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Autore: Anna Santarello

16 anni dopo l’intervento militare statunitense, c’è ancora posto per i diritti umani in Afghanistan?

ADIF – Rohina Bawer – 6 Settembre 2017

Rohina Bawer 1 150x150I famigerati signori della guerra e i loro accoliti, grazie all’invasione statunitense, continuano ad avere una forte presa sul governo e a violare grossolanamente i diritti umani, in particolare i diritti delle donne.

Nessuno si preoccupa veramente dei diritti umani; che diventano importanti solo quando giustificano la guerra. Pertanto, la guerra non sarà mai finita finché il potere rimane in possesso di potenti signori della guerra che garantiscono la loro sopravvivenza alimentando il fuoco della guerra e abbattendo i loro avversari con ferocia.

La debolezza nell’applicazione della legge e la corruzione, la mancanza di servizi sociali, la guerra civile, il caos politico, tra gli altri sono le principali sfide che impongono la necessità di affermare i diritti umani fondamentali.

L’invasione dell’Afghanistan da parte degli Stati Uniti si basava sulla nozione di “Guerra al terrorismo” che ha incorporato la violazione dei diritti umani fin dall’inizio della guerra. Il governo americano ha versato miliardi di dollari in questa guerra, di cui una grossa fetta è finita nelle mani delle bande armate e dei signori della guerra, perciò la speranza di porre fine alla guerra e a questa situazione è divenuta più che mai debole.

La violazione dei diritti umani in Afghanistan è sempre stata una grave preoccupazione alla quale il governo afghano non riesce a porre rimedio. La mancanza di sicurezza e l’impunità dei criminali sono la causa principale delle continue violazioni dei diritti umani in Afghanistan.

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Afghanistan, le leggi anti protesta

dal blog di Enrico Campofreda, 31 Agosto 2017

17AFGHANISTAN REFER master768Che l’Afghanistan non sia un Paese a democrazia crescente è risaputo, solo la narrativa geopolitica dettata dalla Casa Bianca vuol farlo credere. Tranne poi oscillare attorno alla propria presenza armata sul territorio con un numero variabile di militari: ultimamente generali e Trump pensano di rispedirne in servizio effettivo quattromila.
Così negli ultimi quindici mesi una parte della popolazione afghana, stanca di guerra interna e importata dalle missioni internazionali, aveva iniziato a protestare ricevendo in cambio le esplosioni mortali firmate Stato Islamico. Bombe rivolte anche contro i simboli dell’amministrazione Ghani, ma in varie occasioni lanciate sulle manifestazioni della comunità hazara, giudicata empia dai miliziani neri per il suo credo sciita.

Di fatto l’obiettivo destabilizzante dell’Isis è, come altrove, quello di ingigantire le paure della gente inducendo sottomissione, e lanciare un messaggio anche ai talebani ‘ortodossi’ contattati dal presidente afghano per possibili accordi di cosiddetta pacificazione. Come ambasciatore per questo piano è stato cooptato il noto signore della guerra

Gulbuddin Hekmatyar che è potuto rientrare nella capitale da cui mancava da molti anni.
I suoi fan l’hanno accolto con tutti gli onori, ma per migliaia di famiglie Hekmatyar è il macellaio di Kabul, il fondamentalista che combattendo contro suoi simili (Massoud, Rabbani, Dostum) ha contribuito a seminare lutti fra la popolazione nel quadriennio di guerra civile di metà Novanta. Già difeso dal presidente Karzai, che ha impedito qualsiasi rivisitazione legale dei massacri antecedenti all’invasione statunitense del 2001, questo criminale è stato richiamato dall’attuale leader Ghani in appoggio al suo progetto di dialogo coi talebani che controllano molte delle 34 province.

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La Sosta degli Afgani. Un’esperienza di inclusione

di Roberto Cavarra e Ludovica Rossotti [**], istitutoeuroarabo.it

copertina8 300x212 300x212La presente ricerca restituisce un’esperienza concreta di volontariato rivolto ai rifugiati provenienti dall’Afganistan. Si tratta di un tipo di attività che va a colmare un vuoto lasciato ormai da diverso tempo dal Comune di Roma, sostituendosi e aggiungendosi mediante diversi servizi di accoglienza nel rispetto dell’identità sociale. La peculiarità di questa realtà di volontariato è che non è un’attività sugli immigrati ma con gli immigrati stessi, quindi non è mirata ad intervenire su un processo ma a lasciare spazio e a lavorare insieme agli immigrati, rispettando la loro cultura.

Attraverso un’indagine esplorativa con approccio qualitativo si è voluto contribuire a far emergere la situazione, il vissuto dei rifugiati afghani, il tormentato viaggio che li ha portati fino a Roma e come l’Associazione “La Sosta” possa aver contribuito ad alleviare il loro difficile vissuto quotidiano, con il preciso intento che la consapevolezza unita alla conoscenza vera e non stereotipata possa contribuire a superare le paure e le diffidenze reciproche tra abitanti del quartiere Ostiense e i migranti

Introduzione

A volte dei film sono più eloquenti nel trattare specifici argomenti che intere filiere di libri ed articoli. Chi non ricorda o non ha visto due film immortalati nella cinematografia mondiale, Indovina chi viene a cena? e La lunga notte dell’ispettore Tibbs. Abbiamo scelto questi film, perché a nostro avviso rendono più di altri il senso di quello che vorremmo mettere in rilievo. Le interpretazioni che si possono e si sono date di questi film sono molteplici, a noi qui interessa un aspetto che ci sembra emerga da essi che vale la pena sottolineare. Il pregiudizio, il razzismo, la discriminazione, possono essere demoliti nel momento in cui si stabilisce tra gli attori sociali una relazione sociale, una relazione face to face.

Com’è noto è questo un aspetto centrale nella sociologia weberiana. Secondo il sociologo tedesco il comportamento diventa azione sociale allorché vi si associa un senso soggettivo che presuppone una reciprocità di azione in base alla quale altri attori hanno orientato, orientano ed orienteranno il loro agire in conformità al senso soggettivo connesso all’azione intrapresa. In sostanza vi è una attribuzione di senso socialmente condiviso.

Da questo presupposto criterio di reciprocità di senso, il sociologo di Economia e Società chiarisce cosa debba intendersi per relazione sociale. Quest’ultima si differenzia dall’azione sociale allorquando si instaura tra due o più attori una relazione il cui criterio di senso viene stabilito in una continua interazione di reciprocità. In altre parole il contenuto di senso di quella relazione è costituito e condiviso intenzionalmente dagli attori orientando il loro agire in conformità a quel contenuto di senso da loro fondato. Dunque in una relazione sociale, il contenuto di senso, intenzionalmente condiviso e costituito, non è “calato dall’alto”, non è dettato da norme giuridiche o sociali, ma emerge da una relazione face to face tra gli attori nella dialettica di una interazione reciproca.

Dovremmo tornare su quanto qui accennato, allorché illustreremo le coordinate generali e i risultati di una ricerca svolta presso una particolare associazione che intrattiene relazioni con un gruppo di immigrati afgani. Riteniamo possibile ai fini del nostro discorso, mantenere la nostra analisi, ad un livello più generale ponendoci una domanda: in quale contesto socio-culturale, economico e politico viviamo?

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Quando Mah Gul è stata decapitata

di Noorjahan Akbar,  tpi.it – 10 Settembre 2017

Una giovane donna afghana ha rifiutato di prostituirsi. Per questo è stata decapitata dalla famiglia di suo marito. Noorjahan Akbar su TPI

quando mah gul stata decapitata orig mainLa maggior parte di noi non saprà mai chi era Mah Gul, oppure si dimenticherà molto presto di lei.

Mah Gul era una giovane donna di 20 anni e viveva a Herat, in Afghanistan. È stata decapitata dalla famiglia di suo marito, nell’ottobre del 2012, per aver rifiutato di prostituirsi. Il mondo non ha tremato.

Quando Mah Gul è stata decapitata, nessuno ha acceso una candela. Nessuno ha pregato per lei. Nessuno le ha scattato una foto. Nessuna città ha esposto manifesti con sopra il suo nome e la sua foto.

Nessuno ha raccontato la storia della sua vita, i suoi sogni, la sua felicità, la sua tristezza, il suo sorriso o il modo in cui osservava il mondo.

Quando Mah Gul è stata decapitata, nessuno ha elogiato la sua integrità, il suo coraggio, la sua moralità.

Quando Mah Gul è stata decapitata, i miei amici di Facebook scrivevano dei loro cibi preferiti o delle loro difficoltà quotidiane.

Quando Mah Gul è stata decapitata, gli spensierati ragazzi afghani definivano una giovane donna come una puttana.

Quando Mah Gul è stata decapitata, i Taliban usavano le donne come copertura per portare i loro feriti agli ospedali.

Quando Mah Gul è stata decapitata, gli stanchi poliziotti afghani fumavano in cima alla collina Maranjan.

Quando Mah Gul è stata decapitata, un poeta descriveva il sapore che avevano le labbra della sua amata.

Quando Mah Gul è stata decapitata, i reportage parlavano del dibattito presidenziale in America.

Quando Mah Gul è stata decapitata, un soldato in Afghanistan scriveva una lettera a suo figlio.

Quando Mah Gul è stata decapitata, gli insegnanti afghani ricopiavano per l’ennesima volta una storia noiosa e distorta sulle lavagne.

Quando Mah Gul è stata decapitata, una prostituta di Kabul era appoggiata a un muro freddo, piangendo dalla fame.

Quando Mah Gul è stata decapitata, le emittenti televisive afghane trasmettevano le soap opera indiane.

Quando Mah Gul è stata decapitata, il nostro vicino stava picchiando di nuovo sua moglie.

Quando Mah Gul è stata decapitata, le donne di Herat stendevano le camicie ad asciugare, sperando di sentirsi un giorno libere.

Quando Mah Gul è stata decapitata, le donne americane facevano yoga per alleviare lo stress.

Quando Mah Gul è stata decapitata, un intellettuale afghano commentava il fatto che oggi le donne indossano veli più piccoli, e un mullah locale predicava di come il lavoro alle donne promuove la prostituzione.

Quando Mah Gul è stata decapitata, Angelina Jolie non lo sapeva.

Quando Mah Gul è stata decapitata, le nostre allieve non hanno indossato veli neri in segno di lutto.

Quando Mah Gul è stata decapitata, il presidente era molto impegnato.

Quando Mah Gul è stata decapitata, il mondo non ha tremato. In ogni parte del pianeta, le persone continuano la catena di montaggio delle loro vite.

Quando Mah Gul è stata decapitata, sua madre ha sorriso, perché sua figlia era finalmente libera.

Noorjahan Akbar per TPI. Qui il suo blog.
(Traduzione di Federica Flisio)

Afghanistan, un paese fuori controllo.

La Difesa del popolo – 28 luglio 2017

Afghanistan un paese fuori controllo articleimageMai così tante vittime civili in Afghanistan, dove nel primo semestre 2017 l’Onu ha registrato 1.662 morti e 3.851 feriti. Ad aumentare la conflittualità, l’arrivo dell’Isis. L’Occidente punta a un ulteriore aumento delle truppe, una scelta fortemente criticata dal mondo pacifista e giudicata inutile dagli stessi analisti ed esperti di strategie militari.

Mai così tante vittime civili in Afghanistan, dove nel primo semestre 2017 l’Onu ha registrato 1.662 morti e 3.851 feriti.
Esplosioni, attentati, mine e ordigni artigianali hanno colpito la popolazione soprattutto a Kabul, precisa la Missione di assistenza dell’Onu in Afghanistan (Manua) nel suo rapporto semestrale. Le vittime civili sono in aumento in 15 su 34 province del paese: segno che il conflitto si estende, con una nuova ondata di attacchi perpetrati dagli insorti.
Secondo il rapporto, le vittime donne dall’inizio dell’anno a fine giugno sono state 174, ovvero il 23 per cento in più rispetto al periodo precedente, mentre i bambini che hanno perso la vita sono il 9 per cento in più, 436. Molte morti sono dovute all’attacco suicida del camion esploso a Kabul nel quartiere delle ambasciate, il 31 maggio: il più grave dal 2001 secondo il presidente Ashraf Ghani.
Sono in aumento anche le vittime, in particolare donne e bambini, di mine antiuomo e raid aerei contro ribelli, talebani e il cosiddetto Stato islamico.
La Manua attribuisce la maggior parte del bilancio di vittime alle forze anti-governative, e stima che siano responsabili di un numero sempre maggiore di morti e feriti (il 12 per cento in più rispetto all’ultimo semestre del 2016).

Secondo i dati della Manua, dal gennaio 2009 sono state 26.500 le vittime civili del conflitto afghano, più di 49 mila i feriti.
Drammatica la situazione dei bambini: sempre secondo un recente rapporto di Unama, nel 2016 i bambini uccisi sono stati 923. L’aumento dei bambini uccisi rispetto all’anno precedente sarebbe stato del 25 per cento.

Sul piano militare «l’Afghanistan è ormai una guerra persa», secondo il parere riportato dall’agenzia Dire di Claudio Bertolotti, dal 2005 al 2008 capo sezione di contro-intelligence e sicurezza della Nato in Afghanistan, oggi analista strategico di Itstime (Italian team for security, terroristic issues & managing emergencies). Intervistato da Lookout news all’indomani dell’esplosione del camion bomba che il 31 maggio scorso a Kabul aveva causato più di 150 morti, Bertolotti ha sottolineato che «l’Isis negli ultimi mesi ha compiuto attacchi spettacolari con l’obiettivo di reclutare un numero sempre maggiore di nuove leve. Lo Stato islamico ha finora manifestato una forte capacità operativa, che però va ben al di là della sua effettiva capacità di mobilitare le masse».

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La guerra invisibile contro i difensori della Terra è un’emergenza globale

Huffingtonpost, 17 Luglio 2017 di Francesco Martone, ex Senatore della Repubblica, membro del Comitato nazionale di “Un ponte per…”

http 2F2Fo.aolcdn.com2Fhss2Fstorage2Fmidas2F4a7c88a4116bfa6ca3ced474230a9a1a2F2025095272F508347521In un suo splendido editoriale sull’ultimo numero della rivista “liberal” statunitense Harper’s la scrittrice ed attivista Rebecca Solnit si cimenta con il tema dello spazio. Spazio fisico di agibilità, e spazio immateriale di compressione dei diritti. Tutto il potere, dice, “può essere inteso in termini di spazi. Spazi fisici, come anche le economie, le conversazioni, la politica – tutto può essere inteso come aree occupate inegualmente. Una mappa di questi territori costituirebbe una mappa del potere e dello status. Chi ha di più e chi ha di meno”, ed il”dominio dello spazio e del territorio da parte di chi ha potere può essere chiamato violenza strutturale”. La teoria basagliana definiva questa violenza strutturale come “crimine di pace”, altri la chiamano semplicemente, “necropolitica” termine coniato dal sociologo africano Achille Mbembe assieme a quello di “biopotere” .

Spazi che si chiudono nella tenaglia tra “necropolitica” e “biopotere”. In gergo il termine usato è “shrinking space” un termine che però rischia di rielaborare un’urgenza ed un’emergenza politica globale in maniera asettica e per questo “depoliticizzata”. Chi è responsabile del restringimento di questi spazi di agibilità? Chi li occupa e popola quegli spazi? Solo quella che si può considerare secondo norma la società civile? In realtà anche la scelta delle terminologie ormai diventate ricorrenti anche tra fondazioni e agenzie di cooperazione, rischia – come sottolineato in un dossier del Transnational Institute – di invisibilizzare ancor di più quello che già di per sé è invisibile, chi quotidianamente lotta e resiste per i propri diritti e quelli della collettività.

A darci qualche importante e drammatico indizio della guerra nascosta che si combatte, a armi impari, contro chi con la nonviolenza si mobilita per difendere la propria terra, l’ambiente dalle ricadute nefaste del modello di sviluppo estrattivista è l’ultimo rapporto a cura di Global Witness, intitolato “Difensori della terra. Omicidi di difensori della terra e dell’ambiente nel 2016”.

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Triste notizia da AFCECO Children

Dalla pagina Facebook di AFCECO Children – 24/07/2017

20246404 1644587445560576 9009984790374224343 n[Nell’attentato di oggi a Kabul ha perso la vita Khala Aziza, la cuoca di uno degli orfanotrofi di Afceco Children.
Una notizia che ci lascia attonite e molto preoccupate per la sorte dei nostri amici in Afghanistan, che sfidano ogni rischio e vincono la paura per continuare a lottare e lavorare per cambiare il loro paese.
Abbiamo voluto esprimere la nostra vicinanza agli amici di Afceco inviando un messaggio di condoglianze
]

Dearest and beloved brothers and sisters of Afceco,
we came to know with great sorrow about the loss of your (and our) beloved Aziza in today’s attack in Kabul.
We feel close to you with all our affection and we want to convey to you, to her family and to all girls and boys of Afceco orphanage a thought that comes from the bottom of our hearts. Unfortunately we are far away, but we always feel so close to all of you.

Every day, in your war-torn country you are forced to face so many difficulties in order to try to lead a normal life and sometimes this means loose one’s life, as it happened to Aziza today.

We know that this is for you a time for sadness, but we also know that you’ll find the strenght to carry on your immense work with the children; this will be the best way to remember Aziza and her great commitment in Afceco Orphanage.

We hug you all with all our affection
Your CISDA friends

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GIALLO FIDUCIA

Costa Fundation – Elide – 10 maggio 2017

immagine1Crediamo che l’unica via verso un mondo migliore, sia l’educazione. E qui ci siamo. Ma ciò che sembra facile o magari addirittura ovvio, non sempre lo è. In Afghanistan ci sono donne, che da oltre quarant’anni combattono per la libertà di pensiero, di parola, di azione. Private di ogni diritto, per una donna in Afghanistan l’educazione può rimanere un miraggio anche una vita intera, non se ne parla neanche di una professione o di un’autonomia economica.

Per una donna in Afghanistan l’educazione può rimanere un miraggio anche una vita intera, non se ne parla neanche di una professione o di un’autonomia economica.

Durante il regime talebano, dal 1990 al 1996 si bandirono le donne dalle università, viene loro proibito di lavorare fuori casa, ai medici maschi è proibito vistare le donne, che possono parlare con il medico solo stando dietro a una tenda.

Le donne sono obbligate a rimanere in casa, dove le finestre devono essere oscurate affinché non possano guardare fuori. Il burqa è d’obbligo, non si possono indossare scarpe che fanno rumore, ma neanche calze e scarpe bianche, perché il bianco è il colore della bandiera dei talebani; il rossetto e lo smalto sono messi fuori legge e le donne devono parlare a voce bassa. Da allora poco è cambiato, il caos di un paese in balìa di una guerra civile, abbandonato a se stesso e dimenticato, è totale e disastroso. “Devi avere fiducia nel futuro”, mi dice la mia mamma, e io aggiungo che se vogliamo davvero pensare ad un futuro migliore, dobbiamo sostenere l’educazione di donne e bambini, perché come scriveva Maxim Gorky: solo le madri possono pensare al futuro, perché sono loro a farlo nascere con i loro figli.

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La Cina in Afghanistan e Pakistan in nome di Belt and Road

REDAZIONE de L’INDRO – 20 luglio 2017

Cina Pakistan AfghanistanIl conflitto in Afghanistan ha fatto segnare quest’anno un nuovo record di vittime civili: 1.662 morti nei primi sei mesi dell’anno, il 2% in più rispetto al 2016. Lo ha reso noto oggi la missione Onu in Afghanistan (Unama). Nel rapporto di metà anno, le Nazioni Unite fanno notare che gli attentati kamikaze e gli attacchi ‘complessi’ (quelli legati a strutture organizzate di insorti) sono aumentati del 15% in questo periodo, con 3581 feriti tra il 1 gennaio al 30 giugno. Esplosioni, attentati, mine ed ordigni artigianali hanno colpito la popolazione soprattutto a Kabul. Le vittime civili sono in aumento in 15 su 34 provincie del Paese: segno che il conflitto si estende, con una nuova ondata di attacchi perpetrati dagli insorti.

A questa situazione si aggiungano le tensioni con Pakistan. Le tensioni tra le due repubbliche islamiche in Asia centrale, Afghanistan e Pakistan hanno raggiunto l’apice 31 maggio 2017, con l’esplosione di una cisterna nel quartiere diplomatico di Kabul. L’esplosione ha ucciso 80 persone e ne ha ferito centinaia. L’agenzia di stampa afghana ‘NDS‘ ha riferito che l‘esplosione è stata pianificata dalla rete Haqqani in Pakistan con l’aiuto diretto dell’agenzia di intelligence del Pakistan.

Anche il Pakistan è colpito dal terrorismo e da una forte instabilità, seppure in maniera minore rispetto al vicino.

In questo scenario, nel contesto del quale la NATO in Afghanistan è impegnata da oltre 16 anni, e gli USA e i suoi alleati hanno dominato la scena e ora guardano al Paese in maniera sempre piùstanca‘, non ultimo perchè il risultato di questi sforzi è un Paese in uno stato di guerra cronico, e gli americani stanno perdendo terreno in Pakistan, che fino a poco tempo fa era il loro alleato nella guerra contro il terrorismo afghano (e che in precedenza li ha aiutati contro l’attività sovietica del Paese), la Cina sta entrando in scena.

La leadership cinese, che ha sempre guardato ai due problematici Paesi da lontano, ha deciso di entrare e costruire un meccanismo di collaborazione.

Questa mossa, spiegano gli analisti del Begin-Sadat Center for Strategic Studies, è coerente con l’obiettivo strategico della Cina: la stabilizzazione dell’arena globale in generale e in particolare dei Paesi che dovrebbero essere partner  nell’iniziativa Belt and Road Initiative (BRI). Volendo, i cinesi, costruire strade di terra e mare, sanno che per poterlo fare dovranno affrontare le difficoltà dei Paesi che queste strade vorranno attraversare.

Le tensioni tra i Afghanistan e Pakistan sono appena nuove; sono in corso da diversi decenni. I punti di frizione vanno dalle risorse idriche ai confini fino alle conseguenze della guerra in Afghanistan, iniziata nel 1978 e continua ad un certo livello fino ad oggi.

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In Afghanistan il velo non ferma le giocatrici di calcio

Internazionale – 19 luglio 2017

138413 md 300x169“Siamo completamente coperte. Il velo ci dà un po’ fastidio, ma solo così ci permettono di giocare a calcio. Abbiamo fatto un compromesso”, dice Sabriha, capitana delle squadra di calcio femminile di Herat, in Afghanistan.

Un gruppo di ragazze ha trovato nel calcio un modo per stare insieme ed emanciparsi dal ruolo tradizionale delle donne nella società afgana. I taliban hanno provato a farle smettere, ma si sono scontrati con la determinazione delle giocatrici e dell’allenatore. La squadra di Herat è oggi una realtà di professioniste, che aspira a partecipare a competizioni femminili internazionali.