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Autore: Anna Santarello

Manifestazione anti-rapimenti a Kabul.

AGCcomunication – di TOMMASO DAL PASSO AFGHANISTAN – Kabul 17/06/2016

kabulmanifestazione 1I residenti di Kabul sono scesi in piazza il 16 giugno per chiedere al governo di garantire la sicurezza pubblica, la protezione delle autostrade e l’arresto dei funzionari che appoggiano i talebani.

Il corteo di protesta, riporta Pajhwok, arriva dopo i recenti episodi avvenuti nella provincia nord-orientale di Kunduz in cui i militanti avevano rapito 220 passeggeri sull’autostrada Kunduz-Takhar in due occasioni a maggio. Diciotto dei passeggeri sono stati uccisi, mentre altri 21 sono ancora prigionieri; il resto degli ostaggi sono stati rilasciati dai rapitori o liberati dalle forze di sicurezza.

Decine di abitanti di Kabul e attivisti della società civile si sono radunati nella capitale, sollecitando le autorità a intervenire con decisione per evitate altri rapimenti. In un documento indirizzato al governo, i manifestanti hanno chiesto al governo di unità nazionale di rilasciare informazioni complete sul rapimento dei passeggeri da parte dei talebani; sottolineando che le persone devono essere certe dell’arresto dei rapitori. Il documento chiede anche al Consiglio di Sicurezza Nazionale di rafforzare il coordinamento tra le istituzioni di sicurezza del paese, perseguendo quelli collusi con in talebani.

 

Commissione di Inchiesta ONU: ISIS sta commettendo un genocidio contro gli yezidi.

Rete Kurdistan Italia – 16 giugno2016

yazidi women 630x325ISIS sta commettendo un genocidio contro gli yezidi, secondo un rapporto, “Sono Arrivati per Distruggere: Crimini di ISIS contro gli Yezidi”, pubblicato oggi dalla Commissione di Inchiesta Indipendente Internazionale sulla Repubblica Araba Siriana.Il cosiddetto Stato Islamico di Iraq e Al-Sham (ISIS) sta commettendo un genocidio contro gli yezidi,secondo un rapporto, “Sono Arrivati per Distruggere: Crimini di ISIS contro gli Yezidi”, pubblicato oggi dalla Commissione di Inchiesta Indipendente Internazionale sulla Repubblica Araba Siriana. Il rapporto della Commissione di Inchiesta ha anche determinato che le violenze di ISIS contro gli yezidi equivalgono a crimini contro l’umanità e crimini di guerra.

“Si è verificato un genocidio ed è ancora in corso”, ha sottolineato Paulo Pinheiro, Presidente della Commissione. “ISIS ha sottoposto ogni donna yezida, ogni bambino o uomo che ha catturato, alle più orrende atrocità.”

Come da mandato della Commissione, il rapporto è incentrato sulle violazioni commesse nei confronti di yezidi all’interno della Siria, dove migliaia di donne e ragazze sono ancora tenute prigioniere e maltrattate, spesso come schiave. La Commissione esamina anche come il gruppo terroristico ha forzatamente trasferito yezidi in Siria dopo aver lanciato i suoi attacchi sulla regione di Sinjar nel nord dell’Iraq il 3 agosto 2014. I documenti informativi raccolti mettono in evidenza l’intenzionalità e la responsabilità penale dei comandati militari, miliziani, leader ideologici e politici di ISIS, ovunque collocati.

Quanto individuato dalla Commissione si basa su interviste a sopravvissuti, leader religiosi, contrabbandieri, attivisti, avvocati, personale medico, giornalisti e su molto materiale documentale, che conferma le informazioni raccolte dalla Commissione.

ISIS ha cercato – e continua a cercare – di distruggere gli yezidi in molti modi, come previsto dalla Convenzione sul Genocidio del 1948. “ISIS ha cercato di cancellare gli yezidi, con uccisioni, schiavitù sessuale, riduzione in schiavitù, torture e trattamenti inumani e degradanti e trasferimento forzato creando seri danni fisici e mentali; l’imposizione di condizioni di vita che portano a una morte lenta; l’imposizione di misure per impedire la nascita di bambini yezidi, compresa la conversione forzata di adulti, la separazione di uomini e donne yezidi, e trauma mentale; e l’allontanamento di bambini yezidi dalle loro famiglie collocandoli presso miliziani di ISIS, separandoli in questo modo dalla fede e dalle pratiche della loro comunità religiosa”, afferma il rapporto.

ISIS ha diviso uomini e ragazzi yezidi sopra i 12 anni dal resto delle loro famiglie e ucciso quelli che hanno rifiutato di convertirsi per distruggere la loro identità di yezidi. Donne e bambini spesso hanno assistito a queste uccisioni prima di essere trasferiti forzatamente in Iraq e poi in Siria, dove la maggior parte resta in prigionia.

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Afghanistan: la guerra infinita di Obama.

Altrenotizie – 14 giugno 2016 di Mario Lombardo

usa afghanistanA differenza di quanto promesso a partire dal 2009 dal presidente Obama, la guerra degli Stati Uniti in Afghanistan continuerà a protrarsi ancora a lungo e farà anzi segnare un’escalation degli scontri e delle violenze nel prossimo futuro. Questo è il senso della decisione presa qualche giorno fa dalla Casa Bianca e che garantisce maggiore discrezione ai vertici militari USA per partecipare alle operazioni belliche delle forze armate indigene contro gli “insorti” Talebani.

La guerra in Afghanistan sembra continuare a rappresentare poco più di un dettaglio per l’opinione pubblica internazionale, ma il governo di Washington e il Pentagono stanno da tempo apportando importantissime modifiche ai precedenti piani di “disimpegno” da questo paese dell’Asia centrale, in modo da assecondare l’evoluzione del quadro strategico della regione in base agli interessi degli Stati Uniti.

Il cambiamento più significativo consiste nella facoltà assegnata alle truppe di occupazione di prendere parte ai combattimenti dell’esercito regolare afgano contro i Talebani. La nuova autorizzazione non riguarda solo le forze di terra, bensì anche quelle aeree. Secondo quanto riportato dal New York Times, “i bombardamenti aerei non avranno più soltanto una funzione difensiva”, poiché “i comandanti americani potranno ricorrervi quando lo riterranno necessario” per colpire le forze talebane.

In precedenza, a partire dall’annunciata cessazione delle operazioni di combattimento da parte delle forze USA a fine 2014, il contingente residuo rimasto in Afghanistan aveva ufficialmente soltanto compiti di addestramento e poteva tutt’al più fornire “assistenza” alle forze speciali di Kabul durante operazioni “anti-terrorismo”.

La decisione di Obama sarebbe stata presa dopo un’elaborata discussione all’interno del governo e con i vertici militari, ma in realtà la nuova impennata delle operazioni belliche in Afghanistan era in preparazione da tempo. Gli eventi degli ultimi mesi, in particolare, hanno evidenziato la persistente fragilità del governo di Kabul del presidente, Ashraf Ghani, la cui sopravvivenza come strumento degli interessi americani può essere garantita solo da un rilancio dell’impegno militare di Washington.

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Incontro di Malalai Joya con alcuni membri del Partito PODEMOS

Dalla pagina Facebook di Malalai Joya – 13 giugno 2016

Il 24 maggio 2016 Malalai Joya ha incontrato alcuni membri del Partito PODEMOS a Madrid. PODEMOS è uno dei più grandi partiti politici in Spagna, guidato da giovani progressisti ed è attesa una sua grande affermazione nelle prossime elezioni in Spagna.

Durante l’incontro, Joya ha aggiornato sulle disastrose condizioni politiche e sociali in cui versa l’Afghanistan e ha condiviso il suo punto di vista. Joya ha anche descritto realisticamente la situazione dell’Afghanistan sotto l’occupazione US/NATO, nella speranza che PODEMOS possa cambiare la linea politica dell’attuale governo spagnolo, che segue ciecamente l’agenda colonialista degli Stati Uniti e che supporta di fatto signori della guerra e criminali afghani.

Alla fine dell’incontro, i militanti di PODEMOS hanno garantito il loro supporto alle forze progressiste afghane e hanno rassicurato Malalai Joya: “Non sentitevi soli, milioni di persone che auspicano giustizia e pace vi sostengono e sono con voi.

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“Shabnam” di Liliana Manetti: la storia di una donna venuta da lontano

Obliate Magazine – 28 maggio 2016, by Cristina Biolcati

cover shabnam 2 1 page 001 2“Mi chiamo Shabnam e sono afgana. Nella lingua italiana il mio nome significa “rugiada”, come quella che si posa la mattina sui cardi del mio paese. Ho sessantuno anni e sto morendo.”

“Shabnam”, il breve romanzo della giovane romana Liliana Manetti, pubblicato da Poetikanten Edizioni nell’aprile 2016, dà voce ad una donna afgana che, in punto di morte, avverte la necessità di raccontare la propria storia.

Ragazza curiosa e amante dei libri, Shabnam è stata costretta a rinunciare agli studi da un Paese in cui le donne possono fare ben poco, così come da un padre che si è sempre opposto alla sua educazione. Ma con l’aiuto di un professore, di cui poi si innamorerà, ella riesce a coronare il suo sogno.

In America, dove andrà ad abitare, diventerà giornalista e passerà la seconda parte della sua vita a battersi per i diritti delle donne, quelle che abitano in quella terra che lei, in fondo, non ha mai dimenticato, ma dalla quale ha voluto a tutti i costi fuggire.

Senza dubbio denota sensibilità, il fatto di narrare la storia di una donna di diversa religione che, come dice il sottotitolo, “venne da lontano”, in un periodo storico in cui l’integrazione è ancora così difficile.

Liliana Manetti si occupa soprattutto di poesia, e da qui penso derivi il suo modo “diretto” di raccontare gli eventi. Tende molto a precisare, anziché lasciare libero spazio all’immaginazione. Come Raymond Carver ha affermato, “non c’è bisogno di parlare d’amore, per parlare d’amore”.

Molto spesso gli scrittori non hanno fiducia nei loro lettori, e vogliono dare loro spiegazioni esaustive. Così facendo, si rischia però d’incappare nella ridondanza, e di precludere l’emozione.

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Le ragazze di Kandahar sono preoccupate per la mancanza di accesso alla scuola superiore.

Tolonews – Abdullah Achekzai  3 giugno 2016

girls students 03 june 16Parecchie ragazze della provincia di Kandahar hanno detto che a più della metà di loro è negato l’accesso alla scuola superiore per le tradizioni delle famiglie e della società e per le molestie che subiscono.

Hanno detto che una volta superato l’ottavo o il nono anno scolastico la famiglia non  permette di continuare la loro educazione.

….un altra ragazza sostiene che ci sia anche un problema di trasporti e collegamenti e le ragazze sono molestate nel percorso verso la scuola.

Anche il direttore provinciale per l’educazione dice che il numero di ragazze che raggiunge il dodicesimo anno è molto basso. Su 79.000 ragazze che vanno a scuola nella provincia di Kandahar, solo 400 si sono diplomate lo scorso anno e 650 quest’anno.

Kandahar è tra le province più sicure nel sud ma, secondo i dati, in tre distretti ci sono solo scuole primarie per ragazze e un gran numero di queste hanno scarso accesso all’educazione scolastica.

Traduzione a cura del CISDA

Kurdistan turco, il mattone dopo il cannone

Enrico Campofreda dal suo Blog – 1 giugno 2016

bimbi e caseSembrerebbe un mea culpa, ma non lo è. Il vicepremier e portavoce del governo turco Numan Kurtulmus dichiara che i nove mesi (s’iniziò il 4 settembre 2015) d’assedio continuato e semi interrotto a varie città kurde del sudest anatolico, da Diyarbakır a Cizre, passando per Silopi, Idil, Yukeskova e in quest’ultime settimane Nusaybin, hanno prodotto la distruzione di 6.320 edifici.

È la guerra condotta dalle Forze Armate di Ankara contro la popolazione locale accusata tutta, indiscriminatamente d’essere un supporto alla guerriglia del Partito Kurdo dei Lavoratori. Così son venuti giù ben 11.000 appartamenti e case e oltre 90.000 persone risultano sfollate.

Molte di loro restano accampate perché non sanno dove andare. Non hanno parenti visto che i congiunti sono rimasti vittime delle incursioni distruttive. La nota ‘leggera’ dell’intervento del vicepremier è il calcolo dell’operazione ricostruzione che l’amministrazione dovrebbe dirigere.

Le spese ammonterebbero a 260 milioni di euro, occasione per i privati di agguantare commesse governative. Nulla si dice sulla morte e sui drammi che quei bombardamenti hanno prodotto. Questo lo ricordiamo con alcune testimonianze dei superstiti. Negli assedi dei mesi scorsi la località di Cizre è risultata la più colpita, tantoché la sua agonia e la sua resistenza sono state paragonate alla nota Kôbane, città martire del Rojava.

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Intervista «Io, regista donna in Afghanistan, il Paese dove la cultura non conta nulla»

L’Espresso – Marco Consoli – 30 maggio 2016

imageIntervista:

“Mi arrabbio quando guardo i film che parlano del mio Paese, l’Afghanistan, e non importa che siano girati da registi stranieri o da miei connazionali, perché il modo in cui viene dipinto, con i cliché sulla guerra o i talebani, è completamente diverso da quello che ho sperimentato io”.

Così Shahrbanoo Sadat, 26 anni, spiega i motivi che l’hanno spinta a realizzare “Wolf and Sheep”, il suo primo lungometraggio presentato alla Quinzaine al festival di Cannes, e in cui si racconta la vita in un villaggio di pastori sperduto tra le montagne afghane: a condurre le pecore al pascolo sono i ragazzini, divisi rigorosamente tra maschi e femmine, e mentre i primi sono impegnati ad imparare l’arte di costruire e usare la fionda per difendere il gregge dai possibili assalti dei lupi, le seconde passano il tempo a scambiarsi pettegolezzi.

Alcuni di questi riguardano una bambina, Sediqa, che viene segretamente dileggiata perché apparentemente maledetta, anche se un maschio, Qodrat, sarà abbastanza coraggioso da avvicinarla durante la lunga e noiosa attività del pascolo.

“Questa storia ricorda esattamente la mia”, spiega Sadat, “perché anche io sono arrivata in Afghanistan in un paesino molto simile a quello raccontato nel film dall’Iran, dove i miei genitori si erano rifugiati, prima di decidere di ritornare a casa dopo gli attentati dell’11 settembre. In Iran ci trattavano come in America trattano i “negri”, col massimo disprezzo possibile e così siamo scappati. Ma comunque per me, che ero abituata a vivere nella città di Teheran, è stato uno shock trasferirmi bambina nel mezzo del nulla: all’improvviso non avevo più elettricità, acqua corrente e tutto il resto, e oltretutto non parlavo quel particolare dialetto della zona.

Mi sono sentita molto sola, ma ho cercato di fermarmi a guardare cosa accadeva intorno a me, per tentare di capire. Il mio film cerca di recuperare un’immagine dell’Afghanistan che si basa più sull’osservazione che sul commento realizzato facendo ricerche su Google e costruendo storie basandosi sulle notizie di cronaca del momento”.

Questo vuol dire che non le considera rilevanti?

Non voglio né posso dire che il mio Paese non sia dilaniato dai conflitti, ma spesso quando guardo uno di questi film trovo che ci sia una mancanza di verità, per esempio nel modo in cui la gente si esprime o viene rappresentata.

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In Afghanistan, tra le tribù anti Isis

Andrea Nicastro – Corriere della Sera – 1 giugno 2016

afghanistan ori crop MASTER 0x0 MGTHUMB INTERNALezioni all’aperto a Kot, in Afghanistan: l’Isis ha bruciato la scuola del villaggio prima di ritirarsi 

Radio Sharia era l’antenna del mullah Omar, l’emiro dei talebani, prima protetto e poi protettore di Osama Bin Laden. Trasmetteva letture coraniche, ore e ore di preghiere, e di tanto in tanto qualche avviso di pubblica utilità: l’annuncio di una fustigazione per una barba vezzosa, la cattura di un trafficante di oppio o la lapidazione di un’adultera. Da 15 anni si sente di rado in Afghanistan.

Si riceve nelle aree pashtun a sud e nelle province fuori controllo a est. Montare e smontare un’antenna trasmittente prima che venga bombardata dai droni americani limita il palinsesto, così è diventata un poco più pragmatica, ma sempre lacunosa tanto che per due anni ha tralasciato di annunciare la morte del mullah Omar in persona. Ora, però, anche quel che resta di Radio Sharia deve affrontare la concorrenza di un’altra emittente, La Voce del Califfo.

L’offensiva mediatica
La radio dello Stato Islamico in Afghanistan racconta di offensive militari, gode di sofisticati servizi giunti via Internet dagli studi di Raqqa (in Siria) e chiede la collaborazione o l’evacuazione dei civili, promette l’abolizione dell’odiata tassa sull’oppio che i talebani impongono ai trafficanti, ma allo stesso tempo pretende una «spontanea» zakat, la tassa per i più bisognosi. Tassa che poi sarà, come ovvio, l’Isis a gestire. Sempre al denaro si arriva.

160409 AFG 0250 MGTHUMB INTERNAL’Isis aveva stabilito il quartier generale a Kot nella scuola del villaggio. Prima di ritirarsi l’ha distrutta. Ora solo i maschi fanno lezione all’aperto.

Il franchising integralista

 
Talebani contro Isis, Isis contro talebani. L’espansione del franchising integralista del califfo Abu Bakr al-Baghdadi è partita due anni fa dalla roccaforte siro-irachena e ha raggiunto la Turchia, l’Egitto, la Libia, l’Europa, gli Stati Uniti, l’Africa sudsahariana, l’Africa nera, persino l’Indonesia.

Non poteva mancare in quel buco nero di sofferenza e violenza, creato dalle rivalità globali, che è l’Afghanistan da 40 anni a questa parte. Le foto di Véronique de Viguerie, in queste pagine, raccontano di una comunità che ha reagito all’occupazione delle bandiere nere del califfo. Le vedove, gli orfani, la scuola distrutta, le milizie.

I «ribelli tribali» che hanno combattuto lo Stato islamico sono di etnia pashtun e abitano a poco più di un’ora di automobile da dove, 15 anni fa, fu uccisa l’inviata del Corriere della Sera Maria Grazia Cutuli. Notevole, in questo servizio fotografico tanto prezioso quanto raro, è l’assenza di truppe dell’esercito regolare afghano. Paradossalmente, è la foto mancante quella più tragica, dolorosa, segno di un fallimento destinato a durare.

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Appello del Partito Democratico del Popolo Turco (HDP) per per la gravissima situazione nella città assediata di Nusaybin.

HDP  – 31 maggio2016

Fosforo Rojava 2 320x234Gentile Signora / Signore,

Desideriamo attirare l’attenzione della Comunità Internazionale, delle istituzioni e organizzazioni per i diritti umani sulla situazione gravissima nella città assediata di Nusaybin che sotto coprifuoco totale (24 ore) da 77 giorni.

Il 26 maggio dopo pesanti bombardamenti turchi e fuoco continuo che ha preso di mira interi quartieri nella città di Nusaybin, le Unità di Protezione Civili (YPS) curde hanno rilasciato una dichiarazione dicendo che si erano ritirate dalla città dal 25 maggio per impedire ulteriori danni alla popolazione civile.

Tuttavia le forze di sicurezza dello Stato da allora hanno continuato a bombardare e sparare in modo ancora più intenso. Il Partito Democratico dei Popoli (HDP), insieme a organizzazioni della società civile si è attivato per impedire la ripetizione del massacro di Cizre, dove le unità speciali della polizia turca e le forze militari hanno bruciato vive circa duecento persone in tre cantine, e per garantire un’uscita in sicurezza dei civili dalla zona assediata. 

Fino ad ora 70 persone sono state trasferite dalla zona del conflitto, tra cui molti bambini. Le forze di sicurezza turche hanno sottoposto a fermo tutte queste persone. Abbiamo ricevuto informazioni di prima mano da avvocati, famiglie e dal nostro deputato di Nusaybin che i detenuti sono stati pesantemente torturati, nonostante le scene propagandistiche nei media e sulla stampa filo-governativi dove le forze di sicurezza turche mostrano pietà nei confronti dei detenuti. 

Nella ferma convinzione che le persone meritino una scelta migliore di quella tra essere oggetto di violazioni della dignità personale e la tortura da un lato, e l’essere bombardati fino alla morte dall’altro, chiediamo alla Comunità Internazionale di tenere sotto attenta osservazione la situazione a Nusaybin e di usare tutti i mezzi a sua disposizione per fermare le torture alle quali sono sottoposti i detenuti e il fuoco e il bombardamento indiscriminato contro la città. Ci sono ancora molte persone che si trovano intrappolate lì. 

Commissione Affari Esteri HDP 

Traduzione a cura di  UIKI Onlus (Ufficio d’Informazione del Kurdistan in Italia)