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Autore: Anna Santarello

Reggio Emilia dà la cittadinanza onoraria ai curdi e Ocalan

UIKI – 18 luglio 2016

ocalann 599x275L’onorificenza in “segno di riconoscimento e condivisione dei principi di democrazia, uguaglianza e libertà per il popolo” curdo. Favorevoli in consiglio comunale Pd, Movimento 5 Stelle, Sel. Contraria Forza Italia

Il Comune di Reggio Emilia conferisce la cittadinanza onoraria al popolo curdo e al suo leader Abdullah Ocalan, «in segno di riconoscimento e condivisione dei principi di democrazia, uguaglianza e libertà per il popolo stesso».

La decisione è stata presa oggi dal Consiglio comunale, che ha approvato la delibera con 20 voti favorevoli (Pd, Movimento 5 Stelle, Sel) e 3 voti contrari (Forza Italia). La cittadinanza onoraria viene conferita a Ocalan «per il suo impegno nell’individuare una soluzione pacifica e non disgregativa della questione curda, attraverso il riconoscimento delle differenze culturali e nazionali dei curdi all’interno di uno Stato unitario», spiega una nota del Comune.

«Quanto avvenuto in queste ultime ore in Turchia fa acquisire ulteriori significati alla cittadinanza onoraria al popolo curdo – ha detto Serena Foracchia, assessore a Città internazionale e Diritti di cittadinanza – Ocalan dal 1999 ha chiamato il popolo curdo al dialogo e alla pace, alla proposta di concedere alcune autonomie regionali nel rispetto dell’autorità nazionale turca. Il riconoscimento della ricerca del dialogo e della democrazia del popolo curdo trova il sostegno del nostro territorio anche grazie all’impegno di diverse associazioni: Anpi, La Pira e Rete reggiana per il Rojava».

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Afghanistan: ministri Ue, progressi visibili ma resta fragile

Ansa.it – 18 luglio 2016

1398a51a18d6cb68cd1a87425a09a594A ottobre impegni per tenere livelli aiuto economico fino a 2020.

BRUXELLES – “L’obiettivo strategico generale” della Ue e dei 28 “deve restare lo sviluppo delle istituzioni afghane, la salvaguardia dei progressi fatti e la realizzazione di uno stato afghano sostenibile” con lo scopo di “promuovere la sicurezza, incoraggiare lo sviluppo economico, rafforzare lo stato di diritto inclusa la lotta alla corruzione e la protezione dei diritti umani e in particolare quello delle donne”.

È scritto nelle conclusioni del Consiglio esteri sulla situazione in Afghanistan, in cui i ministri osservano che “i progressi conseguiti” dal paese “sono stati visibili in molte aree, ma la situazione resta fragile”. I ministri hanno anche ricordato che la ‘Conferenza sull’Afghanistan’ del 4-5 ottobre a Bruxelles in cui saranno dichiarati gli impegni per mantenere i livelli di aiuto finanziario “almeno vicino a quelli attuali fino al 2020”.

Una rappresentante del Solidarity Party of Afghanistan alla conferenza annuale del CISDA

Dal sito di Hambastagi

selay ghaffar conference Italy July 2016 report 300x169Selay Ghaffar, portavoce del ” Solidarity Party of Afghanistan” ha partecipato alla conferenza Internazionale annuale del CISDA (un’associazione italiana attiva da 17 anni a sostegno dei movimenti civili e politici afghani) che si è tenuta a Levanto, Italia.

La conferenza è durata due giorni (2 e 3 luglio 2016) e ha visto la partecipazione – oltre all’Afghanistan – di attivisti e organizzazioni progressiste di Kurdistan, Turchia, Germania, America e Italia, con l’obiettivo di creare una rete di solidarietà internazionale contro le guerre imperialiste e il fondamentalismo nel mondo e misure concrete per la protezione degli attivisti politici.

Selay Ghaffar è stata la prima relatrice al convegno, e ha denunciato la grave situazione economica, sociale e di sicurezza in cui versano gli attivisti in Afghanistan; di come gli Stati Uniti e i Paesi Occidentali stiano letteralmente saccheggiando in paese; dell’aumento della violenza contro la donne. Gli Stati Uniti e la Nato, vere forze di occupazione nel Paese, sostengono un governo fantoccio e i peggiori criminali fondamentalisti colpevoli del disastro afghano degli ultimi 40 anni.

La portavoce di Hambastagi (Solidarity Party of Afghanistan nel suo intervento ha detto:
“Denunciamo con forza la retorica di parole come “democrazia”, “lotta contro il terrorismo”, “donne”, “ricostruzione”, parole usate dagli invasori e dei loro servi afghani COME UNA MENZOGNA! Nel corso di questi anni di guerra gli imperialisti hanno usato questi slogan solo per ingannare l’opinione pubblica nei paesi occidentali, per giustificare le uccisioni, la distruzione e l’occupazione: agli afghani non ha portato nulla di positivo”.

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Io, che ho studiato grazie a 10 stivali, difendo i diritti delle donne afghane e sogno di pedalare per le strade di Kabul

di Rohina Bower – 27esimaora.corriere.it – 17 Luglio 2016

rohina 300x200Rohina, devi lavorare molto più duramente dei fratelli. È molto più difficile per te, ma ti ho iscritto a scuola. Un giorno torneremo nel nostro amato Paese e dovremo avere qualcosa per ricostruire la nostra patria

Mi chiamo Rohina Bower, ho 27 anni e sono di Kabul, da un anno lavoro con Cospe e Hawca (Humanitaria assistance for the women and children of Afghanistan) su un progetto in difesa degli attivisti e dei diritti umani. Mi occupo principalmente di comunicazione ma anche di coordinare i vari focal point che lavorano nel progetto nelle diverse province afghane.

La mia storia? Purtroppo simile a quella di miei molti coetanei: sono nata a Farah, una provincia nell’est del paese. Sono la più grande di quattro fratelli e una sorella. Ho vissuto come immigrata per 16 anni in Pakistan e 4 in Iran. Abbiamo avuto una vita molto difficile come molti altri rifugiati afghani. Era molto difficile per un immigrato afghano studiare in una scuola, avere un’educazione nelle scuole iraniane.

Era praticamente proibito in Iran, per gli afghani, andare a scuola; ma mio padre, un uomo istruito, laureato in chimica all’università di Kabul durante l’occupazione russa, voleva che noi avessimo un’educazione. In quel periodo faceva il commerciante e vendeva scarpe per donne in un negozio iraniano. Guadagnava poco ed era difficile anche comprare il latte per mio fratello piccolo. Ma mi ricordo ancora che per farmi accettare come studentessa regalò 5 paia di stivali alla direttrice della mia scuola. Dopo molte insistenze, alla fine mi presero. Mio padre a quel punto mi disse: «Rohina, devi lavorare molto più duramente dei fratelli. È molto più difficile per te, ma ti ho iscritto a scuola. Un giorno torneremo nel nostro amato Paese e dovremo avere qualcosa per ricostruire la nostra patria».

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Studiare Mozart a Kabul

Angela Calvini – Avvenire – 15 luglio 2016

kabul375 51923293 300 300x200Il sogno del professor Sarmast era quello di riportare la musica in Afghanistan, dove i taleban l’avevano vietata durante il loro regime, e c’è riuscito. Un impegno a favore delle nuove generazioni, il suo, che però stava per costargli la vita, quando nel 2014 un’autobomba esplose nella sala da concerti del centro culturale francese di Kabul, ferendo gravemente lui e uccidendo una persona. Ahmad Sarmast, non solo ce l’ha fatta (è stata necessaria una delicata operazione alla testa ed è rimasto parzialmente sordo) ma è tornato nel suo paese natale a proseguire l’opera iniziata nel 2006 con la fondazione prima del Revival of Afghan Music project e nel 2010 dell’Afghanistan National Institute of Music (Anim).

Questo è il primo conservatorio afgano, sotto la giurisdizione del ministero dell’Educazione e sostenuto anche dalle donazioni dei privati, dove i ragazzi svantaggiati, orfani e ragazzi di strada, vengono accolti con borse di studio e ricevono un’educazione musicale. E, cosa rivoluzionaria, sono ammesse pure le ragazze, che studiano in classi miste coi loro coetanei. Il lavoro di Sarmast per i taleban, «dissacra i valori islamici e fa propaganda contro il jihad», hanno dichiarato in un comunicato.

Ma per il professore di musica «i nemici dell’Afghanistan hanno sbagliato perché ci hanno resi più convinti, decisi e impegnati». La sua storia è degna di diventare un film, dove il “supereroe” è un tranquillo professore baffuto, scuro di carnagione e dalla determinazione di ferro. Ce lo ritroviamo davanti al Teatro Nuovo Gian Carlo Menotti di Spoleto, dove Ahmad Naser Sarmast ha ricevuto il Cultural Heritage Rescue Prize, il premio internazionale dedicato ai coraggiosi che salvaguardano, mettendo in pericolo la propria vita, il patrimonio culturale a rischio. Un premio ideato da Francesco Rutelli, presidente dell’associazione Priorità cultura. Sorride il professore, che poi ha incontrato il ministro dei Beni Culturali Franceschini con l’augurio di poter portare presto in Italia la sua orchestra di giovani talenti, che ha suonato anche alla Carnegie Hall di New York e alla Royal Albert Hall di Londra. «Sono onorato di questi riconoscimenti, spero che portino un po’ di attenzione su questo progetto che ha bisogno di aiuto» ci spiega.

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Demirtaş: Öcalan aveva ragione sul colpo di stato in Turchia

dal sito di UIKI – 17 Luglio 2016

selahattin demirtas hastaneye kaldirildi h8947 599x275 300x138Il co-presidente del Partito democratico dei popoli (HDP) Selahattin Demirtaş oggi ha tenuto una conferenza stampa a seguito del colpo di stato fallito in Turchia. La nostra posizione a riguardo del colpo di stato è chiara

Demirtaş ha affermato che hanno reso la loro posizione chiara sin dall’inizio e si sono schierati contro il colpo di stato per i principi democratici.” Il colpo di stato non può essere legittimato in nessun modo.Sarebbe superficiale pensare che promuova la democrazia.Il colpo di stato è stato sconfitto per la cooperazione e la presa di posizione comune, ha affermato il co-presidente di HDP.

Abbiamo pubblicato i punti salienti della conferenza stampa di Demirtaş qui sotto.

Un colpo di stato contro un colpo di stato

“Un forte desiderio per la democrazia è stato rivelato a seguito delle elezioni politiche del 7 giugno.Ma un colpo di stato civile [da parte del governo] ha avuto luogo nel corso dell’ultimo anno sin dalle elezioni.Il colpo di stato di ieri è stato un contro colpo di stato contro il colpo di stato civile.Entrambi i colpi di stato rispecchiano l’uno con l’altro.La Turchia ha avuto due opportunità [ per la democrazia].L’opprtunità del 7 giugno non è stata utilizzata ed il paese è diventato diviso in due blocchi: guerra e pace.Adesso noi abbiamo nuovamente un opportunità, così le decisioni che stanno per essere realizzate sono importanti.Le dichiarazioni del Presidente e del rimo Ministro determineranno se la Turchia diventerà libera dai colpi di stato militari e dalle minacce.

Fronte democratico essenziale

È urgentemente necessaria una politica che non ricorra alle polarizzazioni.Un sistema che si affida ad un solo uomo e impone le politiche necessita di essere rimpiazzato dal consenso e da un messaggio comune.È divenuto evidente ancora una volta che un fronte democratico è necessario.Chiediamo a tutti coloro che lottano per a democrazia di rafforzare la loro lotta.Dobbiamo insistere su una alternativa. Quella creata il 7 giugno, ma se essi [Governo/Erdogan] insistono sulla guerra, nuovi pericoli attendono il paese.Non siamo troppo fiduciosi guardando le loro azioni precedenti, ma stiamo facendo questa affermazione nella speranza che le cose possano cambiare.

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Turchia. Tentativi di analisi sul fallito golpe. Rassegna stampa

di Redazione Contropiano – 16 Luglio 2016

turchia golpe militari 600x300Qui di seguito alcuni articoli, tra i molti usciti in queste ore, che provano ad analizzare le cause e le conseguenze del fallito golpe militare in Turchia. Un Erdogan che riesce a sconfiggere il colpo di stato ma assai più debole di quello che vorrebbe far credere. I militari golpisti volevano consolidare e non indebolire il rapporto con la Nato. Sullo sfondo la crisi dovuta alla crescita dell’iniziativa dei curdi nel sud-est e i contraccolpi del fallimento del progetto di destabilizzazione della Siria.

“Erdogan non ha in mano il paese come voleva far credere”

Alberto Negri sul Sole 24 Ore di oggi

Erdogan ha vacillato ma è ancora in sella, anzi secondo alcuni osservatori potrebbe uscire da questa prova, non del tutto terminata, ancora più forte. Potrà quasi sicuramente vantarsi di avere retto l’urto dei militari golpisti, di essere il portabandiera della democrazia e probabilmente troverà ancora più spianata la strada per le modifiche costituzionali necessarie a trasformare la Turchia in una repubblica presidenziale.

Ma questa vicenda con dozzine di morti rivela che il presidente non aveva in mano il paese così saldamente come voleva far credere. Erdogan in questi anni – da premier e poi da presidente – si è presentato ai turchi come l’uomo forte che si proponeva di essere il nuovo Ataturk in salsa islamica proiettando il paese alla guida del mondo musulmano. Ma ha anche trascinato la Turchia in una guerra per procura contro Assad facilitando il passaggio di migliaia di jihadisti verso la frontiera siriana: una mossa che con il terrorismo islamista si è rivoltata contro lo stesso Erdogan destabilizzando una pedina fondamentale della Nato.
Non solo. Ai confini del Paese i curdi siriani, sostenuti da quelli turchi del Pkk, hanno guadagnato terreno e credibilità nella lotta al Califfato ponendo le basi per un possibile stato autonomo. L’irredentismo curdo è un vero incubo geopolitico per la Turchia e le forze armate del Paese hanno sempre combattuto e osteggiato ogni forma di autonomia.

L’ostilità di una parte anche se minoritaria delle forze armate esplosa in queste ore è stata generata da questo pericolo, dagli attacchi alla laicità e dal drastico ridimensionamento del ruolo dei generali nella vita della repubblica secolarista fondata da Kemal Ataturk.
Sappiamo che i piani di Erdogan in Siria sono affondati con l’intervento della Russia che nel settembre dell’anno scorso ha completamente cambiato le carte in tavola sul fianco sud-orientale della Nato, di cui proprio la Turchia era stato il bastione e il guardiano per oltre mezzo secolo. Il presidente turco è stato quindi costretto a fare marcia indietro: prima ha riallacciato le relazioni con Israele e poi anche con Putin. Nelle ultime settimane Erdogan era apparso indebolito, piegato dalla realpolitik mediorientale e delle grandi potenze. In fondo questo golpe, se davvero verrà soffocato, potrebbe rilanciarlo in maniera insperata.


“I sopravvissuti alle purghe tra i militari hanno cercato di passare all’azione”

Di Vittorio Da Rold sul Sole 24 Ore di oggi

Il presidente turco Rcep Tayyip Erdogan ha accusato i militari golpisti di essere guidati dal suo acerrimo nemico Fethullah Gulen, un predicatore islamico in esilio volontario negli Stati Uniti. Fethullah Gulen ha respinto le accuse affermando di essere contrario a operazione contro lo stato democratico ma è probabile che alcuni militari gulenisti associati probabilmente con qualche residuo seguace kemalista, i sostenitori laici del fondatore della Turchia moderna Kemal Ataturk, ancora nei ranghi dell’esercito dopo le decine di purghe avvenute negli ultimi 15 anni, hanno avuto notizia della decisione del Governo turco di procedere a una epurazione nelle prossime due settimane e sarebbero passati all’azione anche se il piano non era ancora ben definito nei dettagli.

Secondo alcune fonti, i militari golpisti avrebbero deciso di passare all’azione per evitare l’ennesima epurazione del governo filo-islamico delle forze kemalista e guleniste presenti ancora nell’esercito turco e che il governo fosse pronto ad introdurre altri passi legislativi verso l’islamizzazione del paese (la famosa agenda segreta) o la sharia, la legge islamica dopo aver eliminato il divieto di indossare il velo islamico negli uffici pubblici e le università.

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HRW: LO STATO TURCO BLOCCA LE INDAGINI SUI MASSACRI VERSO I CURDI

dal sito di UIKI – 14 Luglio 2016

ba053aa245Human Rights Watch, l’organizzazione non governativa internazionale sui diritti umani , ha rilasciato un report sui massacri e sulla distruzione delle forze dello Stato Turco nelle regioni curde al sudest della Turchia. Human rights Watch ha dichiarato che lo Stato turco ha bloccato le indagini delle organizzazioni internazionali “sulle uccisioni dei civili, sul dislocamento forzato di massa dei civili, e sull’estesa, enorme illegale distruzione delle proprietà private”.

Il report, che è basato su risultati di ricerche effettuate tra Marzo e Maggio 2016, richiedeva al governo turco di garantire all’Ambasciatore per i diritti umani dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) di entrare nell’area e di condurre le indagini secondo i suoi standard.

“Il governo turco non ha risposto alle pubbliche richieste formali di Maggio dell’Ambasciatore dei diritti umani Zeid Ra’ad al Hussein, né ha risposto alla lettera che richiedeva il permesso al team dell’ONU per condurre l’indagine nella regione al fine di esaminare potenziali violazioni da parte delle forze dell’ordine durante le operazioni militari nelle aree urbane contro i gruppi armati associati al Pkk.”

Secondo il report, almeno 338 civili sono stati uccisi durante gli scontri tra le forze dello stato e le Unità Civili di Protezione e Difesa (YPS).

Molti testimoni oculari, molte vittime d’abuso e molte vittime uccise sono menzionate nel report.

Report con notizie più recenti inoltre hanno mostrato la continua distruzione dalle forze dello Stato turco di aree precedentemente sotto coprifuoco al fine di distruggere l’evidenza delle violazioni dei diritti umani e dei crimini di guerra. Soprattutto e in particolare a Cizre, dove 172 persone sono state uccise all’interno di tre sotterranei.

Nato, missione in Afghanistan oltre il 2016. Obama: “Impegno Usa per l’Ue non cambia”.

La Stampa – 9 luglio 2016.

1SB7D67O khnG U10801175360938bYG 1024x576LaStampa.itItalia tra le nazioni guida. Finanziamenti di circa 5 miliardi fino al 2020. Renzi: ok del governo a proseguire l’impegno.

La Nato proseguirà la missione in Afghanistan oltre il 2016. Lo ha detto il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, durante una conferenza stampa nella seconda giornata dei lavori del summit a Varsavia. «Ringrazio Obama», ha sottolineato innanzitutto, rimarcando poi come le nazioni guida sull’impegno in Afghanistan sono Germania, Italia e Turchia.

«Noi continueremo a supportare il governo afgano ma ci aspettiamo passi ulteriori per le riforme», ha aggiunto Stoltenberg spiegando che la Nato manterrà i finanziamenti per l’Afghanistan di 5 circa miliardi fino al 2020. Il presidente Nato ha quindi ribadito la volontà di proseguire lungo la strada della «partnership politica e di cooperazione» con il governo afghano, ancora «impegnato nel percorso delle riforme».

Matteo Renzi in conferenza stampa ha detto: «Ci viene chiesto di continuare il lavoro in Afghanistan: il governo condivide questo impegno perché lo ritiene strategico. Tutte le procedure saranno portate all’attenzione del Parlamento, sia in termini economici che di invio e spedizioni di truppe. La richiesta è mantenere l’impegno attuale, leggermente aumentato in questi mesi dopo il disimpegno della Spagna».

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Afghanistan e Iran: luci e ombre.

l’Opinione – 9 luglio 2016, di Elvio Rotondo.

06 cartina iL’Iran ha mantenuto stretti legami con l’Afghanistan sia durante il governo Karzai che con l’attuale governo Ghani. Per l’Iran il rafforzamento della cooperazione regionale con l’Afghanistan è una priorità e un importante percorso per consolidare la pace e l’economia nella regione. Secondo una dichiarazione dell’Iran alle Nazioni Unite, solo quest’anno, 386mila studenti afghani si sono iscritti a scuole e università iraniane.

Negli ultimi dieci anni, l’Iran ha aiutato l’Afghanistan con il completamento di circa 300 progetti, che vanno dalle infrastrutture alla formazione e rafforzamento delle capacità delle risorse umane, in particolare attraverso l’offerta di centinaia di borse di studio ogni anno. Il 23 maggio scorso, i presidenti di Afghanistan e Iran e il primo ministro dell’India hanno firmato a Teheran un accordo trilaterale concernente il trasporto e il transito, al fine di facilitare il commercio tra i tre Paesi e con l’Asia Centrale.

Questo accordo riguarda lo sviluppo del porto iraniano di Chabahar che fornirà all’Afghanistan l’accesso al mare aperto, molto utile per gli afghani ma anche per l’intera regione. Uno hub marittimo sullo stretto di Hormuz, tra il Golfo Persico e il Golfo di Oman dove transita la maggior parte del petrolio mondiale. Iran e Afghanistan sono anche impegnati ad aumentare i collegamenti in particolare con la ferrovia Khaf-Herat e con la costruzione del secondo ponte sul fiume Hirmand.
Ma ci sono anche altre notizie meno entusiasmanti riguardo i due Paesi, come quelle dell’arruolamento di cittadini afghani, da parte dell’Iran, come combattenti anti-sunniti e pro- Assad in Siria. Un articolo apparso recentemente su “Stars and Stripes“ riporta, secondo funzionari della Nato, che il reclutamento, in atto da parte dell’Iran, di afgani provenienti dalle regioni lungo il confine tra i due Paesi, per combattere in Siria, potrebbe essere una delle cause della diminuzione del numero di reclute dell’esercito in Afghanistan occidentale.

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