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Autore: Anna Santarello

33.074 persone sono state licenziate dal Ministero dell’Istruzione Nazionale con un decreto esecutivo

BIA – News Desk  13 luglio 2017

51 133.074 persone sono state licenziate dal Ministero dell’Istruzione Nazionale (MEB) con un decreto esecutivo per la ricorrenza del colpo di stato del 15 luglio.
Secondo l’Agenzia statale Anadolu, citando dati del MEB, 4.756 persone di quelle licenziate sono state mandate in prigione.

627 persone discolpate di essere membri di  “Fethullahist Terror Organization (FETÖ)” sono fuggite.
4.513 persone sono state sospese dal lavoro per decreto esecutivo.
339 persone sospese sono state arrestate.
Mentre 810 lavoratori detenuti del Ministero sono stati rilasciati, sette che erano accusati di essere membri del FETÖ sono fuggiti.

Permessi di lavoro di 22.474 insegnanti che lavoravano presso istituzioni private sono stati revocati dai governatori. Permessi di lavoro di 2.182 insegnanti sono stati restituiti. (YY/TK)

Traduzione a cure del CISDA

Taliban, teoria e prassi del jihad afghano

Enrico Campofreda dal suo Blog – 19 luglio 2017

TaliPartendo dai testi di Amhed Rashid, decano dell’ermeneutica talebana, ma anche di altri giornalisti che si sono dedicati all’argomento, due ricercatori del network di analisi sull’Afghanistan (Anand Gopal e Alex Strick van Linschoten) hanno avviato un interessante studio del fenomeno taliban. In un primo documento ne distinguono alcune fasi: una precedente al 1979, la lotta antisovietica e la guerra civile, la creazione dell’Emirato dell’Afghanistan, che coincide con la presa del potere e il governo del Paese. Quindi crisi e caduta, conseguenze e compattamento attorno a un progetto di islamismo nazionalista.

Longevità – Uno dei tratti che caratterizza lo sviluppo di varie epoche dell’epopea talebana è la longevità del progetto. In ogni fase, pur fra alti e bassi del rapporto col potere, la capacità organizzativa rappresenta un elemento di forza degli studenti guerriglieri, correlato alla repressione. Paradossalmente più questa trova spazio più li rafforza, fornendogli la materia prima rappresentata dai giovani combattenti, forgiati e cementati dall’ideologia.
Buona parte degli studenti coranici, si sa, si sono formati nelle madrase pakistane durante il periodo della dittatura del generale Zia ul-Haq, avviata con un colpo di mano nel luglio 1977 e proseguita per oltre un decennio.

Quegli anni conobbero, fra l’altro, una crescente islamizzazione integralista della società pakistana sostenuta e incentivata dal presidente che riceveva finanziamenti sauditi per la diffusione del wahhabismo.
I giovani talebani si formavano anche nei campi profughi dov’erano riparate decine di migliaia di afghani in fuga dall’invasione dell’Armata Rossa.
I ricercatori esaminano materiale documentario, come le memorie di jihadisti antisovietici che avevano partecipato alla guerriglia nel sud del Paese. Nelle testimonianze di capi guerriglia e di semplici miliziani l’idea della difesa del territorio da ingerenze esterne si lega a quella dell’onore, alle virtù innescate, come dicevamo, dalla repressione, sia interna attuata dai governi fantoccio, sia esterna supportata dagli eserciti alleati.

Identità – Il messaggio patriottico dei talebani nelle province in cui sono presenti è un tutt’uno col radicamento in tali aree di mullah, giovani studenti e fedeli islamici sostenuti dal desiderio di affermare una propria identità. Il loro periodo di formazione è lungo. Nasce dai mesi e poi dagli anni di resistenza antisovietica degli stessi mujahhedin, ma va oltre i poteri individuali acquisiti nel tempo dai Signori della guerra che da quella resistenza sono scaturiti. Il riferimento risale direttamente alla tradizione islamica presente alla disgregazione dell’Impero Ottomano e ai successivi rappezzamenti geopolitici coloniali che introducono il ripristino di monarchie locali, dalle progressiste di Amanullah, al pensiero più moderato di Narid Shah e del figlio Zahir.

Il patchwork islamico, già allora presente, nell’area dell’ex Pashtunistan (diviso nel 1893 dalla cosiddetta Linea Durand fra l’Afghanistan propriamente detto e quella parte delle Indie Britanniche che nel Secondo dopoguerra diede origine al Pakistan) punta sempre a formulare una difesa della propria tradizione culturale contro il dominio Occidentale. In tal senso le esperienze monarchiche o repubblicane sono viste dai movimenti islamisti come un puntello dell’imperialismo di ritorno, ben radicato in tutto il Medioriente con le truppe schierate o con i piani economici, ciascuno accettato e subìto dai governi considerati collaborazionisti.

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Olimpiadi della robotica, ci sono anche le ragazze afghane bloccate dal Muslim Ban

Marta Serafini – Corriere della sera – 17 luglio 2017

AFP QK1BJ 0011 kvwH U43340850699306mY 593x443Corriere Web SezioniAlla fine ce l’hanno fatta, nonostante il Muslim Ban e nonostante la disparità di genere. Il team delle giovanissime geniali studentesse afghane, cui precedentemente era stato negato il visto, sta partecipando a Washington alle prime Olimpiadi di Robotica organizzate dalla organizzazione americana First Global (16-18 luglio).

La squadra delle ragazze di Herat ha rischiato, unica tra i partecipanti provenienti da 158 nazioni di cinque continenti, di non poter entrare negli Stati Uniti a causa del provvedimento deciso dall’amministrazione Trump che ha bloccato i visti di ingresso per sette Paesi, compreso l’Afghanistan. Un doppio smacco.

Nel comunicato stampa con cui annunciava in maggio lo svolgimento dell’iniziativa, First Global aveva sottolineato che essa si rivolgeva particolarmente alle ragazze, e che per questo il 60% dei team erano formati da membri di sesso femminile di Paesi come Afghanistan, Vanuatu, Tanzania, Palestina e Giordania. Come in molti Paesi dell’area islamica, la condizione della donna nella società afghana è particolarmente difficile, dato che spesso le famiglie preferiscono far studiare i figli maschi relegando le femmine alle mansioni domestiche e a un matrimonio contrattuale. Per questo l’invito rivolto alle giovani afghane residenti a Herat City era particolarmente significativo.

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Erdoğan, il patriota tagliatore di teste

Enrico Campofreda dal suo BLOG – 16 luglio 2017

63d5645d64e840f2bb7da1035732de58 9L’anniversario della paura trasformatasi in forza, torna a essere apoteosi dell’uomo simbolo dell’odierna Turchia. A lui si stringe la folla dei patrioti che ne approva tutta la furia seguente, ritrovandosi nel cuore della notte istanbuliota a ricordare l’orgoglio anti golpista e osannare un anno di vendette. Rivincite attuate e rappresaglie promesse: “Taglieremo la testa ai traditori” giunge a gridare il presidente.

E se usa lo stile del califfo Al Baghdadi mentre il mondo osserva e ascolta, sa di poter affondare il metaforico coltello nelle gole. Non si tratta solo d’una frase a effetto, la truculenza che Erdoğan regala a una platea interna eccitata è momento di vanto nelle ore in cui si scoprono le steli dei 249 martiri difensori della patria. Ed è sondaggio esterno per capire l’aria che tira davanti al suo progetto di reintrodurre quella pena di morte che egli stesso, nel 2004, aveva congelato. Sembrano trascorsi decenni, soprattutto per coloro che come la numerosa comunità kurda sperava in un processo di possibile pacificazione, mentre è più di altre opposizioni colpita e smantellata nella sua articolazione rappresentativa, con finanche i co-presidenti del partito Hdp agli arresti. Si tratta degli effetti collaterali, e che effetti! Hanno condotto il partito islamista turco ad alzare il tiro contro tutti.

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Morte in Afghanistan: nel 2017 record di vittime civili

In Afghanistan, nel 2017 record di vittime civili, dall’inizio dell’anno ci sono stati 1600 morti, esclusi combattenti e militari

globalist – 17 Luglio 2017

downloadStando alle statistiche ufficiali dall’inizio dell’anno ci sono stati 1600 morti, esclusi combattenti e militari

Secondo quanto riferiscono le Nazioni unite, il numero delle vittime civili in Afghanistan ha raggiunto un nuovo record: sono 1.600 dall’inizio del 2017 e 3.581 i feriti. Una gran parte dei civili uccisi (40%) è morta a causa dell’esplosione di ordigni artigianali, di cui circa un quinto nei pressi della capitale Kabul, precisa la Missione di assistenza dell’Onu in Afghanistan nel suo rapporto semestrale

Kamikaze si fa esplodere nel Nord- ovest del Pakistan
Un attentatore suicida si è fatto esplodere vicino a un veicolo che trasportava uomini del gruppo paramilitare Frontier Corps (FC) nel Nord-ovest del Pakistan, nei pressi di Peshawar, alla frontiera con l’Afghanistan: due persone sono rimaste uccise ed altre sei ferite (di cui quattro civili), secondo quanto riferito dalla polizia, che attribuisce l’attentato ai talebani.
Le forze di sicurezza hanno riacquistato il controllo del distretto di Nawa
Le forze di sicurezza afghane hanno ripreso oggi il controllo del distretto di Nawa nella provincia meridionale di Helmand. Lo ha riferito la tv Tolo di Kabul. Il distretto, precisa l’emittente, era rimasto in mano dei talebani per nove mesi e la sua riconquista è avvenuta dopo una offensiva in grande stile cominciata sabato. Il “successo completo” dell’operazione è stato confermato dal portavoce provinciale, Omar Zwak. “Dieci talebani – ha precisato – sono stati uccisi ieri sera in un raid aereo delle truppe straniere e le forze di sicurezza hanno riacquistato il controllo del distretto all’alba di oggi”. I talebani, da parte loro, non hanno per il momento commentato l’accaduto.

Prostituzione forzata per le profughe dei campi gestiti dallo Stato turco

dakobaneanoi – 2 Luglio 2017

Avevamo già avuto occasione di scrivere, in questo blog, dei traffici loschi che avvengono nei campi profughi governativi AFAD, centri di attività di ISIS in Turchia. Avevamo anche già scritto a proposito delle profughe ridotte a schiave sessuali per le forze speciali turche. Un paio di giorni fa è apparsa su Firat News la notizia delle prostituzione forzata a cui son costrette le profughe siriane, anche giovanissime, nel campi AFAD.

afad1 300x176 300x176Donne nei campi AFAD in balia di bande che sfruttano la prostituzione

È emerso che donne siriane che vivono nei campi profughi AFAD (Presidenza per la Gestione dei Disastri e delle Emergenze) gestiti dallo Stato turco a Elbeyli e Islahiye subiscono violenza da parte di bande che sfruttano la prostituzione. Queste bande operano in combutta con funzionari dei campi.

Secondo l’agenzia stampa Dihaber, donne fuggite dalla Siria con le loro famiglie sono state collocate nei campi di Elbeyli e Islahiye e ora vengono spinte alla prostituzione. Un guardiano di sicurezza del campo di Islahiye ha dichiarato: “Bambine tra i 16 e 17 anni in questo campo vengono spinte alla prostituzione. Non sappiamo chi siano i responsabili. Tuttavia i funzionari del campo gli permettono di entrare e uscire liberamente dal campo. Dicono cose come ‘abbiamo a fare del lavoro’ e affermano di avere bisogno di sei o sette persone. Con il pretesto del lavoro portano con sé delle donne e dopo averle fatte prostituire, riportano queste ragazze. Ogni volta la procedura è la stessa”.

QUELLE PORTATE FUORI DAL CAMPO NON RITORNANO MAI
Le confessioni fatte dal cittadino Yaşar Budak ancora una volta illustrano il dramma dei rifugiati, dicendo che nel distretto di Elbeyli di Kilis quasi ogni famiglia ha preso una donna siriana. Ha detto di essere sposato con tre donne siriane lui stesso. Budak ha spiegato che tutte le profughe siriane in questa città sono state portate fuori dal campo dopo accordi presi con le loro famiglie, dicendo: “L’approvazione delle donne non conta, appena vengono dati dei soldi alle loro famiglie, queste donne non ritorneranno più al campo.”
Budak ha detto che per questa ragione Kilis è diventato un settore industriale al quale sono stati assegnati degli operatori per mandare avanti il lavoro. Budak ha spiegato che dopo un accordo con questi agenti, i funzionari del campo vengono contattati e le donne portate fuori dai campi con le loro famiglie come venissero portate a fare un giro. Budak ha proseguito dicendo che in un villaggio vicino a Elbeyli o in una caffetteria nella città di Kilis si svolge un incontro con le famiglie e dopo aver raggiunto un accordo, le donne vengono “vendute”.

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Lettera del Movimento delle donne del Kurdistan (KJK) alla portavoce del consiglio indigeno di governo

dakobaneanoi – 1.7.2017

vocera 300x200Alla compagna María de Jesús Patricio Martínez, rappresentante della volontà del popolo indigeno del Messico e del Congresso Nazionale Indigeno.

In primo luogo, vogliamo mandare alla nostra sorella messicana il nostro più profondo rispetto e il nostro saluto rivoluzionario dalle montagne del Kurdistan fino alle catene montuose della Sierra Madre oltreoceano.
Nonostante i fiumi, le montagne, i deserti, le valli, i canyon e i mari che ci separano, siamo fratelli e sorelle indigene, non importa in che parte del mondo stiamo. La nostra lotta, la nostra resistenza contro l’occupazione e il colonialismo, il nostro sogno per una vita libera è comune e in questo senso, come Movimento di Liberazione del Kurdistan, dichiariamo che consideriamo la lotta per l’autodeterminazione, l’auto-amministrazione e l’autodifesa dei popoli indigeni del Messico organizzati nel Congresso Nazionale Indigeno (CNI) come nostra e la sosteniamo basandoci sui principi della solidarietà rivoluzionaria.
I popoli indigeni sono le vene attraverso le quali i principi e i valori culturali e sociali dell’umanità vengono trasmessi dai primi momenti della socializzazione fino ai giorni nostri.
Senza dubbio nessun popolo è superiore ad un altro, ma in un momento in cui la modernità capitalista vuole distruggere ogni valore collettivo, i popoli indigeni sono la dimostrazione del tessuto sociale di tutta l’umanità. Migliaia di anni di memoria collettiva risorgono nelle nostre canzoni, nei nostri rituali, nelle nostre preghiere, nei nostri tatuaggi, nelle nostre danze e nelle nostre tradizioni.La lotta per un’identità propria, contro i tentativi della modernità capitalista di cancellare le radici e la memoria dei nostri popoli, si trasforma quindi nella più preziosa delle resistenze. Sia in America Latina che in Kurdistan, le donne guidano questa resistenza.
Nei nostri paesi, che sono stati le culle di migliaia di anni di cultura della dea madre, la donna e la vita, la donna e la libertà, la donna e la terra, la donna e la natura sono indissolubilmente vincolate.

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I metodi della Gineologia

da UIKI, 8 Luglio 2017

jineoloji 599x275Il metodo come concetto descrive il modo più rapido per raggiungere un risultato in relazione agli obiettivi, alle abitudini e agli approcci più prudenti. La sua determinazione, anche dopo lunghi tentativi, è indispensabile per i rispettivi sostenitori.

“Un metodo di ricerca privo della realtà femminile, una lotta per la parità e la libertà che non metta le donne al centro non può raggiungere la verità, l’uguaglianza e la libertà“
(Abdullah Öcalan)

La mente del maschio dominante ha sviluppato i suoi metodi in tutte le aree collegate con la vita e li ha proposti come le uniche valide verità. Per la Gineologia, questa è una delle questioni principali: rompere tale posizione statica e raggiungere una capacità interpretativa e una ricchezza metodologiche. La Gineologia determinerà i suoi metodi riferendosi alla flessibilità della natura della donna, alla sua energia fluida che non si adatta a forme statiche, alla trasformabilità propria della biologia femminile e all’intelligenza emotiva delle donne.

La Gineologia vuole esaminare le sovrapposizioni vita-donna, natura-donna, natura sociale-donna, per comprendere i modi in cui la cultura creata dalla donna si è riflessa nella società storica. Vuole guardare in modo olistico alle ragioni, alle fonti e ai risultati delle rotture nelle definizioni storiche delle donne e alle trasformazioni delle istituzioni, delle strutture e dei concetti che le circondano.

In sintesi:
la Gineologia vuole mostrare quali metodi sono alla base dei tentativi di dare vita al sistema schiavistico nella geografia del Medio Oriente, vita per lungo tempo costruita intorno alle donne e alla resistenza. Se questo è il caso, come per tutte le scienze sociali, allora anche la Gineologia è interessata al metodo.

Quali sono i metodi che possono essere usati?
Questo punto è stato all’ordine del giorno fin dall’inizio della discussione sulla Gineologia. La Gineologia può comprendere le verità delle donne attraverso metodi multidirezionali, che mettano l’accento sul potenziale interpretativo e che rompano con il dogmatismo, per esortare al coraggio intellettuale.

Ritiene fondamentale
sviluppare metodi che analizzino in modo accurato il rapporto tra gli umani e la società. Ricorda costantemente a se stessa la natura della mente umana, i suoi ordini operativi, le sue strutture e le sue dimensioni profonde, così come il carattere metafisico dell’essere umano. È consapevole del fatto che tutti i metodi portano in gran parte i segni della mente maschile dominante, ma fa di questa consapevolezza uno dei suoi principi fondamentali per lottare contro tale realtà attraverso la lucidità mentale.

Conferisce significato alle trasformazioni e agli sviluppi nati dai dualismi che emergono in ogni momento dello sviluppo, così come alle loro interrelazioni e interazioni. La Gineologia sa che può utilizzare questo metodo anche quando cerca di capire la natura della società, per la liberazione di quest’ultima e dell’individuo. Non è d’accordo con una definizione dei dualismi che li concepisce come opposti, allo scopo di eliminare o l’uno o l’altro, e che comprende i casi di trasformazione e sviluppo come prodotti di questo processo di eliminazione. Intende il metodo della tesi-antitesi-sintesi più appropriato quando analizza i principi operativi dell’evoluzione e della natura sociale.

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Difendere i diritti umani non è un crimine: lettera delle Ong alla Turchia.

CILD staff – 11 luglio 2017

17062733057 a725cf0064 zAlcuni difensori dei diritti umani turchi sono stati messi in custodia e accusati di cospirazione per aver preso parte a un incontro sulla sicurezza digitale. In risposta a questa operazione repressiva, molte Ong dell’area OSCE – tra cui CILD – hanno firmato una dichiarazione contro le autorità turche, sottolineando come partecipare a incontri sui diritti umani non abbia niente a che vedere col terrorismo.

Alcuni giorni fa dieci attivisti, dei quali otto turchi e due stranieri, uno svedese e un tedesco, sono stati fermati a Büyükada, in Turchia, per aver partecipato ad un incontro di formazione con i due consulenti stranieri sulla sicurezza digitale e il management delle informazioni. Appartengono a diverse associazioni per la tutela dei diritti umani, quali Helsinki Citizens’ Assembly, Women’s Coalition, Amnesty International Turkey, Human Rights Agenda Association, Rights Initiative, Equal Rights Watch Association.

Contro di loro viene mossa un’accusa piuttosto seria: la misura cautelare che è stata applicata nei loro confronti – e durerà per almeno 7 giorni – è stata attribuita alla necessità di investigare su di una presunta appartenenza a un’associazione armata. Di ftto dunque, questi attivisti sono accusati di terrorismo.

La lettera delle Ong europee dell’area OSCE
Molte organizzazioni per i diritti umani dell’area OSCE hanno risposto firmando una dichiarazione congiunta contro la misura applicata dalle autorità turche.

Tra queste vi è anche CILD – che a livello nazionale è anche parte di In Difesa Di, una rete italiana di oltre 30 associazioni con l’obiettivo di accrescere la consapevolezza sul lavoro dei difensori dei diritti umani e agire per la loro tutela. Uno degli obiettivi di CILD e delle reti di cui fa parte è mettere al centro dell’agenda politica internazionale il tema della difesa degli attivisti, soprattutto in vista della presidenza italiana dell’OSCE nel 2018.

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SOSTENIAMO GLI AVVOCATI PER I DIRITTI UMANI DETENUTI IN TURCHIA!

Per sostenere gli avvocati per i diritti umani detenuti in Turchia 41 organizzazioni di difensori di 5 diversi continenti hanno scritto un comunicato che richiede il rilascio degli avvocati facendo appello al governo e ai ministri.

1On the 7th day of the detention of 10 human rights advocates, 41 rights organizations and defenders from five different continents have made a statement demanding the release of the detained advocates and made a call to the Government, Ministry of Interior and Ministry of Justice.

The names of the 10 human rights advocates in detention since July 5 are:

Idil Eser, Amnesty International Turkey;
İlknur Üstün, Women’s Coalition;
Günal Kurşun , lawyer, Human Rights Agenda Association;
Nalan Erkem, Lawyer, Citizens Assembly;
Nejat Taştan, Equal Rights Watch Association;
Özlem Dalkıran, Citizens’ Assembly;
Şeyhmuz Özbekli, lawyer, Right Initiative;
Veli Acu, Human Rights Agenda Association;
Ali Gharavi – an IT consultant
Peter Steudtner – a non-violence and well-being trainer

Call to the Government and Ministries

The declaration signed by 41 supporters reads as follows:

“We are writing to you to express our profound dismay at the continued detention of ten human rights defenders and to call for their immediate release.

“These ten human rights defenders were detained by police in Istanbul on 5 July while attending a training workshop. Two of them were experts from outside the country providing the training. The group were held without access to lawyers and relatives for over 24 hours and their detention was extended for seven days without charge.

“The individuals in custody are members of well-known NGOs and some of the most prominent human rights defenders in Turkey and other countries. Their detention constitutes violations of the rights to freedom of expression and association.

“Most obviously, this incident runs contrary to the rights protected under the UN Declaration on Human Rights Defenders

“We therefore call for these rights to be immediately realised and for these colleagues to be released without any delay.”

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