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Autore: Anna Santarello

Elçi, l’inviato dei diritti che faceva paura.

Dal Blog di Enrico Campofreda – 1 dicembre 2015

g 69996Indagini – Il governatore di Diyarbakır Hüseyin Aksoy ha creato un centro di crisi per provare a comprendere i punti oscuri che costellano l’omicidio di Tahir Elçi, avvocato, attivista e ideologo d’un percorso che il movimento filo kurdo sta compiendo almeno da un paio d’anni sul fronte di una diversificazione strategica, che comprende le scelte compiute dall’Hdp di Demirtaş e pure la linea discorsiva avviata da Apo Öcalan.

Le indagini sulla sparatoria da Far-west avvenuta sotto il minareto dalle ‘quattro gambe‘ sono in mano a tal Ramazan Solmaz, procuratore capo della storica città del sud-est che – oltre a visionare filmati di telecamere a circuito chiuso poste presso il monumento, compiere sopralluoghi dove sono stati ritrovati bossoli – ha fatto analizzare le armi dei poliziotti in servizio e partecipanti alla sparatoria stessa.

Test balistici saranno effettuati in un laboratorio specializzato. Vengono prese in considerazione anche le testimonianze visive (riprese e foto) dei giornalisti presenti alla conferenza stampa tenuta dall’avvocato poco prima che la tragica bagarre di fuoco ne provocasse il decesso. In una versione poliziesca, diffusa da agenzie stampa turche, si dice che il volto d’un aggressore sarebbe stato identificato come un “terrorista” ed è scattata una retata nei suoi confronti. Posizione che fa molto comodo alla linea del governo, secondo cui il Paese è sotto attacco e necessita di misure eccezionali dal punto di vista militare, giuridico, normativo.

Caos e/o “Stato profondo” – Però se non si ritrova il proiettile che ha colpito Elçi, penetrando dalla nuca e fuoriuscendo dal collo, sarà complicato individuare la provenienza dello sparo e potrà aleggiare il dubbio d’una morte accidentale, scaturita da un colpo vagante. Sempre secondo versioni diffuse dal ministero dell’Interno la pistola trovata accanto al cadavere, sarebbe stata utilizzata per uccidere uno dei due agenti in servizio nel luogo dell’agguato, mentre un altro ha dichiarato alla stampa che pur avendo sospetti sull’auto bianca da cui sono scesi due uomini armati, non aveva fatto in tempo a mettere mano all’arma d’ordinanza.

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Esperto Gb, Isis mira a traffico eroina

ANSA.it – Mondo – 30 novembre 2015

949b9dc17a0397620fb304d26d23c845L’Isis rischia di mettere le mani su alcune delle rotte più lucrose dell’eroina, quelle che dall’Afghanistan passano per Iraq, Siria e Turchia. L’sos è di Tom Keatinge, analista britannico del Royal United Services Institute (Rusi).

Per Keatinge, i bombardamenti degli ultimi mesi, che hanno preso di mira infrastrutture e carovane petrolifere controllate dai jihadisti, spingono gli uomini del ‘Califfato’ a cercare fonti di guadagno alternative per finanziare la loro ‘guerra santa’. “Mentre vengono a ridursi forme di profitto come quelle garantite dal petrolio, a causa dei raid sulla Siria e sull’Iraq, è ovvio che essi cerchino nuove entrate”, afferma lo specialista britannico.
“E se si guarda alle rotte dell’oppio dall’Afghanistan – aggiunge Keating – si può osservare che c’è molto territorio controllato dall’Isis” da poter percorrere, con molto “denaro da intercettare”.

Timori analoghi sono stati del resto espressi di recente anche da Viktor Ivanov, direttore del servizio federale anti- droga di Mosca (Fskn), secondo il quale non solo contatti sono ormai in piedi, ma si può calcolare fin d’ora il coinvolgimento già avviato da parte di miliziani dell’Isis e gruppi vicini in un giro d’affari legato al traffico d’eroina pari potenzialmente a ben “un miliardo di dollari”.

Fermiamo Erdogan, sosteniamo i kurdi

Globalist – Giuliana Sgrena – lunedì 30 novembre 2015

Improvvisamente, dopo dieci anni di stallo, verrà accelerato il processo di adesione della Turchia all’Unione europea in cambio della chiusura delle sue frontiere per evitare il passaggio dei migranti verso l’Europa. Non solo, la Turchia riceverà in cambio 3 miliardi di euro e l’Europa chiuderà gli occhi sulla violazione dei diritti umani da parte del regime di Erdogan. Ancora più grave: l’Europa «ignora» o fa finta di ignorare il ruolo del sultano nell’appoggio fornito ai fanatici fascistoidi dell’Isis, anche perché questi aiuti in passato arrivavano persino dall’occidente.
Si crede alla svolta di Ankara che recentemente si è allineata alla coalizione anti-Isis, e forse non poteva fare diversamente essendo un paese della Nato. Tuttavia l’adesione al fronte anti-Isis finora è servito a Erdogan solo per fare la propria guerra contro i kurdi.

L’abbattimento dell’aereo russo peraltro non è un fatto del tutto normale, seppure in una situazione di grande tensione, essendo Turchia e Russia teoricamente schierati dalla stessa parte (anti-Isis) anche se con obiettivi diversi. Un atto di guerra dentro la guerra che mira a sostenere il progetto della Turchia di stabilire una fascia di sicurezza in territorio siriano, che guarda caso sarebbe quella abitata e controllata dai kurdi. I kurdi combattuti da Erdogan non solo per le loro rivendicazioni di diritti (non chiedono più l’indipendenza né i kurdi siriani né quelli turchi), ma soprattutto perché portatori di un progetto di società democratico e laico, l’esatto contrario della teocrazia che vuole imporre il sultano turco cambiando la costituzione.

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“Io giornalista afghano, minacciato di morte dai talebani”

Articolo 21 di Valerio Cataldi – 29 novembre 2015

IMG 20151128 WA0003 300x139“Io direi che siete molto fortunati perché fate questo mestiere in un contesto di pace, sicuro. In Afghanistan per un giornalista lanciare una notizia e farla arrivare alla gente può costare anche la sua vita.”

Abbas Kazimi è in Italia da poche ore quando ci incontriamo. Respira un’aria diversa, dice “mi rendo conto che qui sono al sicuro.” L’aereo che l’ha portato via da Kabul è atterrato a Milano e lungo la strada ha avuto tempo per percepire la differenza. Sulla sua testa pesa una condanna a morte pronunciata da pochi giorni dal sedicente “stato islamico di Afghanistan” i talebani, che sono tornati ad essere forti e che non gradiscono l’esistenza di una stampa libera che Abbas dice sia in effetti la sola vera conseguenza positiva della guerra lanciata dall’occidente nel suo paese contro la minaccia integralista.

Abbas Kazimi è vicecaporedattore di Tolonews, la principale emittente tv dell’Aghanistan. La sua storia arriva a “Frontiere”, il seminario di Redattore Sociale con un po’ di fatica. Uscire dall’Afghanistan con un visto non è semplice, mentre per chi deve scappare per salvarsi la vita è molto più facile pagare e affidarsi ai trafficanti di uomini. Per riuscire a portarlo in Italia, con Stefano Trasatti, direttore di Redattore sociale, abbiamo dovuto insistere a lungo.

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Turchia alla guerra in Kurdistan con le armi Finmeccanica

dal sito di UIKI – 26 Novembre 2015

savas 599x275Le forze armate turche hanno schierato due elicotteri d’attacco e riconoscimento T129 nella base aerea di Siirt, nella regione sudorientale del paese, per concorrere alle operazioni di guerra contro la resistenza kurda che dal 1984 ad oggi hanno causato la morte di più di 40.000 persone, in buona parte donne, bambini e uomini non combattenti.

Secondo quanto riferito dal portavoce delle forze armate turche, i due elicotteri sono destinati ad intervenire anche nelle province confinanti di Sirnak, Hakkari e Van. La sanguinosa offensiva militare turca in atto in Kurdistan è confermata dall’Ufficio stampa delle Forze di difesa del popolo kurdo (HPG). L’HPG ha fornito una lista degli interventi dell’aviazione turca nelle zone controllate dalla guerriglia. In particolare, dal 1° maggio si susseguono i voli di ricognizione sull’area di Xakurke, Suke, Haftanin, Gare e Metina. “I soldati turchi hanno anche lanciato dei colpi di mortaio a Martyr Rahime, nel distretto di Yüksekova di Hakkari”, denunciano le Forze di difesa del popolo kurdo.

“Sempre il 1° maggio i soldati della postazione militare di Bilican hanno effettuato imboscate nella zona tra Deve Masiya e Tepe Munzur, al confine con la regione di Zap, e un bombardamento è stato effettuato dagli stessi soldati turchi verso le aree di Kepe Miriska e Talisa. Intense attività militari sono in corso a Cukurca, nel distretto di Hakkari e nei pressi di Şırnak”.

Parlano anche italiano i nuovi sistemi di guerra impiegati in Kurdistan. Gli elicotteri d’attacco T129 sono stati prodotti in Turchia dalle Tusas Turkish Aerospace Industries (TAI) su licenza della società italo-britannica AgustaWestland, interamente controllata dal gruppo Finmeccanica. Il T129 Atak Advanded Attack and Tactical Reconnaissance Helicopter è un bimotore realizzato a partire del modello AW129, l’elicottero Agusta acquistato dalle forze armate di numerosi paesi Nato ed extra-Nato. Aerotrasportabile con i velivoli cargo C-130 “Hercules”, il T129 italo-turco ha un’autonomia di volo di tre ore e una velocità di punta di 269 km/h e dispone di sistemi e sensori di nuova generazione per la guerra elettronica e il controllo di fuoco che consentono al velivolo di eseguire missioni diverse: sorveglianza e ricognizione armata, attacco al suolo di precisione, scorta, soppressione delle difese aeree nemiche. Gli elicotteri utilizzati contro i combattenti kurdi sono stati armati con i missili Hellfire e Spike-ER, rispettivamente di produzione statunitense ed israeliana, e con i nuovi missili anticarro a lungo raggio UMTAS sviluppati dall’azienda turca Roketsan e i cui prototipi sono stati assemblati in Italia e Turchia. Oltre a due contenitori per il lancio sino ad otto missili, i T129 possono essere equipaggiati a seconda della missione anche con un mix di razzi guidati e non, missili aria-aria per autoprotezione, due pods con mitragliatrici da 12.7mm e 20 mm con una capacità di 500 colpi.

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L’uccisione di Tahir Elci è un altro tassello della politica terroristica del governo di Ankara – Rete Kurdistan Italia

dal sito di ReteKurdistan – 28 novembre 2015

ElçiL’avv. Tahir Elci, presidente dell’Ordine degli Avvocati di Diyarbakir, è stato proditoriamente ucciso dalle forze di polizia turche perché era da sempre un nemico delle politiche repressive dell’AKP e del governo, perché era uno strenuo difensore dei diritti del popolo curdo e della democrazia, perché non aveva mai taciuto di fronte alla barbarie e alle ingiustizie, ed in ultimo perché aveva avuto “l’ardire” di dichiarare pubblicamente, appena qualche settimana fa, che il PKK, il partito nel quale si riconoscono milioni di curdi, e non solo in Turchia, non è una formazione terrorista, frase che gli era già costata la carcerazione ed una condanna a sette anni di carcere.

Ma evidentemente per i fascisti e per i corpi di polizia, diretta emanazione del governo di Erdogan, non bastava; la voce di Tahir Elci doveva essere messa a tacere per sempre.

È stato ucciso mentre, con altri colleghi avvocati, denunciava la barbara azione compiuta dalle forze armate turche, nei giorni del coprifuoco nel quartiere popolare di Sur – Dyarbakir, di danneggiamento dello storico minareto artistico.

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Tra ISIS e guerra, la speranza è curda

dal sito di retekurdistan – 27 novembre 2015

ypj 700x325Abbiamo intervistato Yilmaz Orkan, membro del KNK (Consiglio nazionale del Kurdistan), per parlare di ISIS (“un fascismo del terzo millennio”), pace (“una bella parola”, ma molto lontana), confederalismo democratico (“un progetto per tutti i popoli del Medio Oriente”). Nelle tenebre del fondamentalismo e della guerra, la questione curda sembra oggi l’unica luce. Con riflessi globali su alcune delle principali problematiche del presente.

G: I curdi sono musulmani e stanno combattendo l’ISIS sul campo. Cosa pensi di chi parla di scontro di civiltà, dell’idea che gli attentati di Parigi sarebbero parte di una guerra tra “mondo islamico” e “mondo occidentale”?

Y: Non si tratta di una guerra religiosa tra l’Islam e le altre fedi. Il fondamentalismo in Medio Oriente non è nato oggi, ma è stato creato decine di anni fa, nel periodo della Guerra Fredda. In quel periodo gli americani e la NATO hanno contribuito alla nascita del salafismo, dell’estremismo islamico, per evitare che il comunismo entrasse in Turchia, in Iran e nel mondo islamico.
Per bloccarlo. Quando si è sciolta l’Unione Sovietica i fondamentalisti erano già là e hanno iniziato a combattere quasi subito per prendersi alcuni paesi. Prima hanno cominciato i talebani, poi Al Qaeda.

 

Adesso ci sono lo Stato Islamico e tanti altri gruppi, come Al Nusra. Cambia il nome, ma l’idea resta la stessa: il fondamentalismo islamico, che possiamo chiamare anche jiahdismo o salafismo. Oggi questo è un grande problema per il Medio Oriente. Gli estremisti non attaccano soltanto gli occidentali, i cristiani o i fedeli di altre religioni, come gli yazidi. Attaccano anche gli altri musulmani. Per esempio, se ricordiamo la vicenda di Kobane, il 95% delle persone che vivevano in città erano musulmani, musulmani sunniti. Ma il Califfato Islamico ha attaccato Kobane. Solo dopo 134 giorni di resistenza le YPG/YPJ sono riuscite a liberare la città. E adesso Kobane è libera grazie a quella resistenza.

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Kabul, mani sulla città. Dopo i furti bancari arriva Smart-city

dal blog di Enrico Campofreda – 24 Novembre 2015

smart cityIn quella municipalità di Kabul chiamata Shahrak-e Hoshmand, sorta e ora ampliata lungo la via che conduce all’aeroporto – cittadella-bene definita ‘Smart city’ dai signori che se ne intendono – è recentemente comparso mister Khalilullah Ferozi. Per chi ha conoscenza e memoria si tratta d’un elemento (l’altro era Sherkhan Farnood) vicino al clan Karzai.

I due furono posti ai vertici della Kabul Bank che nel 2010 registrò scandalosi ammanchi in base a una conduzione di doppia contabilità. Saccheggiando il maggior istituto di credito del Paese per un miliardo di dollari, Ferozi e Farnood arricchivano alcuni partner d’affari, se stessi e i loro padrini politici. Oltre al presidente riceveva fondi il vicepresidente Fahim.

Ovviamente i due erano lindi, le tangenti le intascavano i rispettivi fratelli: Mahmud Karzai e Hassin Fahim. Il funzionario dei loschi affari – dopo aver scontato pene minime e domiciliari per i grossi ammanchi che s’estendevano agli elargitori internazionali di denaro, Stati Uniti in testa – riappare nella ‘località dei furbetti’ in veste di azionista.

FeroziPrevede di ampliare l’edificazione e propone standard abitativi per la classe media con tre, quattro e cinque stanze per ben 8.800 appartamenti. Nel circondario sono previsti market, giardini, uffici, cliniche, e una moschea. Tutto realizzato dalla ditta di costruzioni Wardak (di Nabizada o Abdul Bari), con la supervisione e la garanzia economica di Ferozi. Avvio del progetto: 95 milioni di dollari, cifra finale 900 milioni.

Un business definito “molto prezioso” da tal Zia Massud, consigliere speciale per il Buon Governo (proprio così…). Prezioso sembra esserlo per costruttore e finanziatore: la vendita giungerebbe a 1000 dollari a metro quadro, invece dei 400 realistici; il governo intascherebbe solo 50 dollari a metro quadro. Eppure gli apparati statali lodano la presenza di Ferozi come il positivo segnale di recupero di centinaia di milioni di dollari scomparsi dalla circolazione anni addietro. Quelli che i rumors indicano come denaro legato agli azionisti della Kabul Bank. Di fatto si reintroducono, sotto forma d’investimento edilizio privato, milioni di dollari sottratti alla banca, e si permette nuovamente di specularci su.

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Voci dalla sinistra afgana

Dal sito di RAWA

In cima alla lista nera. Intervista con una militante di RAWA

Intervista a un’attivista di RAWA condotta da un giornalista del periodico tedesco Lower Class Magazine.

Jan [LCM]: Buongiorno Heela, può per cortesia presentarsi e presentare la sua organizzazione ai lettori? Come descriverebbe il vostro lavoro politico, in quali parte dell’Afghanistan siete attive e con quali problemi dovete confrontarvi?

Heela [RAWA]: Mi può chiamare Heela Faryal, anche se questo non è il mio vero nome. Tutte noi di RAWA usiamo falsi nomi, perché siamo duramente perseguitate. Sono un’attivista di RAWA (Revolutionary Association of the Women of Afghanistan, “Associazione rivoluzionaria delle donne afgane), che è la più vecchia organizzazione afgana che lotta per i diritti delle donne, per i diritti sociali e per la libertà, contro i fondamentalisti afgani e i loro sostenitori internazionali.

meena lcm article 247x300Meena, fondatrice di RAWA, assassinata nel 1987.

Siamo attive in tutte le province afgane, anche se dobbiamo far fronte a difficoltà enormi: RAWA è l’organizzazione più odiata dalla classe dominante in Afghanistan, di fatto costituita da signori della guerra, che si sono macchiati di orribili e sanguinari crimini di guerra. Citiamo solo, tanto per fare un esempio, Abdullah Abdullah, uno dei politici prominenti oggi in Afghanistan. Noi di RAWA siamo in cima alla lista nera, e lavoriamo in un Paese che è strangolato da un lato dai talebani fondamentalisti e dall’altro lato dai cosiddetti Jehadi, ovvero dai signori della guerra. Quindi lavoriamo in condizioni di estremo pericolo nella maggior parte del Paese.

E tuttavia riusciamo a portare avanti le nostre attività politiche, grazie all’appoggio della gente e al fatto che restiamo perlopiù nell’anonimato e godiamo della protezione segreta della popolazione. Il nostro lavoro politico comprende una rosa di attività che vanno dall’intervento in sostegno della popolazione in situazioni d’emergenza al supporto psicologico, medico ed educativo e a progetti di empowerment per le donne. Ma purtroppo ci sono province in cui non riusciamo a essere presenti, perché sono sotto il controllo di sanguinari signori della guerra e dei loro uomini, che non fanno altro che razziare, saccheggiare, stuprare, rapire e ammazzare la povera gente.

Noi di RAWA denunciamo questi crimini in documenti circostanziati, e per questo siamo ricercate e perseguitate dai signori della guerra e siamo costrette alla clandestinità.

In questa situazione vivono anche i membri di altri movimenti progressisti in Afghanistan, come il partito di sinistra chiamato Hambastagi, Partito afgano della solidarietà.

Jan [LCM]: Ha parlato dell’islamismo nella società afgana. Alcuni dei signori della guerra islamisti che hanno devastato il Paese con la guerra civile degli anni Novanta sono oggi ancora al potere grazie al sostegno delle forze di occupazione e ricoprono ruoli di primo piano nello Stato. Come spiega il fatto che i gruppi islamisti, che non avevano così tanto potere negli anni Settanta, sono poi diventati così forti, che non solo sono riusciti a rovesciare il governo socialista, ma hanno guadagnato posizioni di grande potere ancora oggi, nonostante siano colpevoli di innumerevoli crimini di guerra?

Heela [RAWA]: Prima di tutto voglio chiarire che i governi degli anni Settanta e Ottanta, che precedettero i Jehadi, non erano governi socialisti. Questo è un fraintendimento molto frequente fuori dell’Afghanistan. I cosiddetti “governi socialisti” erano in realtà regimi fantoccio dell’URSS, che – come sappiamo bene tutti – perse completamente la sua essenza socialista negli anni Settanta e Ottanta. È questa la ragione per cui la maggior parte dei regimi  sostenuti dall’URSS a quel tempo non erano regimi socialisti o comunisti. Non cessiamo mai di ripetere che questo cosiddetto “socialismo” produsse il più pesante attacco alle parti più progressiste della società afgana: ai democratici, agli intellettuali, e in particolare modo ai militanti di sinistra; fu un attacco molto più violento di tutti quelli che fecero poi i talebani e i signori della guerra. Durante questi regimi furono assassinati migliaia di intellettuali e attivisti politici. Di fatto, questi governi portarono il nostro Paese alla rovina ben prima che i signori della guerra prendessero il potere. Questa gente non era socialista: erano semplicemente assassini e il loro governo funzionava come regime-fantoccio al pari di altri regimi-fantoccio in tutto il mondo.

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Fuga dalla Kabul degli affari

Dal blog di Enrico Campofreda

giovani1 300x207Fugge anche la gioventù dorata plasmata per il sostegno alla “classe dirigente” afghana. Giovani formati presso l’Università di Kabul oppure spediti a studiare direttamente negli States per essere inseriti nella locale macchina amministrativa. Il volto immacolato del sistema corrotto voluto da americani ed europei.

Quei ragazzi ci credevano, s’avvantaggiavano dello status sociale: casa di proprietà nei recenti edifici abitati dalla casta di burocrazia e affari, duemila dollari al mese che per venti e trentenni locali rappresentano una fortuna. Riuscire a vivere nel proprio Paese devastato in certe condizioni di privilegio, costituiva un sogno per pochissimi.

Avevano riposto speranze nel presidente ammaliatore e gentile, quell’Ashraf Ghani che proveniva dalla Banca Mondiale ed è la quintessenza del disegno statunitense di “stabilizzare” una nazione privata della libertà e posta sotto la propria tutela. Eppure in quello Stato prigioniero del business della guerra imperialista e del fondamentalismo – quest’ultimo secondo i casi, nemico o alleato di governanti corrotti – non vogliono più vivere neppure i beneficiati.

Lo narrano a The Guardian Farid e Rafi. Venticinquenne il primo, occupato per un periodo presso strutture vicine alla Banca Mondiale nella provincia di Kapisa; trentenne l’altro, impiegato per sette anni per un’azienda locale inserita nel circuito della cooperazione internazionale, entrambi non hanno più sopportato e sono fuggiti.

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