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Autore: Anna Santarello

Newsletter da AFCECO

AFCECO – 16 giugno 2015

afceco banner 300x128 copyDear Friends of AFCECO,

Once again AFCECO children excelled in an athletic competition held in Kabul. The competition was a karate tournament with participants from strong teams throughout Kabul. Sixteen of AFCECO kids were awarded in this tournament, among which seven were girls and nine were boys.

For this victory AFCECO staff rewarded the children by holding a function of appreciation and encouragement with entertainment. The event was attended by many people from different institutions including representatives of the Martial Arts Federation.

The function was held in a gymnasium on June 7th and the event included many different programs including:

Music performance: The children performed several pieces of music and songs. Although the time for preparation was very limited the children’s performance was outstanding. Many people were impressed by how the children have progressed in music and the instrument they play. Madina’s performance was the highlight of the event.
Sports exhibition: One of the main parts of the event was sports exhibition.

All of the athletics teams exhibited by showing their talents.

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Shaheen, afghana: “per lavorare rischio la vita ogni giorno, ma non mollo”

Repubblica.it – DI CHIARA DAINA – 4 giugno 2015

155554716 5cdeb7b0 0878 4cd1 bfdf 0ec2da934cf7Shaheen Poya ha 24 anni, è afghana e fa la giornalista freelance. Un mestiere quasi tabù per le donne del suo Paese. “Ogni mattina esco di casa e so che potrei morire” ci racconta spiegandoci le difficoltà che le donne vivono nel suo Paese e perché lei non si arrende.

“Ogni mattina esco di casa e so che potrei morire”. Shaheen Poya ha 24 anni, due occhi scuri come la notte e una coda di boccoli neri. La sentiamo su Skype. La sua voce vivace buca lo schermo del computer. È afghana, della provincia di Herat, e fa la giornalista freelance. Un mestiere quasi tabù per le donne del suo Paese, di cui l’87% è analfabeta, non ha diritti e rischia la pelle.

“Lungo la strada gli uomini ti possono derubare, rapire, violentare o sparare. Non ho paura, devo lottare, se sto ferma le cose non cambieranno mai”. Le parole di Shaheen si rincorrono veloci come la luce.
“Denuncio gli abusi sulle donne, quelle stuprate dai soldati, picchiate dai mariti, quelle che si bruciano le mani e il volto in segno di protesta. Entro in casa loro, le intervisto, giro dei video e fotografo le facce tumefatte”. Shaheen lavora per diverse organizzazioni umanitarie non governative.

Una di queste è Hawca (Humanitarian assistance for the women and children of Afghanistan), si occupa della difesa dei diritti delle donne e dei bambini. Un’altra si chiama Wisa (Women’s International solidarity Australia), nata in Australia, promuove l’emancipazione femminile in giro per il mondo.

Quando non è in casa o in ufficio, si infila un abito lungo fino ai piedi e si avvolge il chador alla testa. Almeno una volta al mese si sposta nella provincia di Kabul e di Farah, oltre alle città, visita i villaggi di campagna, i più pericolosi. Riceve minacce di continuo. “Da parte di sconosciuti, mi chiamano al telefono e mi dicono di smetterla di fare inchieste altrimenti mi ammazzano. Se rispondono i miei genitori lo ripetono anche a loro. Ma non mollo, non gliela do vinta, mi assumo il rischio di morire. La mia famiglia mi sostiene”.

Shaheen ha chiesto di entrare nella redazione di un giornale. Impossibile. “Assumono per lo più uomini, una o due donne al massimo. Se sgarri, ti licenziano subito. La stampa ha il bavaglio, non si può attaccare il governo, ultra corrotto, o i Talebani perché ti fanno saltare in aria”. Ha un account su Facebook.

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Afghanistan, i talebani all’Isis: potete rimanere qui, ma sotto di noi.

ilVelino/AGV NEWS, di fbu – 17 giugno 2015

Il Daesh a un bivio: accettare e perdere la faccia o combattere con elevati rischi di sconfitta.

Ultimatum dei talebani in Afghanistan all’Isis. La leadership fondamentalista ha inviato ad Abu Bakr al Baghdadi, leader del Daesh, una lettera in cui si avverte che se lo Stato Islamico vuole operare in Afghanistan, dovrà farlo sotto il comando dei talebani.

Nella missiva è scritto che “l’Emirato islamico dell’Afghanistan da un punto di vista di fratellanza religiosa vuole il vostro benessere e non ha intenzione di interferire nei vostri affari. Reciprocamente – viene sottolineato – speriamo e ci aspettiamo che voi facciate altrettanto”.

Il testo vuole essere da una parte un’apertura nei confronti dei miliziani del Califfato nel paese asiatico, che finora erano stati giudicati come dei “falsi mujaheddin” e di conseguenza dovevano essere isolati e combattuti. Dall’altra un avvertimento: i combattenti dell’Isis saranno “sdoganati”, ma a patto che non interferiscano e che non contrastino le operazioni dei talebani. Non solo sui campi di battaglia, ma anche sul versante dei reclutamenti e del reperimento di risorse finanziarie, necessarie a portare avanti la propria jihad nella nazione. In particolare, i talebani vogliono evitare che la formazione rivale continui a far loro concorrenza sul mercato della droga.

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Sonita Alizadeh: la rapper afgana fuggita al matrimonio combinato grazie a una rima.

Lifegate di Valentina Gambaro – 4 giugno 2015

Sonita alizadeh Sonita Alizadeh è riuscita a sfuggire al matrimonio combinato dalla propria famiglia e ora canta per far luce sulle condizioni drammatiche delle donne afgane.

Sonita Alizadeh è una ragazza afgana di diciotto anni. Ora vive e studia negli Stati Uniti presso l’accademia d’arte Wasatch, dove sogna di diventare avvocato. Ma nel corso della sua vita, Sonita ha dovuto subire svariati spostamenti.

La sua famiglia è fuggita alla guerra in Afghanistan per stabilirsi a Tehran, capitale dell’Iran, quando lei aveva solo 8 anni. Dal momento che Sonita era profuga afgana senza documenti, non aveva nessun diritto all’istruzione. Per questo ha iniziato a frequentare un’associazione no profit che, oltre ad averla fatta studiare, le ha insegnato a fare musica.

Grazie all’ong, la ragazza si è ben presto appassiona al rap. Dopo l’incontro con una giovane regista iraniana, ha iniziato a creare video musicali e i suoi brani hanno presto raggiunto un discreto successo. Quando Sonita ha cominciato a credere al suo sogno, però, le è stata data una notizia devastante. Sarebbe dovuta tornare in Afghanistan con la madre: lì un uomo era pronto a sposarla per 9.000 dollari e la famiglia aveva bisogno di quei soldi per pagare il matrimonio di suo fratello.

Sonita a quel punto ha espresso la sua protesta nel modo che le riesce meglio: ha scritto la canzone Brides for sale – spose in vendita.

Il brano inizia così:
Lasciami sussurrare, così nessuno sentirà che parlo di ragazze vendute. La mia voce non deve essere udita perchè va contro la Sharia. Le donne devono rimanere in silenzio… questa è la nostra tradizione.
Nel video, Sonita è vestita da sposa, ha il volto coperto di lividi, un codice a barre sulla fronte e supplica la famiglia di non venderla.

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William Dalrymple: “Il Grande gioco che ci condanna alla sconfitta”

Repubblica.it di ENRICO FRANCESCHINI – 17 giugno 2015

160101795 9cbf66cb 76f7 45ec 8048 1c68fdef9819Tra passato e presente, l’infinita partita a scacchi dell’Occidente in Afghanistan vista dallo storico: “Oggi ripetiamo gli errori di oltre un secolo e mezzo fa”

LONDRA. La storia si ripete. Nel 1839 una grande armata della nazione più potente della terra, l’Impero britannico, invade l’Afghanistan per insediare a Kabul un sovrano fantoccio e contrastare l’espansione russa in Asia Centrale: è l’inizio del “Grande gioco”, cinica e brutale partita a scacchi fra le grandi potenze occidentali per il controllo della regione, immortalata da Kipling in “Kim”.

Ma è anche la prima di una serie di disastrose spedizioni militari straniere fra le montagne di quel meraviglioso e complicato paese, proseguite con quella sovietica nel 1979 e quella americana nel 2001.

William Dalrymple, storico e scrittore scozzese, uno dei più sofisticati conoscitori dell’Oriente, dove vive da decenni, racconta in “Il ritorno di un re” (Adelphi) una fallimentare guerra di un secolo e mezzo fa che suona come una lezione per i conflitti odierni.

Il re fantoccio insediato dagli inglesi fu deposto dai predecessori del re afgano che visse a lungo in esilio a Roma e che gli Usa riportarono a Kabul dopo la loro invasione: come se l’Occidente fosse eternamente prigioniero del proprio complesso di superiorità.

Signor Dalrymple, la spedizione militare britannica che invase l’Afghanistan era potente quanto quella americana e Nato del 2001?
“In proporzione era ancora più potente. L’Impero britannico dell’epoca stava raggiungendo il suo apogeo. L’India era pressoché conquistata. E gli afgani non avevano la reputazione di popolo fiero, indomito e guerriero che hanno oggi”.

Eppure gli inglesi persero. Come mai?
“Per le stesse ragioni che hanno portato alla odierna sconfitta in Afghanistan. Eccesso di fiducia. Difetto di attenzione. E una nuova guerra come fonte di distrazione”.

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Iran e talebani.

Formiche – Emanuele Rossi – 16 giugno 2015

timthumbPerugia – C’è un dichiarazione molto esplicita (ripresa in Italia dal Foglio) che spiega molto più di analisi, approfondimenti e statement ufficiali dei governi, la visione geopolitica iraniana in questo momento.

La scorsa settimana l’ayatollah iraniano Saeedi, appartenente al corpo militare delle Guardie della Rivoluzione, ha detto che «sotto Khomeini il nostro confine era quello con l’Iraq, sotto Khamenei – la Guida suprema di oggi – i nostri confini sono il mare Mediterraneo – cioè la costa della Siria – e Bab al Mandab, che è il tratto di mare tra lo Yemen e l’Africa».

Uscita che fa il paio con quella di alcuni mesi, in cui un alto generale dei Pasdaran si bullava del fatto che adesso Teheran “controlla” quattro capitali del mondo arabo – che sono Beirut, Baghdad, Damasco e Sana’a.

È una linea espansionistica che piano piano sta venendo fuori – e non solo da dichiarazioni stentoree di certi fenomeni folkloristici che dall’esaltazione del potere della Repubblica Islamica prendono lo stipendio.

Diversi analisti e osservatori, sono concordi nel dire che l’interessamento dell’Iran nelle vicende siro-irachene della lotta al Califfato (e in quelle dei ribelli yemeniti houthi), è un proxy per allungare la propria influenza e il proprio controllo su questi Paesi – sia nel presente, come risposta alla crisi, sia in futuro, quando magari tutto sarà finito e gli ayatollah presenteranno il conto per l’intervento.

Prendere l’esempio più paradossale di questo periodo. Il supporto ai talebani afghani per tenerli lontani dall’asse di influenza dello Stato islamico e dell’America. Perché passi per la Siria, sciita alawita alleata storica dell’Iran, passi per gli Houthi anche loro appartenenti ad una setta sciita, e passi per l’Iraq, che da Maliki (e guerra d’Iraq) in poi è stato il covo del settarismo sciita – e anche a quello si deve l’esperienza di successo del brand Califfato. Ma i Talebani: i seguaci del mullah Omar, il Amīr al-Muʾminīn (capo dei fedeli) riconosciuto perfino da al Qaeda, che prendono aiuti dal governo della Repubblica Islamica sciita. Un corto circuito, apparentemente.

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Svolta in Afghanistan, giudice donna alla Corte Suprema.

ANSA – 14 giugno 2015

046704951390a97453b64c96afd1e864È la prima volta. Era una promessa del presidente Ghani
Per la prima volta nella storia dell’Afghanistan una donna è stata scelta oggi quale giudice della Corte Suprema, il massimo organo giudiziario del Paese.

La decisione è stata presa dal presidente della Repubblica Ashraf Ghani che in questo modo ha mantenuto una delle promesse fatte lo scorso anno in campagna elettorale. Perché questo ‘sogno’ di rottura del monopolio maschile esistente fra i nove membri dell’Alto Consiglio del massimo tribunale afghano diventi realtà bisognerà aspettare però la ratifica fra qualche settimana della designazione da parte del Parlamento, spesso in polemica con le decisioni del presidente in carica.

Prima di ufficializzare la nomina della Rassouli, dal 2012 presidentessa dell’Associazione delle donne giudice dell’Afghanistan (Awja),

Ghani ha consultato numerosi esperti ed ottenuto un importante via libera dalle autorità religiose islamiche, che hanno confermato che non vi sono impedimenti per una donna a ricoprire la carica di giudice della Corte Suprema. Nonostante i quasi 15 anni trascorsi dall’allontanamento dei talebani dal governo dell’Afghanistan, designare una donna in un incarico pubblico rappresenta ancora oggi una scelta difficile, un elemento di rottura per la tradizionale, conservatrice e patriarcale società afghana dove, ad esempio, meno del 10% dei magistrati sono donne.

E dove le violenze contro le rappresentanti del genere femminile hanno spesso contorni orribili, come avvenuto in marzo nel dramma di Farkhunda, la ragazza di 27 anni linciata e poi bruciata vicino ad una moschea di Kabul da una folla inferocita che la accusava ingiustamente di avere oltraggiato il Corano.

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LETTERA DEL PARTITO TURCO HDP (PARTITO DEMOCRATICO DEI POPOLI) AD HAMBASTAGI

hdp 150x150Partito Democratico dei Popoli
HALKLARIN DEMOKRATİK PARTİSI (HDP)

12 Giugno 2015

Cari/e compagni/e del partito afghano Hambastaghi,

Come ormai saprete, il 7 giugno scorso si sono svolte le elezioni generali in Turchia. Il nostro partito, Il Partito Democratico dei Popoli (HDP), ha ottenuto una vittoria storica, superando l’alta e anti-democratica soglia di sbarramento con il 13.1 per cento di voti.
Da oggi il Partito Democratico dei Popoli sarà rappresentato da 80 membri nel neo-eletto parlamento.

Queste elezioni erano estremamente importanti e significative per tutti i popoli della Turchia, data la possibilità di un’ulteriore consolidamento del potere autoritario che nega libertà, diritti umani e giustizia. Con la vittoria del nostro partito invece, abbiamo sventato questo pericolo e ora possiamo sperare in un futuro democratico per il nostro paese, la Turchia.

Vi ringraziamo dunque per il sostegno e per la solidarietà espressa durante questo lungo percorso che ha come obiettivo il consolidamento dei valori democratici di uguaglianza e pluralità in Turchia. Senza dubbio, il vostro sostegno ci rende ancora più forti, e il mondo è un posto migliore quando tutti i popoli oppressi e democratici uniscono le proprie forze.

I nostri più cordiali saluti,

Selahattin DEMİRTAŞ
Co-President of HDP

Figen YÜKSEKDAĞ
Co-President of HDP

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Diario Afghanistan: una guerra senza fine

Emergency – Kabul 5 giugno 2015

Afghanistan. Ancora una volta finisce un mese – maggio – e ancora una volta dobbiamo dare la stessa notizia: le vittime di guerra continuano ad aumentare.
Solo a Kabul i ricoveri nel nostro Centro chirurgico sono aumentati del 60% rispetto a un anno fa, raggiungendo i numeri che l’anno scorso abbiamo registrato a luglio, uno dei mesi in cui di solito i combattimenti sono più intensi.

“I feriti arrivano da sempre più lontano: Uruzgan, Khost, Paktika, Badakshan, Herat… il sistema nazionale afgano è allo stremo, sempre più spesso gli ospedali provinciali ci riferiscono i loro pazienti perché non hanno abbastanza materiali o perché manca loro personale. I nostri chirurghi lavorano senza sosta e molte volte, a causa delle continue urgenze, dobbiamo chiamarli anche nel loro giorno di riposo” ci scrive Michela, la nostra coordinatrice medica.

È proseguito anche il nostro impegno per la formazione specialistica del personale locale: 75 medici e infermieri afgani hanno partecipato al nostro corso in “Pre-hospital trauma care”, cioè il trattamento a livello territoriale del paziente traumatizzato.

Nelle prossime settimane apriremo anche la nuova terapia intensiva, che ci metterà a disposizione 14 posti letto in più per i ricoveri.

“Giugno e luglio probabilmente saranno mesi difficili: qui in Afghanistan la tensione si percepisce chiaramente. Ma sono sicura che riusciremo a far fronte anche all’aumento dei pazienti che ci attende nell’estate”.

Gli afghani Sikh e Indù sono costretti ad andarsene dal loro paese.

Mir Aqa Popalzai – Rawa News – 10 giugno 2015

sikh magician in kabul 300x225Molti Sikh e Indù sono stati costretti a vendere le loro terre o sono stati catturati dai signori della guerra.

La comunità Sikh una volta fiorente in Afghanistan sta diminuendo velocemente visto che molti hanno scelto di lasciare il paese dove sono nati per sfuggire alla discriminazione e l’intolleranza.

Una volta la popolazione Sikh era circa 100.000 persone negli anni ’90, secondo i capi della comunità ora si è ridotta a 2.500.

Le ragioni dell’esodo sono una discriminazione endemica nei paesi mussulmani e il sequestro illegale delle loro case, attività, luoghi di culto e perfino cimiteri.

Anche gli Indù hanno subito la stessa persecuzione.

Anarkali Kaur Honaryar, un attivista dei diritti umani e legislatore Indù, ha parlato di questa intolleranza ed ha detto: “Le minoranze Indù e Sikh  che sono ora ridotte a poche persone in Afghanistan devono affrontare molti problemi. Uno dei principali è la discriminazione sociale. Ma nonostante questi aspetti negativi, abbiamo ancora buone relazioni con i nostri fratelli e sorelle mussulmani, ma siamo vulnerabili alla discriminazione.

Ha continuato dicendo: “In tutte le provincie Sikh e Indù possedevano terre, ma sfortunatamente sono state prese dai signori della guerra. Ma l’altro problema che abbiamo è la presenza di un gruppo che usa in modo fraudolento lettere di legali per vendere proprietà di Indù e Sikh.”

Sotto i talebani Sikh e Indù erano forzati a convertirsi all’Islam ed a pagare una tassa speciale e a distinguersi dagli altri attaccandosi pezzi di stoffa gialla sui vestiti.

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