarelli

IMG 20171203 WA0003 1 118165 210x210Giovedì 30 novembre si è tenuto presso la sede di Rifondazione Comunista di Roma un incontro tra Selay Ghaffar, portavoce di Hambastagi (Partito della Solidarietà dell’Afghanistan) accompagnata da attiviste del Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane, e Marco Consolo responsabile area esteri, Stefano Galieni responsabile movimenti pace e immigrazione, Paolo Ferrero Vice Presidente Sinistra Europea.

In questo incontro Selay ha presentato il proprio partito che con circa 30 mila iscritti, in gran maggioranza donne e giovani, è ad oggi l’unico partito laico, democratico, interetnico e indipendente esistente in Afghanistan, un grande partito di opposizione che per scelta politica non è presente nel Parlamento afghano.
Selay ha poi raccontato la disastrosa situazione nel suo paese governato dai signori della guerra e della droga, con una popolazione affamata che vive nel terrore per i continui attentati, dove le donne vivono una condizione di analfabetismo e violenze come nel periodo talebano.

Un paese dove agiscono tutti i gruppi fondamentalisti, Isis, Al Qaeda sostenuti da tutti i paesi confinanti e da Usa e Nato, che ha la maggior produzione e raffinazione di oppio con un numero di tossicodipendenti che ha raggiunto ormai i 3.000.000, più del 10% della popolazione.

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Selay Ghaffar, denuncia e resistenza alla Casa delle Donne a Milano.

3 dicembre 2017, di Eleonora De Pascalis

Foto selay 150x150In occasione della giornata internazionale contro la violenza sulle donne 2017, martedì 28 novembre, alla Casa delle Donne a Milano, in collaborazione con il CISDA, è stato presentato “EXIT from violence. You are not alone”, un vademecum illustrato per riconoscere e denunciare la violenza quotidiana in Afghanistan, sostenuto da COSPE onlus e CAMST, azienda di ristorazione italiana. Una guida, frutto del lavoro durato tre anni con i centri di accoglienza legali e le case rifugio a Kabul ed Herat, per riconoscere la violenza fisica, psicologica, istituzionale.

Imperdibile è stata la presenza di Selay Ghaffar, attivista politica e portavoce di Hambastagi, il Partito della Solidarietà afghano. La sua importantissima presenza ha dato voce alla drammatica realtà delle donne in Afghanistan.

In particolare venerdì 24 novembre a Kabul centinaia di donne, sostenute dal Partito della Solidarietà afghano, hanno sfilato per dimostrare la loro presenza e commemorare, in vista del 25 novembre, le proprie vittime di violenza. Selay tiene a sottolineare come questa giornata sia “Fondamentale per denunciare le innumerevoli donne uccise, schiavizzate, torturate, nel clima di impunità in cui i criminali e gli aguzzini non sono perseguiti legalmente. Come gli assassini di Farkhunda, picchiata a morte e poi bruciata con l’accusa di aver dato fuoco a una copia del Corano, o quello di Tabason, una bambina di sette anni e la sua famiglia sgozzati dai talebani, o di Roshan, lapidata perché scappata da un matrimonio combinato con il ragazzo che amava. Sono soltanto alcuni dei casi che hanno occupato le testate dei giornali internazionali.

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Quando la resistenza diventa un fatto di donne – Intervista a Malalai Joya

di Eleonora De Pascalis (Cisda Milano), Aprile 2017

malalai joya ucsbEleonora De Pascalis ha incontrato Malalai Joya durante una sua visita in Italia in occasione di un tour di conferenze sull’Afghanistan organizzato dal CISDA (Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane) nell’aprile 2017. L’intervista è divenuta parte della ricerca per la sua tesi triennale su “Come ginestre nel deserto. La speranza augurale delle donne afghane nel Landay” (Scarica allegato con il testo integrale). Questo è un estratto dei passi più significativi.

Ancora oggi, dopo gli innumerevoli interventi internazionali e i fondi umanitari mai arrivati, o distribuiti tra i Signori della Guerra, “[…] la qualità della vita delle donne afghane […] è: un inferno.”.

Ad affermarlo con tenacia è Malalai Joya, attivista umanitaria, ex parlamentare della Farah, personalità carismatica e una delle donne più coraggiose dell’Afghanistan. A soli 25 anni ha denunciato pubblicamente nella Loya Jirga del 2005, la più grande e importante assemblea del suo paese, la presenza intollerabile in Parlamento dei Signori della Guerra.
Noncurante delle minacce e degli attentati alla sua vita subiti dal 2005 ad oggi, risponde con il vigore di una vita spesa per la sua terra e costruita sull’esempio di donne coraggiose, “[…] come Meena Keshwar Kamal, fondatrice di RAWA, e Malalai di Maiwand, che hanno determinato la storia del nostro paese.”, contro autorità misogine che da sempre hanno paura “[…] che le donne assumano potere attraverso la cultura, la musica, le canzoni, l’espressione poetica e sensibile della loro femminilità e che attraverso queste assumano un potere anche politico. […] Queste donne sono diventate eroine attraverso la resistenza che hanno messo in atto.”.

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Mettere fine alla violenza contro le donne

dal sito di Hawca, 19 Novembre 2017

event 1Il progetto Vite Preziose è stato realizzato nelle provincie di Kabul e Herat con lo scopo di restituire dignità alle donne afghane. Ha fornito aiuto legale alle donne vittime di violenza in quattro centri creati a Kabul e Herat (HAWCA LAC Kabul, LAC Herat, HAWCA WPC e OPAWC), dove le donne vittime di violenza hanno ricevuto servizi legali e psicosociali.

Dall’aprile del 2014 i centri di aiuto legale di HAWCA a Kabul e Herat hanno fornito gratuitamente servizi legali e psicologici a 660 donne vittime di violenze, 588 consulenze legali, corsi di consapevolezza giuridica a 600 persone, formazione legale a 243 membri di comitati, corsi d’inglese e informatica a 210 ragazze. Il progetto ha sostenuto anche tirocini per ragazze, e attraverso questa attività 32 nuove laureate in legge hanno avuto la possibilità di fare pratica legale e imparare come difendere le donne vittime di violenza.

Sempre nell’ambito di questo progetto, il centro dell’OPAWC ha invece fornito alfabetizzazione, informatica, inglese e formazione professionale a 645 donne che vivono nelle zone di Afshar, Char rahi Qamber e Qaragha.

Le attività di HAWCA WPC rivolte all’obiettivo principale del progetto hanno sostenuto inoltre 541 donne vittime di violenza e 231 bambini.

Complessivamente i diretti beneficiari di questo progetto sono stati 3750, tra donne, uomini e bambini.

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In Afghanistan tira solo la droga

di Mario Sommossa, it.sputniknews, 29 Novembre 2017

5340576Nell’Afghanistan Opium Survey 2017, l’Ufficio delle Nazioni Unite per la Droga e il crimine (UNODC) ha certificato che la produzione di oppio nel Paese è cresciuta dell’87% dal 2016 al 2017.

Non è cresciuta solo la quantità, arrivata a ben 9.000 tonnellate (nel 2015 era di 4.800), ma anche le superfici coltivate, passate dai 201.000 ettari a 328.000, cioè il 63 percento in più. Le province ove non si attua nessuna coltivazione di sostanze illecite erano tredici fino all’anno scorso e ne sono rimaste soltanto dieci mentre, in conseguenza, quelle ove si coltivano, da ventuno che erano, sono diventate ventiquattro.

Se tra gli obiettivi della guerra in corso c’era anche l’eradicazione delle piantagioni siamo dunque davanti a un totale fallimento, come notava già dal 2014 il Washington Post.

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Afghanistan: cosa significa Resistenza

di Stefano Gallieni, a-dif.org

UltimaSOTTO UN CIELO DI STOFFA CELLA cop imp 2 268x300Cristiana Cella è una giornalista che segue le vicende dell’Afghanistan dal 1980. Dal 2009 è esponente del CISDA (Coordinamento Italiano di Solidarietà con le Donne Afghane) e si è spesso avventurata in quel grande e straordinario paese. In un libro intenso, doloroso ma carico di vita “Sotto un cielo di stoffa”, pubblicato a maggio del 2017 da La Città del Sole (pp.296, 13 Euro) e corredato dalle foto della collega Carla Dazzi, ha fatto arrivare anche in Italia un vero e proprio messaggio di lotta partigiana. Storie delle avvocate di HAWCA ( Humanitarian Assistance for Women and Children of Afghanistan), delle donne assistite, di chi si ribella al patriarcato fondamentalista, di chi subisce, di chi è complice e carnefice e di chi cerca di costruire un futuro diverso. Storie cariche di buio ma in cui si intravvede perennemente la luce, una luce più forte e più potente di ogni brutalità. Proviamo intanto a riportarne una, quella che apre questo prezioso volume:

Kabul – Quartiere di Shirpoor, ore 6,30

ROSHAN

Ecco, la porta si chiude con un colpo cattivo. Le voci nel cortile. Mursal chiama «mamma». No, mamma non viene al matrimonio, mamma non viaggia, non ha diritto alla festa. Punizione. Mamma non è una brava moglie da mostrare in famiglia. O forse è la mia faccia che non è bella da portare in giro. La cicatrice sulla guancia, quella crosta sul labbro che non vuole guarire… quei braccialetti neri sui polsi, le sue maledette corde, no, non sono gioielli di famiglia.

Se ne sono andati. Tutti. Anche i suoi uomini, grazie a Dio. Hanno sprangato la casa. Il silenzio, nuovo, si posa nella stanza. Intonso. Sol- tanto mio. La solitudine, il riposo. Punizione? No, forse no. Devo pulire tutto e preparare la cena, ma l’ostilità della casa perde forza, sembra che ci sia più spazio. Posso respirare fino a stasera, quando tutto ricomincerà.

Ecco, posso sedermi sul tushak, vicino alla finestra, il posto di mio marito, perla prima volta. Si sta bene. Chiudere gli occhi e fingere che non ci sia più niente. Uscire da questa vita, come da un vestito. Mi sento leggera, il mio triste corpo non pesa più. Là fuori, c’è gente che deve sentirsi così. Se non ci fossero le bambine con loro, potrei pregare. Pregare, che saltino tutti su una mina, bella grossa. Un botto e basta. Tutto finito. Ma ci sono le bambine in quella macchina. Sono tutto quello che ho. Tutto quello che sa di amore. Altro non c’è.

Cos’è, adesso? Ho perso il silenzio. Un rumore ritmico, regolare, insistente. Ah, sì, la finestra della cucina sbatte. Se la sono dimenticata. Carcerieri distratti. È aperta, bassa, si può scavalcare. Inaspettata. Un pensiero prepotente, che non posso allontanare, mi spinge. Mi alzo. Eccola. Quella finestra può cambiare tutto. La mia vita, dove non vive niente. Continua a sbattere, mi chiama. È una giornata speciale, l’unica forse. La paura fa male allo stomaco ma passerà, deve passare. E se non passa? Forse è meglio aspettare… magari un’altra volta. No, non ce ne saranno altre di volte. Questa giornata è un dono di Allah. Devo esserne degna. Il burka è lì, appeso al chiodo. I vicini sono al lavoro. So, dove devo andare. Il biglietto che mi ha dato Habeba l’ho bruciato, l’indirizzo lo so a memoria. Conosco il posto. Ce la devo fare. Per me e per le piccole. Ecco, la finestra si spalanca, il vento entra ed esce… entra ed esce.

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