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Autore: Anna Santarello

AFGHANISTAN. I talebani raccontano le operazioni di gennaio 2017.

AGC News – 18 febbraio 2017 – Lucia Giannini.

03afghanistantalebani03 3 696x387Nel mese di gennaio 2017 ci sono state una serie di operazioni talebane che hanno colpito uomini e mezzi del governo afgano.

Lo ricorda una sorta di bollettino operativo che i talebani hanno postato in rete nei giorni scorsi. In esso gli studenti coranici afgani ricordano che: «Anche se è stato il picco della stagione invernale nel nostro paese, numerosi attacchi piccoli e grandi sono stati effettuati il nemico, in cui gli sono state inflitte enormi perdite materiali e finanziarie». I mujahidin dell’emirato islamico dell’Afghanistan in un lungo elenco di operazioni minori evidenziano una vasta operazione contro le basi militari afgane d Farah, bersagliate da numerosi lanci di razzi e colpi di mortaio.

Vien poi citato un attentato avvenuto il 10 gennaio contro la case del governatore di Kandahar: «Un enorme esplosione ha avuto luogo all’interno dei locali della casa del governatore della provincia di Kandahar, in cui diversi funzionari di alto rango come ad esempio il vice governatore di questa provincia, l’ufficiale di collegamento, il senatore della provincia settentrionale ‘Faryab’, il membro del Parlamento della provincia di ‘Jozejan’ e un diplomatico afghano negli Stati Uniti sono rimasti uccisi e diversi altri funzionari inferiori sono rimasti feriti».

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Chi sono i Bacha-bazi, i bimbi abusati “per gioco”: li vestono da donna e poi li stuprano.

fanpage.it – 18 febbraio 2017

unnamed file 300x225Hanno tra gli otto e i quattordici anni, provengono da famiglie povere, vengono comprati o rapiti, costretti a ballare indossando abiti femminili e a soddisfare sessualmente i loro “proprietari”. Sono i Bacha-bazi, i “bambini per gioco”, giovani vittime della pedofilia che in Afghanistan continua ad essere tollerata.

In Afghanistan le relazioni omosessuali sono punite severamente, tuttavia, la pedofilia è praticata e tollerata. I Bacha-bazi (letteralmente “bambini per gioco”) sono ragazzini, tra gli otto e i quattordici anni, costretti ad indossare abiti femminili, a ballare e cantare nelle feste per intrattenere uomini molto più grandi di loro. Vengono rapiti, adescati per strada e negli orfanotrofi o venduti dalle loro stesse famiglie e, alla mercé dei loro “padroni”, finiscono per essere abusati sessualmente.

Andrea Iacomini, portavoce dell’Unicef in Italia, nel 2015 scriveva: “I ‘proprietari’, chiamiamoli così, dei Bacha-bazi approfittano della condizione di povertà in cui vivono questi bambini e le loro famiglie, sapendo che i genitori non posso rifiutarsi o denunciarli, perché sono troppo potenti e influenti e nessuno avrebbe il coraggio di opporsi”. Sono proprio i “signori della guerra” ­– come denunciò nel 2010 il documentario “The dancing boy of Afghanistan” del giornalista Najibullah Quraishi – i principali responsabili di rubare l’identità e la sessualità dei ragazzi costringendoli a travestirsi da donne per il loro piacere. Per i comandanti militari e i membri dell’élite avere un proprio “harem” di Bacha-bazi rappresenta uno status sociale, simbolo di potere e influenza.

“Le donne sono per crescere i figli, i ragazzi sono per il piacere”, recita un detto comune in molte parti dell’Afghanistan. Questa forma di sfruttamento, radicata per decenni nelle regioni settentrionali ­– dove i Mujaheddin durante l’occupazione sovietica trascorrevano lunghi periodi lontano da casa assieme ai bambini soldato – negli ultimi anni ha cominciato a diffondersi nelle aree controllate dai talebani. E anche tra le fila dell’esercito afghano i ragazzi sono costretti a vestirsi da donna, a ballare e avere rapporti sessuali. Se si rifiutano, vengono uccisi, come ha segnalato il blogger Asfandyar Bhittani suo suo account Twitter.

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Ciao Chiara…

150207404 e4e4c62f d66d 4227 bdb6 4852b046f25eCara Chiara Cataldi, hai lasciato questo mondo troppo presto; eri bella, generosa, solare, ottimista.
Noi del CISDA vogliamo ricordarti così, nell’orfanotrofio di AFCECO a Kabul, città nella quale hai passato un periodo della tua vita e dove molte di noi hanno avuto la fortuna di conoscerti. A quei bambini, oltre a insegnare l’italiano, hai dato molta felicità e loro non ti dimenticheranno mai, così come tutte noi che oggi ti piangiamo.

Fai buon viaggio, Chiara, che la terra ti sia lieve!

Il referendum che conquista l’anima turca.

Dal Blog di Enrico Campofreda – 16 febbraio 2017

turkeyflagL’aria che tira in Turchia va oltre quanto testimoniano i non molti giornalisti e militanti d’opposizione rimasti fuori di galera. Dopo l’approvazione parlamentare del presidenzialismo, che non riesce a mascherare il palese autoritarismo dovuto al controllo d’ogni potere (legislativo, esecutivo, giudiziario) da parte del Capo di Stato, il partito di governo attende con una certa apprensione la legittimazione democratica del voto popolare.

Il referendum è fissato per il prossimo 16 aprile, molti pronostici danno in vantaggio l’assenso semplicemente sommando il voto degli elettori dell’Akp e, se non di tutto, almeno d’una parte dei nazionalisti del Mhp, che si sono prestati a sostenere i 18 emendamenti costituzionali. Più della lotta politica interna sono lo scontro armato col Pkk e la repressione delle popolazioni kurde del sud-est con centinaia e centinaia di vittime ad agitare gli animi, quindi gli attentati destabilizzanti condotti da una fazione dissidente della guerriglia kurdi (Falconi della libertà) e dall’Isis che punisce le ultime scelte di Erdoğan spargendo sangue di civili.

Per tranquillizzare una nazione ampiamente polarizzata il presidente ha suggerito di non infiammare la campagna referendaria. Lui stesso, incredibile a dirsi, sta tenendo un basso profilo per cercare di recuperare anche il voto dei concittadini islamici traumatizzati dalla lotta fratricida contro i gülenisti che ha prodotto migliaia di arresti, decine di migliaia di licenziamenti e dismissioni fra dipendenti pubblici dei più svariati settori: amministrazione statale e locale, scuole, polizia, uffici giudiziari. Per perfezionare ciò che gli avversari definiscono un golpe istituzionale Erdoğan ha bisogno d’un clima non arroventato, che leghi e colleghi tutti i turchi che vogliono difendere patria e sicurezza, lavoro e affari, tradizione e innovazione.

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L’isil in Afghanistan.

euronews.com – AmirBehnam Masoum – 16 febbraio 2016

ISIS AfghanistanAbbandonare l’Afghanistan politicamente e militarmente, concentrarsi solo su Siria e Iraq, è rischioso: il Paese potrebbe tornare alla situazione dei primi anni 2000, stando a diversi esperti.

Il gruppo Stato islamico è apparso per la prima volta in Afghanistan nel 2015.
Tre anni dopo la nascita del movimento jihadista più radicale nel mondo in Iraq e Siria,un gruppo di talebani ha giurato fedeltà ad Abu Bakr al-Baghdadi, il califfo di Daesh.

Si presentano come combattenti di Daesh della regione del Khorasan. Hanno dichiarato guerra al governo afghano, ai civili, e anche i loro ex “fratelli” talebani.

Il massacro della Croce Rossa l’8 febbraio scorso nel nord del Paese è l’ultima sanguinosa missione.

Perché l’Afghanistan?
Perché un altro movimento fondamentalista ha trovato spazio in Afghanistan, feudo di Talebani e Al Qaida?

Aziz Hakimi, giornalista specializzato negli affari dell’Afganistan ha risposto a euronews: “Si assomigliano ma sono due forze completamente separate, i Talebani sono un movimento locale che agisce all’interno dell’Afganistan, mentre Daesh ambisce a creare un Califfato e il gruppo Stato islamico costituice una parte di questa nuova avventura jihadista mondiale”.

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TURCHIA. 600 persone arrestate per presunti legami con il PKK.

Nena News – 14 febbraio 2017

HdpLa campagna di arresti è scattata ieri ed è continuata oggi. Ad essere colpito è stato il partito di sinistra filo-curdo Hdp che accusa: “L’obiettivo dei blitz è che il referendum costituzionale del 16 aprile abbia luogo senza di noi”.

La repressione delle autorità turche non conosce tregua: in due giorni più di 600 persone sono state arrestate dalla polizia turca per presunti legami con il Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk). Per la formazione di sinistra filo-curda (Hdp) i blitz delle forze dell’ordine hanno un chiaro contenuto politico: reprimere e isolare le uniche voci d’opposizione nel Paese in vista dell’imminente referendum costituzionale del 16 aprile. “L’evidente obiettivo di queste operazioni è che il referendum abbia luogo senza di noi” si legge in un comunicato del comitato esecutivo del partito.
Da quando è fallito il colpo di stato lo scorso 15 luglio, denuncia l’Hdp, 5.000 tra i suoi membri e sostenitori sono stati arrestati. Secondo quanto riferisce l’agenzia filogovernativa Anadolu, le operazioni di polizia sono scattate ieri e hanno portato subito alla detenzione di 544 persone (più di 300 di questi sarebbero quadri del partito) a cui si sono aggiunti oggi 86 nuovi nomi. Senza dimenticare poi che 12 suoi parlamentari (tra cui i co-presidenti Demirtaş e Yüksekdağ) e decine di sindaci e dirigenti curdi di un partito ad esso affiliato sono da novembre in carcere accusati di terrorismo. “Quello che vogliono evitare con gli arresti – si legge sempre nella nota – è il “no” [al referendum]”.

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Afghanistan – Appello delle Nazioni Unite a urgenti misure per fermare le vittime civili: numeri record nel 2016 Report sulla protezione dei civili afghani – donne e bambini.

ohchr.org – 6 febbraio 2017

logo onuKABUL/GINEVRA (6 febbraio 2017) – Lunedì le Nazioni Unite hanno lanciato appello alle parti coinvolte nella guerra in Afghanistan al fine di attuare urgenti misure per fermare l’uccisione e il ferimento di civili, che un nuovo report delle Nazioni Unite rivela essere il numero più alto di vittime in un singolo anno, considerando anche i dati record di bambini uccisi e feriti nel 2016.

Il report documenta 11.418 vittime civili coinvolte in episodi di conflitto, includendo 3’498 morti e 7’920 feriti. Di queste, 3.512 sono bambini – 923 morti e 2’589 feriti, ovvero un aumento del 24% rispetto ai precedenti più elevati dati registrati. Questi, registrati dal Human Rights ream dell’UN Assistance Mission in Afghanistan (UNAMA), sono i più alti da quando nel 2009 le Nazioni Unite hanno cominciato a monitorare sistematicamente i dati riguardanti le vittime civili.

“Le uccisioni e i ferimenti di migliaia di civili afghani è profondamente straziante e sarebbe potuto essere ampiamente evitato” dichiara Tadamichi Yamamoto, UN Secretary-General’s Special Representative for Afghanistan. “Tutte le parti coinvolte nel conflitto devono immediatamente prendere misure concrete per proteggere uomini, donne e bambini afghani le cui vite sono state distrutte”.
Le forze antigovernative, i talebani principalmente, sono responsabili di almeno due terzi delle vittime mentre le forze filogovernative sono colpevoli di un quarto circa.

Il report segnala che, come nel 2015, sono gli scontri di terra tra elementi antigovernativi e forze filogovernative, in particolare nelle aree popolate o frequentate da civili, ad essere la principale causa di vittime, seguiti da ordigni esplosivi improvvisati (IED), suicidi e attacchi complessi – termine militare per indicare un attacco multiplo e simultaneo, ndr –, così come omicidi mirati e preterintenzionali.

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600mila afghani cacciati sotto le bombe Nato.

Il Manifesto – Emanuele Giordana – 14 febbraio 2017

14est1f01 rifugiati lascano pakistan reuters 2Afghanistan. Il Pakistan espelle i profughi in un paese dove raddoppiano i morti nei raid internazionali. L’accusa di Human Rights Watch: «L’Onu è complice nell’esodo»

Espulsi dal Pakistan in 6oomila in un paese – il loro, che in molti non vedono da quarant’anni o non hanno mai visto – dove l’ennesimo raid aereo della coalizione alleata al governo di Kabul ha ucciso almeno 18 persone. Civili. In maggioranza donne e bambini.

Tra le due notizie, che hanno un tragico nesso, è difficile stabilire qual è la più grave: da una parte il Pakistan continua il suo programma di rimpatrio forzato di un milione di afghani, dall’altro, in Afghanistan, si continua a morire mentre il comandante della Nato e delle truppe Usa nel Paese, il generale statunitense John Nicholson, invoca più truppe – Nato e americane – e accusa Russia e Iran di appoggiare i talebani.

Il risultato è quello di un innalzamento dei toni in questa guerra silente che nel 2016 ha mietuto più vittime da quando la missione Onu a Kabul (Unama) ha iniziato nel 2009 a tenere il bilancio.

Ed è proprio un rapporto preliminare di Unama ad esprimere «grave preoccupazione» per i raid aerei che, tra il 9 e il 10 febbraio, avrebbero ucciso almeno 18 persone nel distretto di Sangin (Helmand); Resolute Support, la missione Nato in Afghanistan, avrebbe aperto un’inchiesta.

Altre sette civili sarebbero invece stati uccisi dai talebani l’11 febbraio durante un attacco a militari afgani a Lashkargah, capitale della provincia. Sangin è una delle aree più guerreggiate e nel solo 2016 l’Helmand ha visto morire 891 civili, una delle percentuali più elevate della guerra. In un paese dove l’anno scorso le vittime civili sono state oltre 11mila: 3.512 morti (tra cui 923 bambini) e 7.920 feriti (di cui 2.589 bambini), con un aumento del 24% rispetto al periodo precedente.

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Il Consiglio approva l’accordo di cooperazione sul partenariato e lo sviluppo fra UE e Afghanistan.

Diritto Bancario – 14/02/2017

unione europea 33 copyIl 13 febbraio 2017 il Consiglio dell’Unione Europea ha approvato la firma di un accordo di cooperazione sul partenariato e sullo sviluppo tra l’Unione Europea e i suoi Stati Membri, da una parte, e la Repubblica Islamica di Afghanistan, dall’altra.

L’accordo sarà firmato il 17 febbraio 2017 a Monaco dal Rappresentante per gli Affari Esteri dell’Unione Europea e il Ministro delle Finanze dell’Afghanistan, alla presenza del Presidente dell’Afghanistan.

L’accordo costituirà il nuovo quadro normativo di riferimento per i rapporti fra Unione Europea e Afghanistan, e prevedrà lo sviluppo delle relazioni fra le due parti a vantaggio di entrambe, con riguardo a un ampio ambito di temi economici e politici.

L’accordo sarà firmato come accordo misto, il che significa che sia l’Unione Europea sia i singoli Stati Membri dovranno firmarlo, e che tale accordo dovrà essere ratificato da tutti i Parlamenti nazionali e regionali. L’accordo sarà comunque applicabile in via provvisoria subito dopo la firma, in attesa della ratifica dei Parlamenti.

Storie di resistenza alle espulsioni verso l’Afghanistan.

Internazionale – Francesca Spinelli – 9 Febbraio 2017.

134129 mdMarie e Lemar (i nomi sono di fantasia) sono fuggiti dal Belgio quando hanno capito che la polizia non li avrebbe lasciati in pace. Un paio di settimane prima l’avvocato di Lemar li aveva avvertiti: anche l’ultimo ricorso nella procedura di asilo era stato respinto. Per le autorità belghe, il ragazzo doveva tornare in Afghanistan, volente o nolente. Marie, che lo aveva accolto in casa tre anni prima e ormai lo considerava un figlio, non si capacitava: il dossier era solido, Lemar non solo proveniva da un paese in guerra ma apparteneva a una minoranza etnica perseguitata, gli hazara. Volevano mandarlo a morire?

La prima volta che la polizia si è presentata, Lemar era solo in casa. Attento a non farsi vedere, ha sbirciato dalle persiane che Marie, prima di uscire, come presentendo l’inizio della caccia all’uomo, gli aveva consigliato di abbassare. Lemar ha visto le uniformi e non ha fiatato. Nel frattempo una vicina aveva telefonato a Marie: “Lo stanno cercando”. Due ore dopo un’altra vicina l’ha chiamata per dirle che aveva visto passare di nuovo un’auto della polizia. A quel punto il padre di Marie è andato a prendere Lemar e l’ha portato a casa sua.

La settimana seguente gli agenti si sono ripresentati. Ha aperto lo studente che affittava una stanza da Marie, dicendo di non sapere dove fosse Lemar. “Non gli dica che lo stiamo cercando, ma quando torna ci avverta subito”, gli hanno intimato gli agenti. Quella sera Marie ha notato un furgone bianco e azzurro appostato in fondo alla strada. Aveva già deciso di portare Lemar all’estero, nel paese di origine dei suoi genitori, dove aveva una casa e dei parenti a cui avrebbe potuto affidare il ragazzo.

Se il Belgio non voleva accoglierlo, ci avrebbe pensato la sua famiglia. Ma ogni minuto passato in quel paese esponeva Lemar al rischio di essere arrestato ed espulso. Bisognava partire subito. La mattina seguente Marie ha caricato l’auto, è passata a prendere il ragazzo e insieme sono scappati, come due ricercati.

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