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Autore: Anna Santarello

I curdi votano sull’indipendenza

Nick Brauns  25 settembre 2017 –  Uikionlus.com

referendumkurd 2 599x275Nella Regione Autonoma del Kurdistan nell’Iraq del nord lunedì gli elettori hanno votato per un referendum tenuto dal governo del Presidente Masud Barzani su uno Stato curdo indipendente. Il Partito Democratico del Kurdistan (KDP) di Barzani e l’alleata Unione Patriottica del Kurdistan (PUK) avevano entrambi chiamato a votare sì. Il Movimento per il Cambiamento (Gorran) all’opposizione, che aveva respinto una consultazione in questa fase, ha invitato i suoi seguaci a partecipare, ma non ha dato indicazioni di voto. I primi risultati dovrebbero arrivare martedì sera.

Anche nella provincia di Kirkuk, ricca di petrolio e situata all’esterno della Regione Autonoma del Kurdistan nel nord dell’Iraq si è tenuto il referendum. Lì nei quartieri curdi si sono formate lunghe code di elettori secondo quanto riferito dall’agenzia stampa Firat. Arabi e turkmeni, che costituiscono circa la metà della popolazione della città, hanno boicottato la votazione.

I governi di Iraq, Turchia e Iran hanno annunciato »misure coordinate« contro Erbil. Il vice-Primo Ministro irakeno e Presidente del partito sciita ­Dawa, Nuri Al-Maliki, ha definito il referendum una »dichiarazione di guerra contro l’unità del popolo dell’Iraq«. Il Parlamenta a Bagdad lunedì ha decido di chiudere i confini esterni della Regione Autonoma del Kurdistan.

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Is, Kabulov: Sfiducia espressa a Usa dopo vicenda elicotteri

Velino International 21 settembre 2017  ilVelino.it – fonte AGV NEWS/Sputnik Nazioni Unite

27881692 d9fb 41db bf28 d3333b9da9a2 large 300x169L’inviato speciale presidenziale russo per l’Aghanistan Zamir Kabulov ha detto che durante una riunione a New York con la sua controparte americana Alice Wells ha espresso agli Stati Uniti la sua sfiducia riguardo alla vicenda degli “elicotteri non identificati” nel nord dell’Afghanistan che stavano trasferendo munizioni al gruppo terroristico dello Stato islamico (IS) da basi statunitensi.

Kabulov, capo del secondo Dipartimento asiatico del Ministero degli Esteri russo (2AD), si è riunito mercoledì con l’Assistente del Segretario di Stato degli Stati Uniti per gli affari del Sud e dell’Asia centrale e rappresentante speciale per l’Afghanistan e il Pakistan Alice Wells.

Le consultazioni ai margini dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite sono state il primo contatto fra russi e americani dopo che la nuova strategia statunitense sull’Afghanistan è stata resa pubblica. “Tra i problemi che abbiamo – ha detto Kabulov -, ho identificato la sfiducia che abbiamo in relazione a questi elicotteri misteriosi che trasferiscono militanti IS, le loro armi e munizioni”.

Celebrare il Giorno Internazionale della Pace.

HAWCA.ORG – 24 settembre 2017

peace building 300x200peace building 7 300x200Il Giorno Internazionale della Pace, talvolta in modo non ufficiale detto il Giorno della pace nel Mondo, è celebrato annualmente il 21 settembre. È dedicato alla pace nel mondo e specificatamente all’assenza di guerre e violenze.

Il programma è stato organizzato dagli studenti e dagli insegnanti nell’edificio “Pace” del la nostra sede. Il programma comprendeva discorsi, lettura di poesie, saggi e melodie di pace e al termine è stato messo in scena un dramma sulla pace e sulla guerra.

Il programma è stato svolto da 380 partecipanti.

Traduzione a cura del Cisda

Minori afghani: Italia, paese di transito preferito?

di Jelena Bjelica e Fabrizio Foschini

Da: AAN (Afghanistan Analysts Network), 6 settembre 2017

(Questa ricerca è stata sostenuta da una sovvenzione di Open Society Foundations)

Afghan minors fotoMinori afghani in Europa: una panoramica
Secondo l’agenzia Eurostat dell’Unione europea, negli ultimi due anni i minori non accompagnati (così classificati quelli di età inferiore ai 18 anni) provenienti dall’Afghanistan hanno presentato in Europa molte più richieste di asilo rispetto a qualsiasi altra nazionalità. Hanno inoltre rappresentato il gruppo più numeroso di qualsiasi altro paese d’origine in metà degli Stati membri dell’UE (si veda qui). Nel 2015, il 51% degli oltre 90.000 minori non accompagnati in UE erano afghani, dei quali più della metà registrata in Svezia (23.400). Nel 2016, il numero è diminuito di quasi un terzo (erano presenti 63.300 complessivamente), di cui il 38% erano afghani, quasi due terzi (15.000) di essi in Germania.
La maggioranza dei minori non accompagnati è venuto attraverso la rotta balcanica, prima che fosse bloccata dai muri e dalle recinzioni elettrizzate che diversi paesi hanno eretto e prima dell’accordo UE-Turchia, entrato in vigore nella primavera del 2016, che ha voluto fermare il flusso di migranti. Una percentuale minore, coloro che non sono venuti in Europa via Bulgaria, Macedonia o Serbia, hanno scelto di viaggiare attraverso l’Italia, come molti migranti avevano fatto prima dell’avvio della rotta balcanica. Molti si sono nascosti nei camion a Patrasso, in Grecia occidentale, che sono poi stati caricati sui traghetti in navigazione verso le città portuali italiane di Bari, Brindisi, Ancona e Venezia.

Prima della rotta balcanica: una breve panoramica
Sebbene prima del 2015 il numero di minori afghani arrivati in Europa fosse minore, sembra che nel 2008 e 2009 si sia registrato un aumento (circa 3.500 nel 2008, circa 6.000 nel 2009). Prima dell’apertura della rotta balcanica sono arrivati via mare o attraverso una delle tante vie di contrabbando che attraversano il Mediterraneo verso l’Italia.
Le statistiche sugli arrivi in Italia via mare e sulle domande di asilo in Italia prima del 2010 sono abbondanti e sparpagliate, anche se l’assunto generale è che la maggioranza dei minori afghani che hanno percorso la rotta mediterranea nei primi anni 2010 ha continuato il viaggio verso l’Europa settentrionale, vale a dire in paesi con valute ed economie più forti e /o con maggiori benefici per i migranti minori non accompagnati, inclusi UK e Paesi scandinavi. I dati disponibili dimostrano che solo 1 su 7 (429) ha chiesto l’asilo in Italia nel 2008. Ciò equivaleva alla metà del numero totale di bambini di tutte le nazionalità che vi chiedevano asilo. I dati per il 2009 e il 2010 sono approssimativi – l’AAN non ha potuto trovare il numero di domande di asilo di minori afghani non accompagnati per questi due anni – ma nel 2010 le autorità italiane hanno intercettato 389 minori afghani non accompagnati arrivati sulle rive di Puglia (265), Calabria (119) e Sicilia (5).
Alcuni dei principali punti di raccolta per gli afghani che arrivano in Italia nel 2009-2010 sono i vari insediamenti informali sorti dentro o intorno alla stazione ferroviaria di Roma Ostiense (i migranti vi avevano stabilito i primi insediamenti nel 2004-2005). Inizialmente, gli afghani occuparono un grande edificio abbandonato nelle vicinanze, che non aveva acqua e servizi igienici, ma si trasferirono gradualmente in un campo improvvisato situato su alcuni binari ferroviari abbandonati conosciuti dai volontari e dalla società civile come “la Buca”. Durante i mesi invernali, coloro che vivevano nel campo furono autorizzati a dormire su una piattaforma con un tetto. Secondo un ricercatore locale che lavora con i minori afghani azara in Italia, tra il 2008 e il 2010 un quarto di tutti gli afghani che transitavano e temporaneamente vivevano in Ostiense sarebbero stati minori. Ma dopo che la situazione era stata considerata fuori controllo, una serie di incursioni della polizia, nel 2013, avevano chiuso il campo, liberando la stazione dai migranti.
Nel 2011-2012, il numero di minori afghani che sono arrivati in Italia per mare è cresciuto rispettivamente a 544 e 541. Nel 2013 il numero è sceso a 310, poi a 181 nel 2014 e quando nel 2015 la rotta balcanica è stata aperta, ad appena 38 arrivi. Dopo la chiusura della rotta, tuttavia, il numero ha ripreso a salire, fino a 134 nel 2016. Successivamente, nel 2017, si è visto un nuovo calo (24 tra gennaio e luglio), secondo il Ministero degli Interni italiano. La maggior parte dei nuovi arrivati è giunta con imbarcazioni in Puglia o in Calabria, alcuni dalla Turchia ma la maggioranza dai porti della Grecia.
L’ultima ricerca di Save the Children sui minori non accompagnati in Italia descrive come il nascondersi nei camion ha provocato la morte di molti rifugiati, spesso minori e afghani, morti nei porti e sulle autostrade d’Italia, congelati o asfissiati all’interno di containers. Altri sono stati investiti dai camion sotto cui avevano cercato di nascondersi o di aggrapparsi.

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Bibihal, la rifugiata più anziana al mondo che la Svezia respinge

Da: Left – 5 settembre 2017

donna più anziana foto 300x200Una donna afghana di 106 anni si è vista respingere la domanda di asilo in Svezia, dopo aver affrontato un lungo e pericoloso viaggio per arrivare in Europa, a tratti venendo trasportata sulle spalle dal figlio e dal nipote.

Bibihal Uzbeki è una disabile grave e la sua famiglia ha fatto ricorso contro la decisione delle autorità di Stoccolma. L’agenzia svedese per le migrazioni ha confermato la decisione e ha aggiunto che l’età da sola non basta a garantire il diritto di asilo in un paese.
Secondo la legge svedese, la donna ha diritto a un massimo di tre appelli, ma per raggiungere la decisione definitiva potrebbe volerci molto tempo. Anche le richieste di asilo degli altri familiari di Bibihal sono a vari livelli d’appello.

La storia di quest’anziana afghana è finita sui giornali a ottobre 2015, quando Bibihal ha raggiunto la Croazia dopo aver abbandonato Kunduz, in Afghanistan. La strada dall’Afghanistan alla Croazia è lunga quasi seimila chilometri, e attraversa mari, monti, deserti e foreste.
Bibihal ci ha messo 20 giorni per arrivare in Europa. A tratti, il figlio di 67 anni e il nipote Muhamet di 19, l’hanno dovuta portare sulle proprie spalle.

Questo è il nostro villaggio: Jinwar

di Nahide Zengin

Da: jinwar.org – 17 luglio 2017

jinwar foto 300x180Il Villaggio delle donne libere di JINWAR è un villaggio di donne attualmente in costruzione nel cuore del Rojava (Kurdistan occidentale/Nord Siria) nel rispetto di principi ecologici. Con la diffusione delle immagini della vittoriosa resistenza dell’unità di difesa nazionale delle donne (YPJ) contro l’ISIS, la rivoluzione del Rojava ha mostrato a tutto il mondo il vero potenziale delle donne. Ora le donne del Rojava si sono riunite ancora una volta per portare avanti la loro lotta per una vita libera e pacifica attraverso la creazione di un villaggio ecologico di donne chiamato JINWAR.

Mentre la Siria è sconvolta dalla guerra civile, JINWAR vuole fornire un luogo alternativo e pacifico per la coesistenza delle donne, libera da qualsiasi tipo di violenza. Il villaggio si fonda sui principi della auto-sostenibilità e vuole offrire alle donne l’opportunità di provvedere ai propri bisogni fondamentali. Ci saranno giardini, orti, bestiame, campi coltivabili e diversi laboratori, oltre ad una scuola ed un centro per le arti. Costruito dalle donne per le donne, il villaggio ospiterà donne del Rojava di tutti i gruppi etnici e religiosi ed i loro figli.

La ricostruzione delle nostre case, intese anche come rifugio di pace, è un importante atto di resistenza di fronte alla violenza e alla guerra. Ma il villaggio non sarà semplicemente una serie di case, rappresenterà anche un modello di vita alternativo. Costruendo sulla ricca tradizione culturale e sulle conoscenze delle donne, JINWAR vuole essere un esempio di vita dove ogni donna possa raggiungere il proprio potenziale, libera dai limiti imposti dalle strutture oppressive del potere del patriarcato e del capitalismo.

JINWAR sarà un luogo dove le donne potranno riscoprire, ristabilire e reclamare collettivamente la propria libertà.

JINWAR è sostenuta da organizzazioni di donne in tutto il mondo. E’ una fondazione indipendente che collabora localmente con comunità e organizzazioni di donne, tra cui la Fondazione delle donne libere di Rojava (Weqfa Jina Azad a Rojava), Kongreya Star, l’Associazione delle famiglie dei martiri, il Comitato per gli affari delle donne e i bambini del cantone Cîzirê, il comitato di Jineology, ed altre.
Le pioniere della rivoluzione del Rojava stanno realizzando la costruzione di un modello di vita in cui le donne sono protagoniste. Oltre ai successi militari, le donne hanno intrapreso passi importanti che riguardano la sfera sociale e comunitaria, così come quella economica e diplomatica. Adesso stanno creando un proprio spazio vitale, con un forte spirito di solidarietà. Vicino a Dirbêsiyê, nel cantone di Cizîrê, la notizia della costruzione di un villaggio di donne chiamato JINWAR sta emozionando tutti quelli che ne vengono a conoscenza. La presentazione che ce ne fa Nahide Zengin, un membro del Comitato per la costruzione del villaggio delle donne libere, ci fa dire “Questo è un villaggio di donne, questa vita è vita di donne”. Nahide Zengin illustra gli sviluppi del progetto per il nostro giornale Newaya Jin.

Perché un villaggio di donne?

L’identità della donna ha caratteristiche importanti: prima di tutto, è la dea che ha oltre 10.000 anni. Non solo è resistente e combattiva, ma è anche saggia, una filosofa, un’artista e una creatrice. È la fondatrice della socializzazione e la forza della vita. È pacifica, ugualitaria, libertaria. Proprio come la donna è stata la pioniera della rivoluzione del villaggio agricolo, oggi è la pioniera di una rivoluzione che porta avanti con la propria volontà sulla terra in cui vive. Gli ultimi 5.000 anni, che hanno visto la cementificazione del potere della dominazione maschile specialmente a discapito della donna, non l’hanno soltanto resa schiava, l’hanno anche privata della propria volontà. Questo è il motivo per cui la donna, che sopporta il peso della guerra, della tirannia e dei problemi della società, vuole costruire uno spazio vitale per se stessa.
Abdullah Öcalan ha detto: “Più le donne agiranno liberamente, più saranno in grado di proporre scelte belle, giuste ed eque. È per questo che la realizzazione dei concetti di bellezza, giustizia ed eguaglianza nella vita sono strettamente legati alla liberazione della donna”; la natura della donna può realizzarsi solo nell’atmosfera di una comunità libera. E la libertà della comunità progredisce con la liberazione delle donne. Il villaggio delle donne rappresenta un passo in questa direzione.

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HDP presenta il rapporto sulla Violazioni dei diritti delle donne in Turchia

Da: Uiki – 20 settembre 2017

donne turchia fotoLa deputata di Istambul e vice presidente del gruppo parlamentare del Partito democratico dei Popoli, HDP, Filiz Kerestecioglu ha presentato lunedì un rapporto intitolato “Violazione dei diritti delle donne in Turchia” durante l’incontro della Commissione sull’Uguaglianza e la Non Discriminazione di Genere dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio D’Europa.

I punti salienti del rapporto di HDP sono i seguenti:

L’impatto dello stato di emergenza sulle donne
Nonostante i numerosi impegni, come la “Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza contro le donne e la violenza domestica”, assunti dalla Turchia negli ultimi decenni per promuovere e proteggere i diritti delle donne, la disuguaglianza e la discriminazione contro le donne si sono approfondite maggiormente soprattutto negli anni recenti. Oggi i diritti e le acquisizioni ottenuti nel campo dei diritti delle donne sono sotto minaccia in Turchia. Specialmente dopo il colpo di stato, la dichiarazione dello stato di emergenza e le politiche che alimentano la violenza hanno colpito la vita delle donne negativamente.
Il presente rapporto fornisce una panoramica delle principali questioni relative ai diritti delle donne in Turchia. Gli stati membri del Consiglio D’Europa dovrebbero aumentare gli sforzi per combattere la discriminazione contro le donne ed inoltre gli Stati membri dovrebbero condannare e combattere passi indietro che minerebbero i principi di uguaglianza e di non discriminazione. Sebbene le violazioni dei diritti umani in Turchia non siano nell’agenda del Consiglio D’Europa, i problemi che le donne si trovano ad affrontare in Turchia e gli attacchi ai diritti delle donne negli ultimi anni non hanno attirato abbastanza l’attenzione del Consiglio.
I caotici sviluppi in Turchia, le politiche di odio, l’estensione del coprifuoco di 24 ore imposte dal governo, lo stato di emergenza dichiarato dopo il tentativo di colpo di stato e i decreti legge hanno avuto un impatto negativo sulla vita delle donne. Politiche e discorsi sessisti si sono concentrati in questo periodo. Secondo i dati compilati dalla Coalizione delle Donne, le donne costituiscono almeno il 19, 6% (19.774) dei 100.797 dipendenti pubblici dismessi dai Decreti Legge dello Stato di Emergenza.
Le libertà economiche delle donne che hanno lottato per anni per ottenere l’indipendenza economica sono state tolte dalle loro mani. Sono state costrette a vivere dipendendo dai loro parenti, dai loro sposi, dai loro padri. Inoltre hanno difficoltà a trovare un altro lavoro in quanto sono denigrate. Le donne dismesse hanno perso la loro sicurezza sociale. Sono costrette a vivere sottoposte alla sicurezza sociale dei membri delle loro famiglie , dei loro sposi o a lavorare non in regola. Portano il peso di non essere in grado di soddisfare le necessità economiche di entrambi e dei loro bambini.
Durante lo stato di emergenza 11 associazioni delle donne e un associazione dei diritti dei bambini sono state chiuse durante il periodo dello stato di emergenza. Il governo ha cominciato a sostituire nel settembre del 2016 i sindaci eletti del DBP (Partito Democratico delle Regioni che è una componente del Partito Democratico dei Popoli ed è organizzato nei luoghi dove vivono i curdi) con commissari governativi designati politicamente nelle municipalità del sudest della Turchia. I commissari sono assegnati in 3 municipalità dell’AKP, 1 nell’MHP e in 81 municipalità del DBP. 35 sindaci donna sono stati arrestati . Le acquisizioni ottenute dalla partecipazione delle donne nelle amministrazioni locali sono state distrutte dai commissari.
846 giudici e procuratori donna sono stati dismessi. Con le dismissioni l’esistenza delle donne nella magistratura è diventata debole. Ad oggi almeno 30 donne giornaliste sono state poste in detenzione. La prima e unica agenzia stampa femminile Jin News Agency (JINHA) è tra le agenzia chiuse dai Decreti Legge, SUJIN, costituita al posto di JINHA, è stata anch’essa chiusa da un altro decreto legge emanato ad agosto. Programmi televisivi come Pane e le Rose e Bollettino Rosa sono stati rimossi dalle trasmissioni a seguito della chiusura di canali televisivo come Hayat TV e IMC TV, che sono emittenti televisive critiche.

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Le donne hanno problemi comuni, devono anche avere una lotta comune

Da Uiki, 1 settembre 2017

unita donne fotoGulan Fehîm, del Consiglio esecutivo della Società delle donne libere del Kurdistan orientale (KJAR), ha parlato all’ANF dei problemi che le donne hanno in Iran e nel Kurdistan orientale.
Fehîm ha sottolineato che lo stato iraniano sta conducendo una guerra ideologica contro le donne e ha sottolineato che l’Iran giudica qualsiasi probabile cambiamento in materia di diritti delle donne un intervento nella sua ideologia ufficiale.

Fehîm ha richiamato l’attenzione sull’oppressione cui le donne in Iran sono soggette da lungo tempo e ha dichiarato: “Questa situazione sta diventando più grave ogni giorno. A questo proposito il regime iraniano sta conducendo una guerra ideologica contro l’intera società e le donne. Questa realtà si osserva anche nella vita quotidiana, nella sfera pubblica e nel diritto elettorale .
La possibilità di un cambiamento in Iran è bloccata e la questione delle donne non può essere trattata in modo indipendente da questa realtà. Il regime iraniano non accetta cambiamenti rispetto ai diritti delle donne, che considera come intervento contro la sua ideologia ufficiale “.

LE DONNE SONO FUORI DALLA POLITICA
Fehîm ha sottolineato che il regime iraniano sta cercando di tenere le donne fuori dalla politica e ha continuato: “Il regime iraniano sta facendo tutto il possibile per impedire la partecipazione politica alle donne e alle minoranze etniche. Perché se questi elementi avessero possibilità di parola in politica, ci sarebbero dei cambiamenti legislativi. Per questo motivo il regime mantiene chiusa quella porta. Quando il regime sceglie una o due persone, sceglie solo coloro che non rappresentano in alcun modo una minaccia per se stesso”.

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Dov’è Santiago Maldonado?

da: http://www.indifesadi.org – 7 settembre 2017

Santiago Maldonado 1La mattina del 1 Agosto 2017, Santiago Maldonado è scomparso mentre manifestava a favore dei diritti del popolo indigeno Mapuche a Cushamen, nella provincia di Chubut, in una delle terre della Patagonia di proprietà della Benetton. La Gendarmeria Nacional Argentina (GNA) – forza di sicurezza di carattere militare – è intervenuta con violenza per disperdere i manifestanti e, nonostante non ci fosse un ordine giudiziario per l’operazione, è entrata all’interno della comunità rivendicata dai Mapuche.

Secondo alcuni testimoni, Maldonado è stato arrestato e caricato su una camionetta. Una manifestante ha detto di aver visto Maldonado tentare di sfuggire a una carica della GNA, che si preparava a sparare proiettili di gomma e di piombo, e di aver poi perso le sue tracce.

Le forze di sicurezza e il governo hanno negato ogni accusa sulla responsabilità degli agenti nella sparizione di Santiago. Patricia Bullrich, Ministra della Sicurezza Nazionale, ha inoltre affermato che “non si può avere la certezza assoluta che Santiago Maldonado fosse presente alla protesta” e che senza ulteriori prove non si può parlare di “sparizione forzata”.

Santiago Maldonado non è Mapuche ma da tempo solidarizza con la loro causa. La manifestazione del 1 agosto era stata organizzata dalla comunità Mapuche “Pu Lof en Resistencia” per reclamare il diritto al ritorno alle loro terre ancestrali e per chiedere la liberazione di Facundo Jones Huala, un leader Mapuche arrestato a giugno. Nel 1991 il gruppo Benetton acquistò 900.000 ettari in Patagonia, terre che secondo gli attivisti dovrebbero ritornare ai Mapuche, costretti a fuggire da quei territori durante l’epoca coloniale. Nel 2015, una comunità di Mapuche guidata da Huala occupò alcune terre del Chubut, e da allora sono frequenti scontri e proteste.
ONG, movimenti sociali e attivisti hanno organizzato diverse manifestazioni per chiedere alle autorità argentine un’indagine approfondita e trasparente sul caso di Santiago Maldonado. Il 1 settembre, in occasione di una protesta a Buenos Aires a un mese dalla sparizione di Santiago, la polizia ha attaccato i manifestanti, fra cui alcuni giornalisti, e ha arrestato circa 30 persone con l’accusa di “intimidazione pubblica”.

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7 OTTOBRE 2017: APPELLO PER AZIONE GLOBALE CONTRO LE BASI MILITARI

È TEMPO DI RESISTERE! INSIEME! – dal sito: itstimetoresist.org

317877 10150334309989209 1947480852 n 150x150Questo autunno, durante la prima settimana di ottobre, invitiamo la vostra organizzazione a pianificare un’azione anti-militarista nella vostra comunità come parte della prima Azione Globale Contro Le Basi Militari annuale. Nel resistere insieme per abolire la guerra e fermare la profanazione di Madre Terra, creiamo un mondo in cui ogni vita umana ha valore uguale e un ambiente sicuro in cui vivere. Questo è l’inizio di uno sforzo annuale per unire meglio il nostro lavoro e rendere più forti i legami fra di noi.
Vuoi unirti a noi a noi in questa azione congiunta di resistenza contro la guerra?

Background:

Il 7 ottobre 2001, in risposta agli eventi dell’11 settembre, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna lanciarono la missione “Enduring Freedom” contro l’Afghanistan. Queste forze militari colpirono un paese già sconvolto dall’invasione sovietica e da anni di una devastante guerra civile. Dall’11 settembre è stato istituito un nuovo concetto, la Guerra Globale Permanente, i cui impatti destabilizzanti sono drasticamente peggiorati da quel giorno fatale.

Oggi viviamo in un mondo in cui cresce l’instabilità, con guerre in continua espansione a livello mondiale. Afghanistan, Siria, Yemen, Iraq, Pakistan, Palestina, Libia, Mali, Mozambico, Somalia, Sudan e Sud Sudan sono solo alcuni dei punti caldi. La guerra è diventata una strategia per il dominio globale. Questo stato perpetuo di guerra ha un impatto devastante sul nostro pianeta, impoverisce le comunità e impone massicci movimenti di persone che fuggono dalla guerra e dal degrado ambientale.

Oggi, nell’era di Trump, questo approccio si è intensificato. Il ritiro degli Stati Uniti dagli accordi climatici di Parigi accompagna una politica energetica distruttiva, che ignora la scienza ed elimina le protezioni ambientali, con conseguenze che cadranno pesantemente sul futuro del pianeta e su tutti coloro che vivono su di esso.
L’uso di dispositivi come il MOAB, “la madre di tutte le bombe”, mostra chiaramente il corso sempre più brutale della Casa Bianca. In questo contesto, il paese più ricco e potente, che possiede il 95% delle basi militari straniere del mondo, minaccia regolarmente di intraprendere interventi militari contro altre potenze. Questo grottescamente spinge Russia, Cina, Corea del Nord, Iran e altri paesi ad aumentare le loro spese militari, portando a peggiorare le tensioni globali e l’instabilità.

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