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Autore: Anna Santarello

I talebani vogliono negoziare con Donald Trump

di Redazione Analisidifesa, 25 gennaio 2017

2016 09 21t03 20 41 966z 1280x720.nbcnews ux 1080 600I talebani dell’Emirato islamico dell’Afghanistan hanno pubblicato oggi una lunga “Lettera aperta al presidente americano Donald Trump” che contiene una esortazione a “controllare questa guerra di occupazione sferrata dal suo esercito”.
Il documento, firmato dal portavoce dell’Emirato islamico Zabihullah Mujahid e strutturato in sei punti, si rivolge al nuovo capo dello Stato americano sostenendo che “forse questa guerra futile non è fra le sue necessità”.

E che “nelle condizioni attuali è responsabilità dei funzionari americani, quali iniziatori della guerra, mettere fine a questa tragedia”. In un passaggio della lettera si afferma inoltre che “L’Emirato islamico, come organo di governo, attualmente gestisce il 50% dell’Afghanistan e ne influenza un altro 30%” ma “può minacciare in qualunque momento il restante 20% in mano al regime da lei imposto a Kabul”.

“Essendo Lei stato eletto come presidente degli Stati Uniti – si dice ancora – e dovendo sopportare il peso della responsabilità per tutti gli aspetti di questa guerra, si deve chiedere: qual è il suo obiettivo?”.
Se l’obiettivo “fosse la permanente occupazione dell’Afghanistan, l’oppressione della Nazione, ed imporre un governo che tuteli i suoi interessi”, prosegue il documento, “gli ultimi 15 anni hanno provato che è impossibile organizzare una protezione per le truppe straniere o domare la resistenza armata religiosa nazionale contro di esse”.

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Nella guerra in Afghanistan i civili pagano il prezzo più alto

da Internazionale, 24 Gennaio 2017 – VIDEO

116877 mdDal 2001 al 2016 la guerra in Afghanistan ha provocato la morte di oltre 110mila persone, tra cui 31mila civili. Negli ultimi quindici anni 2,7 milioni di afgani hanno lasciato il paese, mentre i profughi interni sono circa un milione. Più di nove milioni di persone hanno bisogno di aiuti umanitari.

A causa degli attentati dei taliban e del gruppo Stato islamico e degli attacchi con i droni e gli aerei statunitensi, l’Afghanistan si conferma come uno dei paesi più pericolosi al mondo per i civili. Nei primi sei mesi del 2016 più di cinquemila persone sono state uccise o mutilate. Un terzo erano bambini. Il video della Thomson Reuters Foundation.

Attenzione, il video contiene immagini cruente.

 

Ora è il momento giusto per opporsi alla dittatura – Inizia la campagna per il NO al referendum costituzionale

da Retekurdistan – 25 Gennaio 2017

ayhan bilgen aklama 680x325Ayhan Bilgen, portavoce del Partito Democratico dei Popoli (HDP), durante una conferenza stampa nella sede dell’HDP ha reso nota la posizione del suo partito sull’imminente referendum costituzionale. “Condurremo una chiara ‚Campagna per il No‘ e così prenderemo posizione contro il sistema presidenziale“, così Bilgen. Rispetto alle speculazioni che l’HDP avrebbe fatto appello per un boicottaggio del referendum, il portavoce dell’HDP ha affermato che questa opzione non è stata in discussione in nessun momento.

Altri particolari sulla‚ Campagna per il No‘ forniti da Bilgen sono i seguenti: “Nel vicino futuro pubblicheremo dichiarazioni nelle quali faremo appello alla lotta democratica una volta a Diyarbakir e una volta a Istanbul.“ Inoltre l’HDP a partire da febbraio convocherà assemblee popolari in diverse località nelle quali insieme alla popolazione discutere e consultarsi su come procedere durante la ‚Campagna per il No‘.

Durante la conferenza stampa Bilgen ha inoltre dichiarato che il suo partito mette assolutamente in conto difficoltà durante la campagna. Non sarebbero da escludere nemmeno irregolarità nel giorno del referendum. Bilgen inoltre ha detto: „Non siamo in grado di valutare il grado di libertà delle condizioni in cui le persone potranno dire ,no’. Già ora c’è una pressione pubblica contro le aree che probabilmente voteranno contro l’introduzione del sistema presidenziale.”

Civaka Azad – Kurdisches Zentrum für Öffentlichkeitsarbeit

 

Sulla repressione della società civile nel Kurdistan del sud

da ReteKurdistan – 22 Gennaio 2017

citadelle erbil 700x325Dalla chiusura illegale degli uffici di REPAK (Centro di Informazioni delle Donne Curde) a Erbil ormai sono passati sette mesi. Da quella retata, avvenuta senza alcun preavviso e rispetto della legge del KRG sulle associazioni, le attività di REPAK in una parte del Kurdistan del sud di fatto sono vietate. Perché le collaboratrici dell’organizzazione sono state “espulse” in modo del tutto arbitrario verso Kirkuk e da allora gli è vietato entrare in città.

Circa due settimane fa nella città di Duhok si è verificato un caso simile. L’associazione YAZDA, fondata dopo il genocidio di ISIS a Shengal e che svolge un lavoro importante per gli yezidi, è stata chiusa. A seguito di proteste locali e internazionali i responsabili politici hanno dovuto fornire una motivazione per la chiusura, per la quale non era stata citata alcuna ragione. È stato quindi spiegato che l’associazione con centro negli Stati Uniti è stata chiusa perché svolge lavoro politico. Questa la motivazione ufficiale.

La chiusura di REPAK era stata motivata in modo simile. L’associazione sarebbe stata chiusa perché come organizzazione della società civile avrebbe svolto lavoro politico (può considerarsi tale anche la pubblicazione di dichiarazioni).

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Il trasferimento degli yazidi nel campo AFAD crea le condizioni per un nuovo massacro

dal sito di UIKI – 20 Gennaio 2017

yezidi 630x325 599x275 1Centinaia di yazidi sono fuggiti dalle loro terre quando le bande di ISIS hanno invaso Shengal e sono rimasti nei campi istituiti dalla municipalità del DBP a Yenişehir a Diyarbakir da quando sono stati esiliati nel campo di Midyat dopo che l’AKP ha occupato le municipalità con gli amministratori fiduciari.

Il deputato di HDP di Mardin Ali Atalan ha affermato che il trasferimento degli yazidi nel campo con gli arabi siriani, molti dei quali sono membri di ISIS e di Al Nusra, ha aperto le porte ad un nuovo massacro e ha aggiunto che essi avevano creato uno spazio di vita alternativo per gli yazidi.

Gli yazidi erano felici con la municipalità del DBP

Ali Atalan ha affermato che circa 20 mila yazidi dislocati in vari campi nel Kurdistan del nord dopo che le bande di ISIS hanno attaccato Shengal e che hanno dovuto lasciare le loro abitazioni, e ha affermato che la maggior parte degli yazidi sono tornati a Shengal dopo la sua liberazione. Atalan ha dichiarato che circa 1200 yazidi che non sono tornati indietro erano rimasti nel campo istituito dalla municipalità e ha detto che gli yazidi avevano condizioni di vita accettabili.Atalan ha menzionato soddisfazione degli yazidi con le pratiche comunali degli ultimi due anni e mezzo e ha affermato: “Le pratiche del Comune sono stati apprezzati dalla nostra gente yazida, gli yazidi che vivevano lì non volevano andaresene”

L’AKP ha deliberatamente mandato gli yazidi nel campo con gli jihadisti

Atalan ha dichiarato che la prima cosa che ha fatto dopo che hanno occupato le municipalità di Diyarbakir tramite gli amministratori fiduciari è stata quella di rimuovere gli yazidi presenti in questo campo e ha proseguito: ” La popolazione yazida sa bene che l’AKP non è diverso dall’ISIS, questo è il motico per il quale hanno resistito per un lungo periodo alla deportazione da questo campo. Perchè sapevano che i campi dove sarebbero stati mandati erano quelli dove i sostenitori e le bande di ISIS erano presenti. Perciò non ci volevano andare, ma gli amministratori fiduciari li hanno mandati con la forza nel campo di Midyat con i sostenitori di ISIS abbattando il campo.”

Atalan ha anche condiviso informazioni sul campo AFAD a Midyat dove sono stati esiliati e ha affermato: ” Questo è un campo con i sostenitori di ISIS e Al Nusra in particolare. I residenti del campo sono inseriti in ambienti jihadisti che nutriscono inimicizia totale verso gli yazidi.Akp sta aprendo la strada consapevolmente a un massacro mandando gli yazidi in questo campo.”

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Afghanistan: Solo 72.000 sfollati interni su 550.000 sono stati reinsediati

Rawa News – fonte: TOLOnews.com, Mirabed Joyenda – 16 gennaio 2017

idps children in cold afghanistan 150x150Reiterate richieste di assistenza umanitaria: il Ministero per i rifugiati e il rimpatrio ha dichiarato che su 550.000 sfollati interni registrati nel paese, solo 72.000 di loro sono stati reinsediati nelle loro regioni. Questa situazione si verifica durante un rigido inverno, con temperature che dovrebbero continuare a precipitare. Con il peggioramento del tempo si deteriora la situazione degli sfollati interni. Migliaia di questi sono attualmente alloggiati in precarie tende a Kabul e in altre regioni dopo essere stati costretti a fuggire per ragioni di sicurezza a causa delle violenze in corso. 

Mohammad Noor, uno degli sfollati interni fuggiti da Kunduz tre mesi fa, insieme alla moglie e otto figli, vive in condizioni disperate: “Siamo qui e preghiamo Dio, nessuno è lì per aiutarci, abbiamo perso tutto quello che avevamo e i nostri figli soffrono di una carenza di cibo.” La figlia di Noor, Kalima: “Usciamo e raccogliere plastica e carta da bruciare per tenerci al caldo”. Un altro sfollato, Anzor Safai, riferendosi alle pesanti nevicate registrate a Kabul negli ultimi due giorni dice: “Se il governo non aiuta gli sfollati, le tende si riempiono di acqua e ciò peggiora la situazione.” 

Sulla base delle statistiche del Ministero, solo 72.000 degli sfollati interni su un totale di 550.000 sono stati reinsediati. Il portavoce del Ministero, Islamuddin Juraat dichiara: “Abbiamo circa 7.000 sfollati solo a Kabul e alla maggior parte di questi sono stati forniti denaro, vestiti e cibo.” 

La maggior parte degli sfollati provengono dalle regioni più duramente colpite dalla guerra, come Kunduz, Helmand, Nangarhar, Farah, Uruzgan, Faryab, Ghazni, Sar-e-Pul, Paktia, Baghlan e dalle province di Badghis. 

Secondo il Ministero, il numero totale di sfollati interni nel paese è stimato a circa 1,3 milioni.

Afghanistan: in aumento i tassi di tossicodipendenza tra le donne

RawaNews – fonte IWPR, 15/1/2017 

female drug user with children afghanistan 150x150Gli esperti dicono che una delle ragioni principali è l’influenza di un marito o di altra figura maschile all’interno della famiglia. 

Yagana passa le sue giornate e le notti per le strade della città di Herat, chiedendo spiccioli ai passanti per nutrire la sua tossicodipendenza. Lei non sa la sua età esatta, anche se pensa che potrebbe avere circa 18 anni. “Quando mi sono sposata, ero molto giovane, forse 12 anni”, ha dichiarato a IWPR. “Ho fatto tutto i lavori di casa ed ero molto stanca. Mio cognato se n’è accorto e mi ha detto che se avessi fumato dell’oppio mi sarei sentita meglio. Ho iniziato a fumare e alla fine sono diventata una tossicodipendente. Quando mio marito ha realizzato questo, si è opposto a suo fratello, ma è stato inutile perché ero già diventata una tossicodipendente “. 

Questo è successo almeno sei anni fa. E’ stata buttata fuori dalla sua casa e ora è costantemente a rischio di abuso. “Io sono per le strade quasi tutte le sere e, a volte combatto con la gente che passa, perché mi abusano, e addirittura mi dicono di andare con loro, il che significa che mi vogliono per il sesso.” 

Il marito l’ha portata sei volte per il trattamento della dipendenza, ma dopo ogni tentativo lei è tornato a usare droghe. “Ho detto a mio marito e ai figli di non riprovare, perché non riesco a smettere”, ha concluso Yagana. 

I funzionari nella provincia di Herat avvertono che i tassi di dipendenza femminile sono in aumento, con una stima sull’attuale tasso di consumo di droga di una donna su tre. 

Gli operatori sanitari affermano che una delle ragioni principali è l’influenza di un marito o di altra figura maschile all’interno della famiglia. La povertà è un altro fattore perché la droga è poco costosa e facilmente reperibile, alimentata dall’afflusso di ritorno dei rifugiati dal vicino Iran dove i tassi di dipendenza sono alti. 

I funzionari hanno registrato tra i 60.000 e 70.000 tossicodipendenti a Herat, di cui quasi 8.000 sono donne, anche se i numeri reali potrebbero essere molto più alti.

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Il Parlamento turco vara il presidenzialismo

Blog – E. Campofreda, 18/1/2017

PutinErdogan 150x150Il Meclis [Parlamento] inizia oggi il secondo turno di consultazioni per approvare le modifiche costituzionali. Secondo le scadenze dettate dal partito di governo dovrebbe farlo in tre giorni con la disamina quotidiana di sei articoli del pacchetto innovativo. Le previsioni dicono che tutto andrà come nella prima fase, magari evitando quelle risse stigmatizzate da ogni parte ma fomentate da entrambi i blocchi contrapposti, soprattutto repubblicani e governativi.

Se i voti segneranno maggioranze relative, superiori ai 330 ma al di sotto dei 367 consensi si passerà al vaglio delle urne con un referendum popolare che dovrà approvare o respingere la riforma. Le date della consultazione potrebbero oscillare dal 25 marzo al 2 aprile o poco più. I commenti che circolano sulla stampa turca, purgata e in buona parte controllata dall’Akp, prospettano scenari favorevoli all’approvazione del sistema presidenziale che pone, con tanto d’ufficialità legislativa, il Capo di Stato su quella scena mondiale dominata da politici decisionisti.
Gli esempi non mancano. Dallo statunitense Trump che s’insedia nelle prossime ore alla Casa Bianca, al russo Putin, cui Erdoğan va legandosi in un equilibrio d’interessi. E poi Xi Jinping in Cina, Modi in India, Duterte nelle Filippine, la stessa Merkel in Germania, ciascuno con modalità differenti stabilisce però il realismo decisionista che segna l’attuale politica mondiale. In realtà Erdoğan è da tempo in questo Gotha, ma con quest’investitura il prestigio salirebbe alle stelle.

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Nuova pubblicazione del libro”Mai tornerò indietro” – la storia di Meena, fondatrice di RAWA

piatto Meena 188x300Subito dopo l’edizione originale americana del 2003, Mai tornerò indietro di Melody Ermachild Chavis fu tradotto e pubblicato in diversi Paesi, tra cui l’Italia, dove le copie sono andate esaurite in pochi anni. Oggi il CISDA (Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane onlus), che da lungo tempo sostiene RAWA in Italia, ha deciso di farne una nuova edizione.

Il libro racconta la storia di Meena, la fondatrice di RAWA (Associazione Rivoluzionaria delle Donne Afghane), una donna che ha lottato fino alla morte per difendere un popolo oppresso e soprattutto le sue componenti più inermi e calpestate: le donne e i bambini.

Nata a Kabul nel 1956, Meena è una studentessa universitaria quando inizia a battersi contro l’occupazione sovietica e il suo governo fantoccio, e a denunciare le violazioni dei più elementari diritti umani.

Fonda RAWA e con le attiviste che via via si uniscono a lei promuove marce di protesta e incontri pubblici, fonda una rivista, organizza un ospedale, scuole e laboratori di cucito per donne e bambini rifugiati in Pakistan.

Oggi, a trent’anni dal suo assassinio, Meena vive ancora in ogni azione e in ogni battaglia di RAWA, che continua a lottare contro il fondamentalismo, la misoginia, l’oscurantismo religioso, la povertà e l’ignoranza come strumenti di sopraffazione, attraverso un’instancabile opera di denuncia politica e di educazione ai diritti.

La prefazione al libro è scritta da RAWA.

Per l’acquisto del libro scrivere a cisdaonlus@gmail.com

 

11 febbraio 2017 – Manifestazione Nazionale a Milano Libertà per Öcalan e per tutte le prigioniere e i prigionieri politici Pace e Giustizia per il Kurdistan

UIKI

Ocalan 214x300La lotta del Movimento di Liberazione Curdo per la democrazia, la coesistenza, l’ecologia e la liberazione delle donne ha raggiunto primi risultati positivi con l’allargamento del modello di autogoverno democratico nei territori liberati dal giogo delle bande ISIS. Ma con l’estensione della situazione di guerra attuale nel Bakur-Turchia, Rojava-Siria e nel Medio Oriente, i curdi e le altre popolazioni della regione affrontano gravi pericoli; lo stesso Movimento di Liberazione subisce nuove e pesanti minacce.

Per garantire la sua presidenza, Erdogan si è alleato con i fascisti e i nazionalisti turchi, così da affrontare la questione curda con la violenza e la repressione: tutto ciò che è collegato con i curdi e la loro identità è un obiettivo. Vengono commissariate le municipalità, i co-sindaci sono arrestati e sostituiti con amministratori fiduciari di nomina governativa. La brutalità della guerra in Kurdistan che ha visto la distruzione di intere città, è già costata la vita a migliaia di civili, arresti di massa di politici, intellettuali, accademici, giornalisti, attivisti, avvocati e magistrati, fino ad arrivare al piano per l’eliminazione fisica di Öcalan.

La pesante tortura psicofisica inflitta al leader curdo Abdullah Öcalan, nel corso degli ultimi 18 anni in condizioni di isolamento totale, è stata inasprita con ulteriori limitazioni del suo regime carcerario. Dal 5 aprile 2015, dopo che Erdogan ha messo fine al negoziato “per una soluzione politica e democratica della questione curda”, i contatti con l’isola di Imralı sono praticamente interrotti.

In base a recenti informazioni ci sono gravi motivi di preoccupazione per la stessa vita di Ocalan. Nel mentre il regime di Erdogan si prepara a reintrodurre la pena di morte.

Abdullah Öcalan è il rappresentante riconosciuto del popolo curdo, egli svolge un ruolo decisivo per una possibile soluzione duratura e democratica della crisi profonda del Medio Oriente.

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